Pietro Grasso è un gran furbone, come
dimostra tutta la sua prestigiosa carriera: insomma sta stare a tavola
utilizzando bene coltello e forchetta senza mai uscire dal seminato con un’alzata
di testa, una bizza o una posizione radicale. Nella qualità di capo della
Procura nazionale antimafia, è stato capace di elogiare Silvio Berlusconi e il
suo governo per le leggi e l’azione contro la criminalità organizzata.
Se ha quindi deciso, in difformità al
parere del suo consiglio di presidenza, di costituire il Senato parte civile
nel processo nei confronti del medesimo leader della destra per corruzione di
un senatore, avrà avuto le sue buone ragioni.
Esaminiamole.
Va ricordato che, sul piano umano, la
decisione si iscrive nell’albo delle azioni alla Maramaldo (che uccise un uomo
morto). Infatti, il percorso processuale è scritto e l’imputato non riuscirà,
in presenza delle ammissioni-confessioni del senatore Di Gregorio, a uscirne
indenne. L’influenza processuale dell’avvocato dello Stato (speriamo che questa
non sia l’occasione per un remunerato incarico a qualche principe del foro) che
rappresenterà il Senato sarà pressoché uguale a zero.
Va poi detto che non si tratta di un atto
dovuto, come sostenuto da diversi parlamentari, a cominciare dall’ignorante
Laura Puppato. Si tratta di un atto libero, nel senso che il presidente del
Senato poteva scegliere tra il costituirsi e il non farlo.
Correttamente, Grasso lo ha definito un
dovere morale: una questione, quindi, che attiene all’etica personale di chi ha
il potere di decidere.
In realtà, si è trattato di un atto
politico, determinato da una serie di considerazioni d’opportunità. La prima
riguarda la situazione parlamentare, in cui un gruppo nutrito di scalmanati
mette ogni giorno a repentaglio il regolare andamento dell’istituzione. Il non
costituirsi parte civile, avrebbe rischiato di far mettere a ferro e fuoco
(un’espressione in fin dei conti non troppo traslata) l’aula e le commissioni. Non
si tratta di coraggio (il tempo ci farà capire se Grasso ne è dotato), ma di
opportunità: se si deve aprire un fronte di scontro,il processo Berlusconi era
del tutto sbagliato. La seconda ragione va di sicuro trovata nella pancia del
partito di maggioranza parlamentare (relativa). Come si evince dai commenti,
gran parte dei senatori del Pd pretendeva una decisione del genere: alcuni
disinteressati alle conseguenze sul patto Renzi-Berlusconi, altri decisamente
consapevoli della possibilità di una ritorsione del cavaliere. In terzo luogo,
nell’immaginario collettivo il non partecipare al processo, sarebbe stato
considerato un ennesimo intollerabile atto di complicità tra esponenti della
casta.
C’è un ultima maliziosa ragione da
segnalare: è che, dopo avere onorato il suo dovere morale, Pietro Grasso ha
migliorato il proprio posizionamento nella corsa alla posizione più ambita
dello Stato: quel palazzo del Quirinale che un giorno si renderà libero.
Come sempre, in politica contano, per chi
sa coglierle, le opportunità. E il nostro presidente del Senato non se l’è
lasciata scappare.
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