29 apr 2014

un articolo del consigliere Cacopardo sugli apprendisti stregoni

Se avesse studiato –o, almeno, letto- un qualsiasi manuale di strategia, Barak Obama avrebbe imparato che, in politica, occorre misurare i passi e le decisioni con la capacità di sostenerli, alla luce delle forze in campo.
Se avesse usato l’elementare prudenza che questa regola impone a chi ha responsabilità di comando, avrebbe cercato di valutare, prima di scatenare le rivoluzioni nel Nord-Africa, cosa sarebbe potuto accadere dopo.
Sono passati tre-quattro anni dalla Rivolta dei gelsomini, la prima, scoppiata in Tunisia, e il bilancio nello scacchiere è fallimentare. Nella stessa Tunisia, mercé la regia francese, la situazione sembra stabilizzata mediante un ragionevole compromesso costituzionale tra integralisti e laici. Si tratta di un accordo fragile che può andare in crisi da un momento all’altro, non appena gli islamisti si produrranno in qualche nuovo affondo sulla condizione femminile o un attentato di loro adepti provocherà l’ennesima strage.
L’Egitto è uscito dall’instabilità e dalla sostanziale primazia dei Fratelli musulmani del presidente Morsi, vincitore delle elezioni, per il colpo di Stato militare che, presto, dopo una nuova consultazione, darà il governo al generale Mansour, ben deciso a ridimensionare il peso politico del radicalismo religioso. In una nazione dove esistono una borghesia laica e dove i giovani guardano a Occidente, il favore popolare sembra assicurato.
I disastri peggiori sono altri due: la Libia, in preda all’anarchia e con una forte presenza di milizie qaediste (presenti anche nel Sud della Tunisia) e la Siria, nella quale i qaedisti stessi hanno preso in mano il movimento anti Assad con tutte le drammatiche conseguenze di cui si legge sempre meno nei quotidiani occidentali, tutti sposati alla causa dei ribelli. Nemmeno le continue stragi di religiosi cristiani, la biblica fuga di qualche centinaio di migliaia di siriani verso l’Europa, riescono a introdurre un po’ di realismo nelle valutazioni delle opinioni pubbliche continentali. I governi, invece, sembrano più consapevoli (anche se tacciono) e investono nel sostegno ai ribelli nonqaedisti con risultati poco rassicuranti. Gli esperti valutano che i non siriani nelle file dei anti Assad siano la maggioranza e che appartengano a oltre 250 nazionalità diverse (in maggioranza, però, ceceni). Non è nemmeno chiaro dove sia oggi l’Arabia Saudita, visto che il suo sostegno al fronte rivoluzionario s’è trasformato in non voluto supporto al fronte di Al Qaeda (nemico n. 2, dopo gli sciiti).
Queste considerazioni sono la premessa di un breve ragionamento sull’Ucraina. Mutatismutandis, la questione sembra una Cuba rovesciata. Nella crisi di Cuba, Krusciev intendevano installare i propri missili a poche miglia dalla Florida. In questa, Obama intende completare l’accerchiamento dei russi con strumenti politici e militari.
C’è un secondo fine, nell’appoggio americano al governo provvisorio ucraino (nel quale ambienti della destra neonazista e xenofoba hanno un peso significativo): il ridimensionamento del ruolo della Germania, della sua ostpolitik, e dell’Europa nel suo complesso, più portata a commerciare che a competere con la Russia di Putin.
Alla fine, l’isolamento indurrà Obama a miti consigli per addivenire a un ragionevole accomodamento. Anche perché non ha altri strumenti di pressione, a parte il militare, opzione spuntata e, quindi, inesistente.

Ne valeva la pena?

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