di domenico Cacopardo
Mentre a Mosca si festeggia l’accordo
stipulato da Putin con il premier cinese
Xi Jinping (è il settimo incontro tra i due), a New
York, capitale economica degli Usa –e non solo- ci si leccano le ferite
constatando il disastro totale della politica estera del presidente Obama.
Ieri, Jane Perlez, corrispondente da Pechino del New York Times, dedicava la
sua approfondita corrispondenza da Pechino proprio ai motivi di insoddisfazione
verso l’America, presenti in Russia e in Cina.
In Asia, Obama sostiene il rafforzamento
militare del Giappone, critica aspramente (e opera in conseguenza) l’attivismo
militare di Pechino nel mare Cinese del Sud mentre combatte una dura battaglia
cibernetica nella rete. Questa politica americana incide, prima di tutto, sugli
equilibri interni del monolito comunista, nel quale Xi non può mostrarsi più
debole dei suoi predecessori. E incide sui rapporti con il Giappone, il cui
risveglio nazionalista è visto con preoccupazione anche a Seul -ed è tutto
dire-. Ma, visti i precedenti nipponici non c’è da meravigliarsi più di tanto. Il
medesimo scontro sui problemi della rete sarebbe più facilmente ricomponibile
se si tornasse a ragionare in termini di utilità economico-finanziarie
incrociate, come s’è fatto in passato e, sottobanco, anche oggi, visto che
l’interscambio va bene e le aziende americane continuano a fare affari con le
aziende cinesi.
Putin con questo vero e proprio strike (la boccia abbatte tutti i
birilli) ha raggiunto una serie di risultati tattici (se diventeranno
strategici lo diranno i prossimi tre/cinque anni).
Prima di tutto, ha dato uno sbocco alla
crisi nella quale versa la Russia offrendo una prospettiva forte e sicura alla
sua economia. Trent’anni di contratto a partire dal 2018; 38 miliardi di
metricubi di gas l’anno per un prezzo complessivo di 400 miliardi di dollari;
un gasdotto di 2.200 km di lunghezza (55 miliardi a
carico della Russia, 22 a carico della Cina).
Intorno a questo asse principale si
svilupperanno tutte le altre occasioni commerciali e industriali, che, dato
l’avanzamento della Cina nelle nuove tecnologie, saranno di vitale importanza
per i russi, costretti a dipendere sempre di meno dalla Germania e, nel nostro
piccolo, dall’Italia.
Putin, però, ha ottenuto un risultato
ancora più significativo per la propria leadership:
ha dimostrato in modo inequivocabile il declino degli Stati Uniti e della Nato,
la loro perdita di peso politico e militare. Dopo lo scontro delle scorse
settimane intorno alla questione Ucraina, dopo le inutili e maldigerite
(dall’Ue) sanzioni, la Russia cambia scacchiere e stipula una forte alleanza
economica con la potenza del futuro, quella che ha ritmi –e soprattutto
margini- di sviluppo inesauribili soprattutto nei settori ad alto valore
aggiunto.
Il prossimo passo potrebbe essere una
cooperazione spinta nei programmi spaziali, cui gli Stati Uniti credono
scarsamente, ma che rappresentano un’occasione di crescita ulteriore delle
tecnologie leggere, quelle di cui la Russia ha più necessità.
L’Europa e soprattutto la Germania sono
sconfitte. La causa primaria è l’assenza (dell’Ue) dalla scena e
l’insufficiente peso della potenza leader.
Sarà il nuovo quinquennio a stabilire se
l’Unione ha una chance di diventare
un’entità politica (una politica estera e una difesa) o rimarrà sostanzialmente
un mercato comune: l’ibrido attuale è destinato a non reggere.
Dovrebbe averlo capito anche la signora
Angela Merkel.
Nessun commento:
Posta un commento