18 ott 2013

Un commento di Domenico Cacopardo sull’autolesionismo delle amministrazioni regionali.

  
I DIPINTI VIAGGIATORI
di domenico Cacopardo
È l’autolesionismo che guida la mano dei presidenti della Regione Sicilia e dei vari assessori alla cultura nel firmare i provvedimenti che consentono a opere d’arte di viaggiare nel mondo per partecipare alle varie mostre che si imbandiscono a uso di folle più o meno vaste di visitatori. Autolesionismo e insufficiente conoscenza di ciò che accade ai reperti viaggiatori.
Certo, soddisfa l’ego dei personaggi presenziare ai vernissage ed essere gratificati dall’elogio degli organizzatori, ma ciò non basta per assolverli dalle gravi responsabilità che si assumono.
Né vale dichiarare, come ha fatto Rosario Crocetta, che ha dovuto (sottolineo “dovuto”) onorare gli impegni presi dei suoi predecessori: nulla vietava di revocare questi impegni e sfido chiunque a dimostrare che il Mart, l’ultimo dei musei interessati, avrebbe potuto e voluto iniziare un’azione giudiziaria contro la Regione.
Dicevamo autolesionismo. Sì, l’autolesionismo di chi non si rende conto che gli amanti dell’arte sono girovaghi e inseguono i loro sogni recandosi di persona nei luoghi in cui sono custoditi reperti archeologici, dipinti famosi o meno, sculture, opere di loro interesse.
Conosco un appassionato che, volendo approfondire la storia artistica di Pisanello, s’è recato a Palermo per vedere il Trionfo della morte del museo Abatellis (di incerta attribuzione) e poi ha raggiunto Gangi per esaminare il dipinto dello Zoppo di Gangi, Giuseppe Salerno, che raffigura un apocalisse, e poi al museo civico di Bettona (Perugia) per conoscere l’opera, colà esposta, di Jacopo Siculo. Un caso tra migliaia di persone che raggiungono la Sicilia per ripercorrere la strada di Caravaggio da Siracusa a Messina (a proposito, nessuna iniziativa specifica per i due capolavori del Museo regionale, salvo una serie di improvvidi viaggi soprattutto per la Risurrezione di Lazzaro), a Palermo (dov’è scomparsa la sua Natività); per ammirare la nave fenicia e i reperti archeologici di Marsala o il Fauno danzante di Mazara del Vallo, inviato (ma vi sembra normale?) sino in Giappone. Si tratta di un turismo appassionato e competente nulla a che fare con i vacanzieri che hanno spinto tanti siciliani a rovinare i litorali, le bellezze naturali.
Diceva Elio Vittorini (parole riferitemi da Raffaele Crovi, suo primo collaboratore) che i siciliani non amano la Sicilia, giacché hanno consentito (e consentono, aggiungo) la devastazione della loro terra, dando anche il voto ai devastatori.
C’è poi l’ignoranza di ciò che accade ai dipinti, alle sculture, agli oggetti archeologici che viaggiano: accade, infatti, che subiscono continui e gravi stress che hanno inciso e incidono sulla loro salute, sulla loro conservazione sul loro futuro.
Se parlassero liberamente i restauratori della Risurrezione di Lazzaro o del Ritratto di ignoto, si scoprirebbe che hanno subito danneggiamenti visibili a occhio nudo. Quelli invisibili a occhio nudo col tempo si espandono e possono compromettere l’opera nel suo insieme.
Insomma, un’altra occasione perduta dalla Sicilia, l’avere messo in viaggio tre capolavori di Antonello da Messina per una mostra che non esito a considerare stravagante, di quelle immaginate per ragioni di cassetta del museo che l’organizza e gli sponsor che la finanziano. Una ripetizione in sedicesimo di quella, magnifica di Roma, Scuderie del Quirinale, che aveva consentito ad appassionati ed esperti di fare il punto sull’artista. Dico stravagante, perché non esito a dubitare che l’accostamento a L’altro ritratto, la contemporanea mostra Mart sul ritratto fotografico (un mercato, quello della fotografia d’autore, in crescita commerciale e, per di più, molto liquido) non sia casuale. Che si crei un evento per il traino di un altro evento, molto ‘commercializzabile’, è piuttosto frequente e starebbe agli amministratori pubblici porre un freno a ogni tendenza speculativa.
A questo punto, “cosa fatta capo ha”, se Crocetta intende decidere qualcosa di giusto e importante per le opere d’arte presenti in Sicilia proponga al Parlamento una legge che faccia divieto di spostarle con una sola esplicita eccezione: l’invio in qualche laboratorio di restauro qualificato. In Italia, il più famoso, è l’Opificio delle pietre dure di Firenze.
Il resto sono chiacchiere da bar Sicilia di Gela, di Palermo o di Messina.


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