Quattro giorni
al voto e l’Italia è percorsa dalla paura di un salto del buio senza rete,
alimentata da un irresponsabile demagogo, Beppe Grillo, personaggio tra
il comico e il drammatico come ne abbiamo visti in passato.
C’è una sola
risposta da dare ai timori ed è la risposta forte della riflessione e del
ragionamento.
Se passeggiamo
nel centro storico di una qualsiasi delle nostre città e ci guardiamo intorno,
vediamo palazzi e opere d’arte unici, contesti urbani che testimoniano
l’ingegno, la capacità tecnica e la voglia di
rischiare che hanno caratterizzato gli imprenditori italiani. Se approfondiamo
un poco, scopriamo che, per esempio, siamo stati all’avanguardia nella
tecnologia nucleare, nella costruzione di dighe, porti, ponti e gallerie, e che
lo siamo ancora in molti campi industriali, dall’alimentare al sanitario,
passando per la meccanica di precisione.
Se poi
osserviamo la vicenda “Criminalità mafiosa” in Campania, in Puglia, in Calabria
e in Sicilia, constatiamo che sono migliaia gli uomini e le donne con la
schiena dritta che l’hanno combattuta e la combattono a rischio della vita,
ottenendo risultati definitivi in molte aree e in molti campi. Anche
l’equazione mafia-politica è un teorema indimostrato perché, certo, ci sono
politici collusi, ma la politica non è collusa, anche se fa comodo a tanti che la gente lo ritenga.
In qualche
misura, è la società civile che, in molte zone, è collusa o è preda di una
mentalità mafiosa (fenomeni in evidente calo) e, perciò, esprime politici
incapaci di sceverare tra legalità e illegalità.
Insomma,
nonostante il nichilismo in circolazione, la bassa speculazione quotidiana su
episodi riprovevoli, ma mai tali da mettere in discussione il Paese, l’Italia è
ancora in piedi e può percorrere la strada per uscire dalla crisi.
Per questo
serio motivo, non possiamo abdicare al tentativo di “buttarla in vacca” con
asserzioni demenziali, ascoltate in questi giorni come “Il giorno dopo le
elezioni, che vinceremo, 1 milione di italiani andrà a Roma” (già sentita nel
1922), “Cacciamo Napolitano”, “Rivotiamo con il porcellum”, “Referendum contro
l’euro”, “Salario sociale” e via discorrendo.
Chi ragiona
capisce che si tratta di battute tragicomiche, alle quali occorre rispondere
con il voto, dato che non votare è, oggi più che mai, pavida, colpevole
diserzione, complicità con chi vuole distruggere l’Italia repubblicana e
democratica. E, votando, ricorrere all’unico strumento di cui disponiamo: la
ragione. La ragione che ci consente di analizzare le varie proposizioni e di
scegliere quelle responsabili e realistiche. La ragione che ci consente di
capire dove sono le battute, le volgarità e dov’è un disegno, una proposta.
Con la ragione,
comprendiamo che abbiamo iniziato, tra mille difficoltà, un cammino di modifica
dell’assetto istituzionale che renderà la nostra Nazione più e meglio
governabile. E che il passo successivo, caduti i veti della Cgil, sarà quello
di liberalizzare l’Italia, rimettendola non in cammino, ma in corsa sulla via
della ripresa.
Con la ragione
comprendiamo che ci vorrà tempo, ma che, come nella vita e nella storia non
esistono scorciatoie, non ce ne sono nemmeno davanti a noi.
Certo ci
sarebbe voluto al governo un personaggio autorevole, capace di rassicurare i
ceti produttivi, non un giovanotto arrivista senza cultura politica ed
economica.
Se ci guardiamo
intorno, però, ci sono solo vecchi bolsi e incattiviti che
guardano al passato e alle loro personali rivincite, nonostante i danni
che ci hanno inferto.
Bene, dopo il
terzo millennio, dopo i travagli della prima e della seconda Repubblica, siamo
entrati nell’età della ragione. Usiamola, impedendo a un nuovo medio-evo di
impadronirsi di noi.
IL SISTEMA: COME UN CAMPO DA RIARARE
Io
parlerei più di equilibrio che di ragione!
Negli
ultimi tempi, questa ragione.. tanto assimilata ad un cinico ed assoluto pragmatismo, ha
avuto le sue notevoli responsabilità cancellando ogni ideale e trasformando la
società in una realtà dove l’unica cosa che serve sembra essere il denaro e
qualunque mezzo per potersene impossessare.
L’uso
della ragione, declamata con giusta enfasi, dal cugino Mimmo, fa tanto pensare al
personaggio storico Machiavelli che ostentando la sua mitica frase “il fine giustifica i mezzi” ha
contribuito ad inculcare in modo negativo un principio che per certi versi ha
condizionato l’intera società nel libero sfogo di una furbizia poco costruttiva..
se non utile ad un proprio tornaconto.
Fatta
salva la storica concezione machiavellica che dovrebbe sapersi interpretare
caso per caso attraverso un’attenta disamina, la politica ha comunque teso a
muoversi di frequente e con prepotenza in questa comune logica, esaltando il
fine e mortificandosi nell‘uso dei mezzi più disperati ed assurdi: La politica
odierna sembra proprio ingabbiata in questa logica ricercando più spesso
un risultato finale e non tenendo in ben più alta considerazione i mezzi che
vengono usati per lo svolgimento del suo compito.
