L’attuale
avvenimento che coinvolge il nostro Presidente della Repubblica, induce a
riflettere su un’ennesima anomalia dei poteri dello Stato, il cui compito è reso poco chiaro e trasparente
da una Carta Costituzionale che non ne indica in profondità i limiti, richiamando, nella fattispecie, l’articolo 90 del titolo II: “Il Presidente della
Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue
funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.
Una domanda sorge dunque spontanea: -fino a che punto potrebbe considerarsi un possibile tradimento di un
capo dello Stato, se non si è in grado di indagare?
Naturalmente, la domanda non è rivolta all’attuale
Presidente, ma, in termini generici, vuole portarci a meditare in profondità sull’importanza
che può
avere
un rinnovamento di una Carta costituzionale, la quale sembra volutamente
scritta al fine di poter dare continua possibilità di rivedere in chiave
moderna i suoi articoli.
Qualcuno
grida che la democrazia sta morendo..ma sicuramente non sarà possibile
salvarla se non si rinnova efficacemente la nostra Carta…Una
Costituzione che in sé avrebbe il compito di guidare e fornire una traccia al
complesso di norme per meglio definire la struttura dello Stato ma, che non
sembra avere oggi un giusto funzionamento che la porti al raggiungimento del
suo desiderato fine. In se, essa potrebbe apparire perfetta nella
rappresentazione dei valori per la determinazione di una democrazia, ma se non
rinnovata, essa può solo idealizzarne il raggiungimento.
Questo
argomento induce ad un ragionamento inerente diretto al giusto posizionamento
dell’ordine giudiziario in riferimento ai poteri dello Stato, cioè: se sia
giusto dividere la carriera del giudicante da quella del requirente poiché
ambedue, consociate in un unico corpo lavorativo, danno oggi una chiave di
lettura poco trasparente rendendo un’ombra di
conflittualità al delicato lavoro.
Ma il quesito
appare assai più complesso e porta in
modo naturale ad una domanda in riferimento
all’importanza che potrebbe anche avere il posizionamento di un potere
esecutivo perennemente implicato e compromesso con quello parlamentare.
Al di là
del fatto che si tratta di due specifici poteri, diversi dall’ordine autonomo
giudiziario, si potrebbe tuttavia azzardare che un conflitto d’interessi
permane costantemente allorquando, gli stessi, eletti in Parlamento, assurgono
alla carica di ministri o sottosegretari per assumere di fatto un ruolo
esecutivo che influenza in modo definitivo il lavoro dello stesso gruppo
parlamentare di loro riferimento. Non v’è dubbio che, anche qui, una certa
corporazione trova forza e si alimenta giacché gli interessi sono estremamente
forti ed i ruoli politici vengono espressi nella comune casa di un Partito.
Nella
fattispecie il politico, in ruolo esecutivo, potrebbe esercitare un particolare
potere agendo in modo dubbio sull’obiettivo pensiero del singolo parlamentare,
nella identica maniera con cui, il magistrato requirente, potrebbe influenzare
il pensiero del giudicante (poichè riconosciuti in uno stesso schieramento)…. E
se è vero che un giudice ha un potere decisionale sul singolo imputato,… è
anche vero che il politico costruisce quelle normative utili per le decisioni
che lo stesso giudice deve prendere…
Si
potrebbe dunque azzardare che tale motivo è di per sè sufficiente ad
individuare una ulteriore anomalia anche rispetto ad una Costituzione che, da
un lato vorrebbe identificare due poteri con ruoli ben diversi (esecutivo e
parlamentare) e dall’altro, non pone sufficienti e chiare limitazioni a questa
separazione di compiti, destinando, in modo troppo sintetico e generico, la
guida e l’indirizzo della politica dello Stato all’esecutivo.
Con l’andare
del tempo e con la crisi dei valori si è accentuato questo conflitto
d’interessi che oggi ha portato la politica in uno stato di compromesso tale da
non renderla meccanicamente funzionale allo scopo:-Come potrebbe oggi il
politico stupirsi, anche se motivatamente, nei confronti della anomalia resa
dai ruoli dell’ordinamento giudiziario,
quando nel contempo, si espone ad una altrettanto illogico conflitto, ponendo
la stessa magistratura nel dubbio e nel sospetto dell’insorgenza di possibili
compromessi in seno alle istituzioni?
Una logica
motivazione che la magistratura potrebbe replicare alla classe politica che
contesta in modo significativo i conflitti e gli interessi che potrebbero
sorgere in seno ad un ordine giudiziario “politicizzato” dal CSM.
La
politica deve quindi attivarsi in un’opera di riforma seria che parta da un
rinnovamento della nostra Carta per arrivare ad un cambiamento che possa dare
più funzionalità a tutta l’attività della politica e maggiore forza ai Governi,
oggi sempre più ricavati per opportunità e non ricercati col giusto metodo.
vincenzo Cacopardo
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