Immaginate che domani l’invasione delle
truppe russe in Crimea provochi i primi caduti e, quindi, gli effetti
dell’immancabile reazione dell’esercito e della
popolazione ucraina, quella che s’è rivoltata contro Yanukovich, il presidente-desposta
che, si dice, abbia sottratto 10 miliardi di dollari dalle casse dello Stato.
L’esito degli scontri è scontato. Al
prezzo di migliaia di caduti, la pax
russa sarà ristabilita sulla piccola penisola e sulla terraferma.
Mettetevi nei panni di Putin: un’area, conquistata
nel Settecento a opera di Caterina la Grande e del suo amante, generale
Potemkin, nella quale, oggi, il 58% della popolazione è russa, si trova esposta,
per la rivoluzione di Kiev, alla minaccia di una pulizia etnica volta
all’espulsione dei suoi concittadini. Se non interviene, il credito che
riscuote nell’Est e che gli consente di tenere legati a filo doppio una serie
di staterelli, tutti dotati di risorse energetiche imponenti, crollerebbe.
Del resto, già con la Georgia che
avanzava pretese su una propria repubblica autonoma con abitanti russi, la
grande Madre era intervenuta con l’esercito per impedire che l’enclave venisse eliminata.
C’è da aggiungere che l’Ucraina è
territorio di passaggio di un sistema di oleodotti e di gasdotti vitali per le
esportazioni e per la sopravvivenza energetica dell’Europa del Sud.
Dall’altra parte ci sono l’Unione europea
e gli Stati Uniti.
L’Unione europea non dispone della forza:
non ha un proprio esercito né una politica estera unitaria.
La Germania commercia con profitto con la
Russia e ne è partner privilegiato. Tanto che sta operando una sua mediazione
che avrebbe convinto Putin ad accettare la creazione di un ‘punto di contatto’.
Gli Stati Uniti, ridimensionati
dall’Iraq, dall’Afghanistan e dalle sciocchezze compiute in Medio Oriente, non
sono in condizione di far altro che mandare un po’ di armi e un po’ di soldi
(pochi, l’Europa nemmeno quelli).
A tutti coloro che, nel mondo
Occidentale, si ribellano nei confronti dello zar Putin, occorrerebbe chiedere:
«Morire per Odessa?», riecheggiando la domanda del ’39, quando ci si chiedeva
«Morire per Danzica», per spiegare che non era il caso di combattere una guerra
per quel lembo di territorio tedesco in seno alla Polonia.
Oggi, nessuno, a Occidente dell’Ucraina,
vuol morire per Odessa. Forse, qualche manipolo di terroristi ceceni, in
soccorso della parte islamica della popolazione, non altri.
Le ‘sanzioni’ di cui si parla, sono
scritte sul ghiaccio: la Russia è forte non solo e non tanto per le forze
armate, ma soprattutto perché è fornitore di energia per tutto l’Occidente e di
più per i paesi non nucleari come l’Italia.
«Morire per Odessa?» I milioni di europei
non ci pensano minimamente. E sarebbe il caso che i governi e l’Unione lo
dicessero chiaramente ai patrioti di Kiev a evitare ogni illusione.
Le migliaia di giovani in piazza debbono
sapere che, al di là delle ciniche parole di sostegno e di solidarietà di
Bruxelles e di Washington, nell’ora della verità, quella in cui ci si arrende o
si muore, saranno soli.
Nessun commento:
Posta un commento