Il fatto è che, al contrario di come
possa vederla il cugino Domenico, oggi.. lo spazio alle idee, appare sempre più
chiuso dall’inconscia paura di non determinare alcun riscontro positivo
rispetto ad un mondo che tende a muoversi prevalentemente in direzione di
severi principi razionali eliminando, in via preventiva, qualunque incognita
ideativa o presupposto teorico… ed io credo che nel momento storico
attuale, forse anche a causa di una forte recessione mondiale, si
sopravvive attraverso l’unica risorsa mentale della tangibilità e della
concretezza, non reagendo con la forza delle iniziative e delle idee ed è
proprio questo che penalizza il giusto percorso della crescita di una società.
Le idee rimangono il disegno
della mente e costituiscono un sapere interiore. Esse devono sicuramente
rappresentare un modello assoluto di riferimento per la vita. Ma in un mondo
come quello odierno, pare nessuno voglia muoversi attraverso queste rilevanti
risorse del pensiero che sembrano le uniche capaci di spingere una positiva
crescita ed, attraverso le quali, l’uomo potrà riuscire a sottrarsi alla
propria sconfitta. Al contrario…assistiamo ad un diffondersi esagerato di
regole che stabiliscono scelte razionali, sia sul piano economico che sul
modello di vita sociale in generale, tanto spinte dal raziocinio, che finiscono
sempre col soffocare qualunque impulso dettato dai pensieri e dalle idee. Dare
spazio alle idee di ognuno non significa soltanto far crescere le persone,
ma far crescere un intero sistema.
Io credo che il periodo odierno
somigli più a quello mazziniano….ad un passato che accendeva gli animi della
politica verso la passione …attraverso
una nuova concezione storica che smentiva quella dei passati illuministi
basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la
forza dalla ragione. La storia ci dice che dopo le vicende della rivoluzione
Francese.. quei nobili fini s'infransero dinanzi alla realtà: Il secolo degli
illuminati era infatti tramontato venendosi a determinare una ribellione dei
singoli popoli in nome di un sentimento di nazionalità. La concezione
reazionaria contro cui Mazzini combatté strenuamente assunse un aspetto
politico-religioso contro le insidie del razionalismo e di un eccessivo
liberalismo.
Con la figura e la stessa parola cristiana
diffusa da Papa Francesco, sembriamo oggi rivivere l’onda di uno stesso periodo
di ribellione. Al contrario della logica machiavellica, ancora in voga per
l’eccessivo liberalismo ed il predominante pragmatismo, la visione politica mazziniana, sebbene ideologica ed ormai
passata, sembra stia prendendo il passo come una reazione che pare guidarci in
direzione di una concezione progressiva ed un maggior benessere sociale.
Questa è la ragione per la quale
sarà proprio l’equilibrio e non proprio la ragione a divenire indispensabile…
come per ogni cambiamento storico.
Anch’io nutro fortissime perplessità
sul Movimento di Grillo…perplessità e angosce che a differenza che su Renzi.. restano
più concentrate nel metodo, ma non posso non manifestarne altrettante per ciò che
riguarda nel merito il progamma di Renzi..ed allora..?
Se si vuole cambiare…bisogna avere
la forza di affrontare i cambiamenti..di accettarli nel bene e nel male, anche contro
noi stessi. Se altrimenti restiamo fermi e succubi delle regole imposte da un vecchio
sistema, nulla cambierà mai.. qualunque ragione si possa imporre!
Concludo con una metafora che rende
forza a questo mio pensiero:
“Potremmo paragonare il sistema in cui viviamo e ci rapportiamo, ad un
campo sul quale andrebbero coltivati i semi (nuove regole costituzionali -
nuovo sistema politico). Il frutto dovrebbe essere quello della
“democrazia”. Ma se il campo è malato, arato male, senza un’attenta
concimazione, il seme non crescerà mai bene ed il raccolto sarà inevitabilmente
il frutto di tutto ciò: un raccolto guasto (ovvero una democrazia non
definita), al quale si aggiungeranno i parassiti ( come la burocrazia) che
divoreranno questo raccolto rendendo il campo una coltre ancora più
desolata.
Il campo và ricomposto e preservato in modo da potervi ripiantare i nuovi semi per l’attesa e la crescita di un buon raccolto e per evitare l’arrivo di qualsiasi altro parassita.
Il campo và ricomposto e preservato in modo da potervi ripiantare i nuovi semi per l’attesa e la crescita di un buon raccolto e per evitare l’arrivo di qualsiasi altro parassita.
Oggi il parassita della “burocrazia” regna sovrano in un
Paese che soffre in concorrenza, crescita e funzionalità, la burocrazia sembra
essere persino fomentata da chi gestisce potere politico: essa torna utile
poiché, il disbrigo della stessa, rende ancora più forza a chi, il potere, lo
gestisce. Se, a questa, aggiungiamo l’assoluto e dilagante pragmatismo
delle rigide ed immutevoli istituzioni, allora l’uomo e la società
continueranno a perdurare in una realtà simile a quella di un basso medioevo. Bisognerebbe,
invece, spingersi verso un nuovo rinascimento, riarando il suddetto campo per
l’attesa del buon raccolto ed il rifiorire dei valori di una giusta
democrazia. Nulla potrà mai inventarsi la politica, se non un cambiamento
che possa partire dalla base e cioè dalla ricomposizione e la rifioritura del
suddetto campo.”
vincenzo cacopardo
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