Da ben trentaquattro anni l'Europa si ritrova periodicamente a rivivere il proprio evento comunitario fondante: quello cioè del contemporaneo suffragio per la democratica costituzione di un consesso che, seppur in nome di un'unità continentale fondata solo in parte su comparabili tradizioni storiche e culturali, ha progressivamente sviluppato la propria funzione legislativa vincolante accanto a quella consultiva, a sua volta speculare ed ordinata a quella esecutiva esercitata dalla collegialità dei ministri degli stati membri.
Inutile è negare che il processo storico correlato non sia stato e non sia tuttora esente da limiti e storture strategico-politiche di matrice nazionalista, che hanno non solo rallentato il compimento del già complesso progetto di graduale unificazione, almeno nella accezione di tale termine riferita alla tutela dei più “scontati” interessi economico-territoriali.
E tuttavia anche se dal 1980 sono ormai passati parecchi anni, forse essi tali non sono se si considera la improvvisa accelerazione nel cammino della integrazione– elemento dissonante rispetto ai ritmi mediamente determinatisi – culminata nel 2002 con l'avvento della moneta unica.
Di qui e cosicché viviamo – male -il cocente paradosso che nasce dalla constatazione di una eguaglianza comunitaria fittizia in quanto non seriamente riferibile al numero degli eletti di ciascuno stato membro quanto, più obiettivamente, al valore attribuito al prodotto interno lordo di ciascuno di essi. Di qui ancora: l'unica – e solo auspicata da alcuni - “livella” tra i costituenti rappresentata dall'euro diviene così l'esatto contrario, cioè elemento discriminante.
Ecco allora il generarsi del dannoso e destabilizzante ruolo egemone di paesi che, già forti di una pregressa, oculata e più virtuosa gestione della loro economia interna hanno anteposto, alla inesorabile e prematura corsa alla moneta unica, la lungimirante e precauzionale necessità di operare una congrua valorizzazione della moneta da dismettere rispetto a quella da adottare. La crisi economica ha fatto il resto.
E' tristemente tutta italiana poi la commedia recitata da alcune formazioni politiche, che pur non disdegnando di conquistare seggi a Strasburgo, proclamano l'uscita dall'euro, in un contesto di tragicomica ed inquietante incoerenza intellettuale, che uccide ogni logica in favore della diffusione di pura propaganda di pessimo ordine, non prologo di dittature come molti sostengono, ma solo eloquente vessillo di vacuità concettuale, che toglie fascino alla nobilissima arte della condivisione di ideali nei quali la tutela della migliore qualità della vita dell'uomo nella collettività - ma vogliamo qui dire nella Comunità Europea - può e deve essere prioritaria.
Oggi l'Europa è ancora "giovine", ma non solo: è anche immatura.
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