L’amara verità di domenico Cacopardo
Le fabbriche italiane hanno ampi margini
operativi, produttività coreana, qualità tedesca, sindacati collaborativi.
Operano in un contesto in cui i servizi pubblici funzionano alla perfezione:
quando i capi dell’Elettrolux, per esempio, atterranno a Milano Malpensa,
percorrono un breve tragitto con le scale mobili e raggiungono la stazione
sotterranea dell’alta velocità. Qui le Frecce Rosse delle Ferrovie dello Stato sono
pronte a depositarli in pochi minuti nel centro di Milano o, in un paio d’ore,
a Venezia e a Trieste.
I rapporti con le autorità pubbliche sono
esemplari: ogni autorizzazione viene data verbalmente e confermata via mail in
giornata.
L’energia ha un prezzo competitivo e nell’alto
Adriatico i rigassificatori consentono di utilizzare carburanti puliti nelle
centrali.
La fiscalità (un modesto prelievo
dell’80% sui profitti) è ragionevole e il relativo contenzioso di facile
trattazione.
La giustizia è tempestiva ed equa e le
sentenze della Cassazione vengono rispettate in tutto il territorio, in modo
che le aziende sappiano bene quali sono i limiti delle loro decisioni.
La sanità pubblica funziona, come
funzionano poste e previdenza sociale. I costi sono minori della media europea.
La banda larga copre tutto il territorio
italiano, così le informazioni sono scambiate in tempo reale.
La portualità e l’intermodalità assicurano
rapidi trasporti dei prodotti in tutto il mondo.
Non si spiega quindi, perché l’Elettrolux
intenda ridurre il costo del lavoro, minacciando il trasferimento delle
produzioni in Polonia o in Ungheria, dove gli operai hanno bassa produttività,
i sindacati spadroneggiano e le pubbliche amministrazioni dormono.
Non è così: l’Italia è rimasta indietro
di trent’anni rispetto agli altri paesi che hanno realizzato celermente le
infrastrutture più moderne.
Di questo ritardo dobbiamo ringraziare i
governi, ma anche i parlamenti che, per esempio, nel 2000 (governo Amato,
Bassanini deus ex machina), hanno modificato il titolo V della Costituzione
impedendo l’agibilità di qualsiasi programma nazionale. Dobbiamo ringraziare il
sindacato, soprattutto la CGIL, che ha impedito l’adozione delle riforme che
avanzano in tutta Europa. E che ha solidarizzato con gli
antagonisti che devastano il Paese lottando ‘contro’ (dalla Tav ai
termovalorizzatori).
La Storia il conto lo presenta a tutti.
Quando la Serracchiani, Alicenel paese delle
meraviglie, sostiene che la competitività non la si può ottenere solo
abbassando i salari, ma facendo investimenti, qualcuno le spieghi che non si
possono costringere le aziende a investire in un Paese in cui non credono. Per
crederci dovrebbero constatare un impegno operoso per recuperare il tempo
perduto, per colmare il gap: ma di esso non si vede traccia.
Ubi pecunia, ibi patria. È la regola. E
non l’hanno inventata l’Elettrolux o Marchionne: l’hanno inventata l’economia e
il mercato.
Nessun commento:
Posta un commento