I
DIPINTI VIAGGIATORI
di domenico Cacopardo
È l’autolesionismo che
guida la mano dei presidenti della Regione Sicilia e dei vari assessori alla
cultura nel firmare i provvedimenti che consentono a opere d’arte di viaggiare
nel mondo per partecipare alle varie mostre che si imbandiscono a uso di folle
più o meno vaste di visitatori. Autolesionismo e
insufficiente conoscenza di ciò che accade ai reperti viaggiatori.
Certo, soddisfa l’ego
dei personaggi presenziare ai vernissage ed essere gratificati dall’elogio
degli organizzatori, ma ciò non basta per assolverli dalle gravi responsabilità
che si assumono.
Né vale dichiarare, come
ha fatto Rosario Crocetta, che ha dovuto (sottolineo “dovuto”) onorare gli
impegni presi dei suoi predecessori: nulla vietava di revocare questi impegni e
sfido chiunque a dimostrare che il Mart, l’ultimo dei musei interessati,
avrebbe potuto e voluto iniziare un’azione giudiziaria contro la Regione.
Dicevamo autolesionismo.
Sì, l’autolesionismo di chi non si rende conto che gli amanti dell’arte sono
girovaghi e inseguono i loro sogni recandosi di persona nei luoghi in cui sono
custoditi reperti archeologici, dipinti famosi o meno, sculture, opere di loro
interesse.
Conosco un appassionato
che, volendo approfondire la storia artistica di Pisanello, s’è recato a
Palermo per vedere il Trionfo della morte del museo Abatellis (di incerta
attribuzione) e poi ha raggiunto Gangi per esaminare il dipinto dello Zoppo di
Gangi, Giuseppe Salerno, che raffigura un apocalisse, e poi al museo civico di
Bettona (Perugia) per conoscere l’opera, colà esposta, di Jacopo Siculo. Un
caso tra migliaia di persone che raggiungono la Sicilia per ripercorrere la
strada di Caravaggio da Siracusa a Messina (a proposito, nessuna iniziativa
specifica per i due capolavori del Museo regionale, salvo una serie di
improvvidi viaggi soprattutto per la Risurrezione di Lazzaro), a Palermo (dov’è
scomparsa la sua Natività); per ammirare la nave fenicia e i reperti
archeologici di Marsala o il Fauno danzante di Mazara del Vallo, inviato (ma vi
sembra normale?) sino in Giappone. Si tratta di un turismo appassionato e
competente nulla a che fare con i vacanzieri che hanno spinto tanti siciliani a
rovinare i litorali, le bellezze naturali.
Diceva Elio Vittorini
(parole riferitemi da Raffaele Crovi, suo primo collaboratore) che i siciliani
non amano la Sicilia, giacché hanno consentito (e consentono, aggiungo) la
devastazione della loro terra, dando anche il voto ai devastatori.
C’è poi l’ignoranza di
ciò che accade ai dipinti, alle sculture, agli oggetti archeologici che viaggiano:
accade, infatti, che subiscono continui e gravi stress che hanno inciso e
incidono sulla loro salute, sulla loro conservazione sul loro futuro.
Se parlassero
liberamente i restauratori della Risurrezione di Lazzaro o del Ritratto di
ignoto, si scoprirebbe che hanno subito danneggiamenti visibili a occhio nudo.
Quelli invisibili a occhio nudo col tempo si espandono e possono compromettere
l’opera nel suo insieme.
Insomma, un’altra
occasione perduta dalla Sicilia, l’avere messo in viaggio tre capolavori di
Antonello da Messina per una mostra che non esito a considerare stravagante, di
quelle immaginate per ragioni di cassetta del museo che l’organizza e gli
sponsor che la finanziano. Una ripetizione in sedicesimo di quella, magnifica
di Roma, Scuderie del Quirinale, che aveva consentito ad appassionati ed
esperti di fare il punto sull’artista. Dico stravagante, perché non esito a
dubitare che l’accostamento a L’altro ritratto, la contemporanea mostra Mart
sul ritratto fotografico (un mercato, quello della fotografia d’autore, in
crescita commerciale e, per di più, molto liquido) non sia casuale. Che si crei
un evento per il traino di un altro evento, molto ‘commercializzabile’, è
piuttosto frequente e starebbe agli amministratori pubblici porre un freno a
ogni tendenza speculativa.
A questo punto, “cosa
fatta capo ha”, se Crocetta intende decidere qualcosa di giusto e importante
per le opere d’arte presenti in Sicilia proponga al Parlamento una legge che
faccia divieto di spostarle con una sola esplicita eccezione: l’invio in
qualche laboratorio di restauro qualificato. In Italia, il più famoso, è
l’Opificio delle pietre dure di Firenze.
Il resto sono
chiacchiere da bar Sicilia di Gela, di Palermo o di Messina.
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