Sembra che un
diavolo malvagio (cioè ancora più diavolo di quanto si possa pensare) decida
ogni giorno di fornire argomenti a coloro che consideravano e considerano ‘Expo
2015’ una follia.
Ci si mette ora
la distinta categoria dei tassisti milanesi scesi in guerra contro Uber. Di che
si tratta? Si tratta di un’applicazione disponibile per i cellulari Apple e
Android; con essa ci si connette a una centrale, si chiede un taxi, un’auto a
noleggio con autista (NCA) o una limo di quelle lunghe dieci metri. Il sistema
(in automatico) individua la posizione di chi chiama e del mezzo più vicino e
comunica il costo del trasporto. Se si accetta, arriva il taxi e conduce a
destinazione. Si scende e ci si allontana, lasciando al massimo una mancia per
l’autista. Componente essenziale del sistema, infatti, è aprire un account
Uber, collegato a una carta di credito. Il prezzo della corsa viene acquisito
dalla centrale che, con periodicità breve, riversa ai tassisti quanto di loro
competenza (tenendosi una modesta percentuale per le spese di gestione). Dove è
stato adottato (36 paesi tra cui Cina, la Russia, il Sud-Africa e l’Unione
europea), Uber ha migliorato il servizio agli utenti e incrementato i ricavi degli
operatori.
Per gli operatori
economici, è ormai diventato una componente essenziale della
loro mobilità.
Perché a Milano
e in Italia tante resistenze?
C’è prima di
tutto una percentuale infinitesima (o no?) di tassisti che imbroglia sui
tassametri e sui percorsi. Con Uber non potranno più farlo. Questo, però, non è
il caso di Milano, che è stata la capitale morale del Paese. Oggi sembra non esserlo più, come
dimostrano le inchieste della Procura.
C’è poi un
matematico rapporto tra ricavi e carico fiscale: insomma, non si può più
evadere. E qui, probabilmente, è il punto chiave per capire quali ragioni
inconfessabili stiano dietro all’inspiegabile rifiuto e all’eclatante
dimostrazione di domenica.
C’è infine il
dato, accertato ovunque funzioni Uber, dell’aumento dei ricavi per gli
operatori del settore. Un aumento dei ricavi derivante dalla razionalizzazione
di chiamate e corse che determina un aumento di lavoro per tutti. Non si può
credere che ci si opponga all’aumento di lavoro, anche se, con le abitudini
nazionali, potrebbe essere realistico pensarlo.
Immaginate
Milano nell’Expo con o senza Uber. È evidente che non si può arrivare all’anno
prossimo senza il nuovo sistema adottato, messo a punto e in funzione.
Hic Rodhus hic
salta, dicevano i latini per fare intendere che
non si può aggirare un problema. E questo è un problema da risolvere presto per
non aggiungere a quelle esistenti altre perplessità tra coloro che intendono
investire nell’esposizione di prodotti o che intendono venire a Milano l’anno
prossimo per ammirare un evento mondiale.
Purtroppo,
siamo in uno Stato sempre più forte con i deboli e sempre più debole con i
forti.
In questo caso,
l’Italia (giacché non c’è in gioco solo Milano, ma tutto il nostro sgangherato
Paese) deve decidere e andare avanti. Anche per non confermare l’idea che ci
stiamo allontanando dall’Europa e dell’Occidente per diventare una
para-Argentina o un para-Venezuela in preda a un populismo distruttivo.
Un’unica chiosa
finale: se questo accade a Milano, cosa accadrà a Roma o a Napoli, in cui la
pregiata categoria interessata si distingue per civismo e disciplina?
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