5 dic 2012

La costituzione… il ruolo dei poteri e la ricerca del cambiamento





L’attuale avvenimento che coinvolge il nostro Presidente della Repubblica, induce a riflettere su un’ennesima anomalia dei poteri dello Stato, il cui compito è reso poco chiaro e trasparente da una Carta Costituzionale che non ne indica in profondità i limiti, richiamando, nella fattispecie, l’articolo 90 del titolo II: Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.
Una domanda sorge dunque spontanea: -fino a che punto potrebbe  considerarsi un possibile tradimento di un capo dello Stato, se non si è in grado di indagare?
Naturalmente, la domanda non è rivolta all’attuale Presidente, ma, in termini generici, vuole portarci a meditare in profondità sull’importanza che può avere un rinnovamento di una Carta costituzionale, la quale sembra volutamente scritta al fine di poter dare continua possibilità di rivedere in chiave moderna i suoi articoli.
Qualcuno grida che la democrazia sta morendo..ma sicuramente non sarà possibile salvarla se non si rinnova efficacemente la nostra Carta…Una Costituzione che in sé avrebbe il compito di guidare e fornire una traccia al complesso di norme per meglio definire la struttura dello Stato ma, che non sembra avere oggi un giusto funzionamento che la porti al raggiungimento del suo desiderato fine. In se, essa potrebbe apparire perfetta nella rappresentazione dei valori per la determinazione di una democrazia, ma se non rinnovata, essa può solo idealizzarne il raggiungimento.
Questo argomento induce ad un ragionamento inerente diretto al giusto posizionamento dell’ordine giudiziario in riferimento ai poteri dello Stato, cioè: se sia giusto dividere la carriera del giudicante da quella del requirente poiché ambedue, consociate in un unico corpo lavorativo, danno oggi una chiave di lettura poco trasparente rendendo un’ombra di conflittualità al delicato lavoro.
Ma il quesito appare assai più complesso e porta  in modo naturale ad una domanda in riferimento all’importanza che potrebbe anche avere il posizionamento di un potere esecutivo perennemente implicato e compromesso con quello parlamentare.
Al di là del fatto che si tratta di due specifici poteri, diversi dall’ordine autonomo giudiziario, si potrebbe tuttavia azzardare che un conflitto d’interessi permane costantemente allorquando, gli stessi, eletti in Parlamento, assurgono alla carica di ministri o sottosegretari per assumere di fatto un ruolo esecutivo che influenza in modo definitivo il lavoro dello stesso gruppo parlamentare di loro riferimento. Non v’è dubbio che, anche qui, una certa corporazione trova forza e si alimenta giacché gli interessi sono estremamente forti ed i ruoli politici vengono espressi nella comune casa di un Partito.
Nella fattispecie il politico, in ruolo esecutivo, potrebbe esercitare un particolare potere agendo in modo dubbio sull’obiettivo pensiero del singolo parlamentare, nella identica maniera con cui, il magistrato requirente, potrebbe influenzare il pensiero del giudicante (poichè riconosciuti in uno stesso schieramento)…. E se è vero che un giudice ha un potere decisionale sul singolo imputato,… è anche vero che il politico costruisce quelle normative utili per le decisioni che lo stesso giudice deve prendere…  
Si potrebbe dunque azzardare che tale motivo è di per sè sufficiente ad individuare una ulteriore anomalia anche rispetto ad una Costituzione che, da un lato vorrebbe identificare due poteri con ruoli ben diversi (esecutivo e parlamentare) e dall’altro, non pone sufficienti e chiare limitazioni a questa separazione di compiti, destinando, in modo troppo sintetico e generico, la guida e l’indirizzo della politica dello Stato all’esecutivo.
Con l’andare del tempo e con la crisi dei valori si è accentuato questo conflitto d’interessi che oggi ha portato la politica in uno stato di compromesso tale da non renderla meccanicamente funzionale allo scopo:-Come potrebbe oggi il politico stupirsi, anche se motivatamente, nei confronti della anomalia resa dai  ruoli dell’ordinamento giudiziario, quando nel contempo, si espone ad una altrettanto illogico conflitto, ponendo la stessa magistratura nel dubbio e nel sospetto dell’insorgenza di possibili compromessi in seno alle istituzioni?
Una logica motivazione che la magistratura potrebbe replicare alla classe politica che contesta in modo significativo i conflitti e gli interessi che potrebbero sorgere in seno ad un ordine giudiziario “politicizzato” dal CSM.
La politica deve quindi attivarsi in un’opera di riforma seria che parta da un rinnovamento della nostra Carta per arrivare ad un cambiamento che possa dare più funzionalità a tutta l’attività della politica e maggiore forza ai Governi, oggi sempre più ricavati per opportunità e non ricercati col giusto metodo.
vincenzo Cacopardo

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