Quasi quotidianamente, Roma torna all’attenzione per problemi propri che
finiscono per coinvolgere il Paese. La capitale è l’espressione più diretta dei
guai in cui versa la Stato italiano in tutte le sue articolazioni.
Nei mesi scorsi, abbiamo raccontato il disinteresse di Polizia municipale,
Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di finanza nei confronti del commercio
illegale di prodotti taroccati. Non mancano in proposito i celebrativi
comunicati stampa della Guardia di finanza sui sequestri effettuati nel
territorio nazionale. Ma, se qualcuno dei lettori romani avrà voglia di passare
da Ponte Sant’Angelo in questi giorni, vedrà lo spettacolo che abbiamo giàdenunciato.
Abbiamo aggiunto anche un suggerimento pratico per i comandi delle forze
dell’ordine: invece di mandare una pattuglia con due uomini da un lato solo del
ponte, occorre mandare più uomini contemporaneamente ai due lati. Ovviamente,
nulla è accaduto, anche se l’inutile suggerimento tecnico, costituisce,
nel caso qualche giudice intendesse occuparsi della questione, la dimostrazione
di un’omissione di atti di ufficio da parte di chi è responsabile del settore.
Mercoledì, finalmente, il prefetto di Roma Pecoraro s’è deciso e ha
risposto al capo della Polizia Pansa, autore di una incredibile dichiarazione
sul poliziotto cretino che sarebbe più o meno inavvertitamente salito
sul corpo di una dimostrante distesa in terra. Il dialetto di Pansa fa il paio
con quello del giudice Esposito e le esternazioni di entrambi si iscrivono
d’ufficio nella storia della deteriore napolitanità. Nessuno che ricordi di
essere investito di una pubblica funzione e obbligato ad assumere atteggiamenti
dignitosi se non solenni.
Sono le manifestazioni frequenti uno dei guai peggiori di Roma. Per gli
abitanti, ma soprattutto per i visitatori. In anno in cui veniamo a sapere che
l’Italia è scesa al terzo posto nel turismo, dopo Francia e Spagna, ci
permettiamo di chiudere gli occhi sul ruolo devastante che gruppi di scombinati
svolgono nel dissuadere gli stranieri a visitare il bel
paese.
La questione, che costa miliardi e migliaia
di posti di lavoro, non può più essere gestita col diritto mite,
variamente invocato da settori politici, culturali e giudiziari pronti a
chiudere gli occhi e a lasciar fare. L’esempio di Torino (notav) dovrebbe
essere seguito e se si ci sono giudici penali che hanno, nonostante
imponenti scorte, paura li si solleciti a passare al civile.
La democrazia, per sopravvivere, non può essere paralitica.
Infine, il comune di Roma. Onorando le peggiori
previsioni sulla sua sindacatura, dopo una serie di episodi curiosi e più o
menoimbarazzanti, il professor Marino rinuncia al
proprio assessore al bilancio (una magistrato della Corte dei conti) e ai tagli
da essa proposti.
Non si illuda, il professore reduce dall’America, di avere trovato il modo
di eludere le esigenze della finanza pubblica: fatalmente, se non affronta
energicamente il problema delle dissipazioni del suo comune e degli illegittimi
pagamenti ai suoi impiegati, può prepararsi a un altro inglorioso ritorno a
casa: non troverà più dirigenti dei Ds pronti a offrirgli una candidatura al
Senato.
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