di domenico Cacopardo
È troppo scafato Pierferdinando Casini per non sapere che, per i marò Salvatore Girone e a Massimiliano Latorre, la missione parlamentare in India non può ottenere alcun risultato. Serve a lui e ai suoi compagni di viaggio per mandare un segnale di esistenza in vita in Italia e per acquisire meriti inesistenti per un’evoluzione positiva –che non si vede- della vicenda.
Insomma, il presidente della commissione affari esteri dell’abolendo Senato ha fatto come gli ammiragli di Franceschiello che ordinavano agli equipaggi «Facimm’ammuina» e s’è guadagnato qualche titolo di giornale. Del costo del ‘giretto’ vorremmo notizie dai questori di Camera e Senato.
Certo i due giovani militari sono stati lieti della visita, ma quando si renderanno conto che i parlamentari italiani non hanno ottenuto nulla, nemmeno belle parole, capiranno che sono stati oggetto di un’ennesima cinica operazione politica.
E non solo.
Su di essi s’è abbattuto il dilettantismo, l’inconsistenza, la strumentalizzazione nazionale, a cominciare da quelli del cosiddetto governo tecnico di Monti, le cui personali responsabilità andrebbero approfondite.
Facciamo, però, un passo indietro: alla decisione cioè del ministro della difesa Ignazio La Russa di dotare le navi mercantili italiani, in navigazione in zone a rischio, di militari, con il compito di dissuadere eventuali assalitori e di reagire con le armi agli attacchi. La scelta del ministro non era così scontata, visto che l’alternativa, adottata largamente da altre nazioni europee, era di suggerire agli armatori il ricorso a contractors (ce ne sono tanti in giro, dopo la chiusura delle operazioni in Iraq), dispiegando in mare una forza navale integrata in quella internazionale dedicata alla prevenzione e al pronto intervento. Forza navale che, per il vero, è già schierata e opera all’interno di una vera e propria flotta composta da unità americane, europee e giapponesi.
Non sarebbe stato, quindi, strano affidare l’emergenza immediata ai contractors, in attesa dell’intervento della forza navale.
Nonostante le perplessità dei vertici della Marina Militare, si decise di accontentare il personale che aspira sempre a partecipare a missioni estere, molto ben retribuite.
Questo delle missioni internazionali dell’Italia è un argomento delicato, sul quale però, più prima che dopo, è necessario fare luce. La disponibilità delle forze armate ha due fondamentali ragioni: le ‘campagne’ (ogni missione equivale a una campagna di guerra) non sono solo ‘nastrini’ ma comportano punteggi per gli avanzamenti di carriera; i soldi che, in proporzione e a profusione, vengono elargiti ai partecipanti.
La missione a Timor Est del 1999, per esempio, fu accolta a braccia aperte a palazzo Baracchini (ministero della difesa) anche perché colmava lo squilibrio tra l’Aeronautica e le altre forze armate, impegnate in varie aree, in materia di ‘campagne’ e di ‘nastrini’.
12.601 km di distanza, tutti per via aerea, consentono di immaginare lo spreco di risorse e di mezzi. Per risparmiare, il ministero della difesa aveva stanziato un DC9 militare a Singapore come navetta per Timor Est. I generali raggiungevano comodamente Singapore in business class (o, addirittura, in costosissime cabine letto). Da lì, con il DC9, era facile l’up and down con Timor Est, acquisendo, in questo semplice modo, ‘la campagna’ e i suoi ‘nastrini’.Non venne in mente a nessuno che, per esempio, sudcoreani e indiani erano molto più vicini e sarebbero costati molto meno.
Ma torniamo a Girone e Latorre: sarebbe ora che il loro caso fosse trattato al livello giusto con il segretario generale delle Nazioni Unite, con il comando Nato e con Bruxelles. Purtroppo, per la presidenza italiana dell’Unione, mancano ancora cinque mesi: non possiamo aspettare tanto.
Nessun commento:
Posta un commento