25 mag 2020

La debolezza dei poteri ( di Paolo Speciale)



In questo attento articolo l'amico Paolo spiega la sua analisi sulle riforme mancate della giustizia. A suo dire persino negate..anche se auspicate, che provocano un inarrestabile conflitto..non aiutando il percorso di una sana giustizia...inficiando la certezza del diritto ed in qualche modo.. responsabilizzando la politica.   
La vicenda che riguarda le intercettazioni “sfuggite” nel corso di un’inchiesta e che ha reso pubblici alcuni apprezzamenti poco diplomatici da parte di esponenti del mondo giudiziario contro l’ex ministro Salvini ripropone nel modo peggiore l’irrisolto fisiologico contrasto tra i principali attori della vita istituzionale del nostro Paese.
Ed il puntuale diffuso appello che ne è conseguito è quello di attuare al più presto adeguate riforme che possano rendere più sicuro ed efficace l’esercizio delle rispettive funzioni a ciascuno attribuite in assoluta autonomia ed indipendenza. Le “ennesime” riforme, tutte annunciate, tutte auspicate, tutte negate. Negate a chi le vuole veramente, a chi tiene parecchio alla tenuta del sistema, nella consapevolezza che la precarietà degli equilibri tra le fondamenta di esso stesso non ha mai portato nulla di buono, specie in alcune fasi temporali il cui ricordo è meglio mantenere solo per fini storici. E purtroppo non è sufficiente neanche lo straordinario permanere della efficacia e della attualità del nostro testo costituzionale a contrastare quella che preferiamo chiamare, realisticamente, la “debolezza” dei poteri.
Debolezza costituita dalla presa d’atto di quella vulnerabilità che lede l’autorevolezza ed il prestigio stesso dei soggetti coinvolti e dell’Autorità impersonale che incarnano, dando seguito ad un quasi naturale desiderio di prevaricazione reciproca, che annulla con modalità praticamente algebrica il ruolo di ciascuno.
Il caso più comune è quello che vede l’infausto quanto sinora inevitabile conflitto tra potere giudiziario e potere politico, laddove per quest’ultimo vale la pena di unificare la componente legislativa con quella esecutiva. Nel caso specifico, vi è un magistrato- già indagato e sospeso per presunte irregolarità commesse nell’esercizio delle sue funzioni nonché ex componente del CSM – che “giudica”, con termini ben lontani dai codici vigenti, un ministro – ora anch’egli non più esercente la sua funzione pubblica – conferendo telefonicamente proprio con il collega togato che lo sta inquisendo.
Ma, al di là di questo recente episodio, potremmo citare tutti gli innumerevoli simmetrici tentativi di “controllo” da posizione privilegiata di membri del Governo o del Parlamento su magistrati, soprattutto del settore requirente.
Valutando quello che si può ormai definire un vero e proprio fenomeno connesso alla natura dell’uomo che viene chiamato a ricoprire una pubblica carica, in termini politico-filosofici possiamo dire che il criterio “homo homini lupus” non ha tempo.
Ma qui ed ora è meglio lasciare isolata questa dissertazione teorica, ritornando al problema reale da risolvere. Quam remedium? L’appello al Capo dello Stato è certamente legittimo ed adeguato; e tuttavia diventa improprio quando esso ha più l’aria di una critica che attiene alla politica contingente o, peggio, di un richiamo nei confronti di quest’ultimo alle sue responsabilità.
Qualche ultima considerazione: la politica, male necessario della democrazia contemporanea, gioia e tormento di chi la esercita sia di chi la subisce che di chi se ne avvantaggia, è una sorta di piovra che contrasta essa stessa la separazione dei ruoli e dei poteri. Lo confermano le annunciate dimissioni della “componente” ANM (Associazione Nazionale Magistrati) del Consiglio Superiore della Magistratura. Infatti, si potrà far notare legittimamente ai magistrati che le correnti politiche all’interno del loro organo di autogoverno sono già di per sé qualcosa che ne altera profondamente la natura istituzionale?
Estendendo la “quaestio”, al solo fine di indurre a comune riflessione in attesa del prossimo scontro, come rendere formalmente e sostanzialmente indipendente il “giudiziario” Pubblico Ministero dall’”esecutivo” Ministro della Giustizia ?
Atteso che i magistrati dovrebbero rispondere solo al CSM, come si inquadra coerentemente e con autorevole certezza del diritto la prevista attività ispettiva esercitabile dal Ministro sopracitato? E ancora: perché si ripete spesso puntuale il reclamo della titolarità di una inchiesta da parte di magistrati e procure ordinarie allorquando la competenza di inquisire un membro dell’Esecutivo nell’esercizio delle sue funzioni è manifestamente da attribuire al Tribunale dei Ministri?
E’ la “debolezza” dei poteri (sic!).
Paolo Speciale


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