IL FIATO CORTO DI
OBAMA di domenico Cacopardo
Il passare dei giorni
mette sempre più a nudo il presidente degli Stati Uniti, lo trasforma in una
tigre di carta, lo ridicolizza di fronte ai suoi cittadini e al mondo. A
dimostrazione che non basta essere un buon comunicatore, un oratore efficace,
un inventore di slogan per essere uomo di Stato e di governo.
Il secondo mandato di
Obama, libero da esigenze elettorali, amplia i limiti già manifestati in
politica interna e internazionale.
C’è un elemento di fondo
che, peraltro, trascende la persona e il ruolo del presidente americano: gli
Stati Uniti non sono né possono più essere i gendarmi del mondo, l’unica
potenza globale. Debbono fare i conti con la Cina e con le innumerevoli potenze
regionali che sono emerse con forza nell’ultimo decennio, dal disastro iracheno
a oggi.
La capacità di
convincimento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, quella capacità
che aveva dato copertura all’intervento nei Balcani e in Afghanistan è venuta
meno del tutto.
Il Medio Oriente è la cartina di tornasole della
situazione odierna. Dopo avere avviato le rivoluzioni egiziana, libica e
tunisina, dopo avere registrato il fallimento dei nuovi assetti politici in
quell’area, dopo avere esercitato il massimo della doppiezza in Siria
(appoggiando in modo frustrante e limitato i ribelli anti-Assad, tra i quali un
ruolo non secondario hanno i terroristi di Al Qaeda),
dopo avere incautamente disegnato una linea rossa, quella dell’uso delle armi chimiche, Barak Obama si trova solo con la Francia, un paese che tenta di sopire storiche delusioni con un attivismo internazionale condizionato da insufficienti risorse militari. Né il Regno Unito né altre nazioni della Nato, compresa la fedelissima Italia, lo seguono sulla strada dello strike annunciato
in Siria. Sul piano interno, al Congresso, a oggi, non c’è una maggioranza favorevole all’attacco. Ci vorrà un lungo e travagliato processo per evitare un vero e proprio voto di sfiducia nei confronti del presidente e della sua politica.
dopo avere incautamente disegnato una linea rossa, quella dell’uso delle armi chimiche, Barak Obama si trova solo con la Francia, un paese che tenta di sopire storiche delusioni con un attivismo internazionale condizionato da insufficienti risorse militari. Né il Regno Unito né altre nazioni della Nato, compresa la fedelissima Italia, lo seguono sulla strada dello strike annunciato
in Siria. Sul piano interno, al Congresso, a oggi, non c’è una maggioranza favorevole all’attacco. Ci vorrà un lungo e travagliato processo per evitare un vero e proprio voto di sfiducia nei confronti del presidente e della sua politica.
C’è una via d’uscita da
questo pasticcio?
Il G20 del 5 settembre
ha mostrato la solitudine degli Stati Uniti. Anche il papa, ritrovando
iniziativa pastorale e geopolitica, s’è schierato contro. L’unica base
possibile di consenso sarebbe la rinuncia all’attacco e la consegna del dossier
alle Nazioni Unite.
Rimane una domanda:
perché? Il sovrano americano non ha giustificazioni economiche o finanziarie. A
guardar bene, la guerra, limitata e circoscritta, che Obama vuole scatenare in
Siria è una guerra per conto terzi: per conto dei sunniti e dell’Arabia Saudita
che li sostiene. E per Israele per diffidare dal commettere passi falsi il
principale sostenitore di Assad, l’Iran. Insomma, vorrebbe realizzare un
intervento a gamba tesa in questioni infraarabe, nelle quali gruppi tribali e
religiosi si alleano e si combattono secondo geometrie instabili.
Basta una questione di
principio (la ‘punizione’ di Assad per l’uso delle armi chimiche) per
giustificare il colpo? Abbiamo dimenticato quali armi le truppe americane hanno
usato per distruggere la fortezza di Falluja in Iraq in mano ai qaedisti? I
rapporti di stampa e delle organizzazioni umanitarie sostengono che, tra esse,
c’erano i gas, cioè gli strumenti chimici oggi esecrati.
Non occorre ricorrere
alla dietrologia, per ritenere che Obama, con il tentativo di colpire la Siria,
intende recuperare a se stesso e al suo Paese l’influenza e, soprattutto, la
leadership perdute.
Purtroppo, questa
non è la strada. Il prestigio è difficile conquistarlo, ma facilissimo perderlo
irrimediabilmente.
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