Esplode il Mose
L’abbiamo ripetutamente scritto che la concessione pubblica per il Mose, affidata al Consorzio Venezia Nuova, aveva vari aspetti di opacità, sottolineando che era il caso che il ministro delle infrastrutture Lupi affrontasse il problema, disponendo una Ora, il coperchio sulla questione lunga trent’anni viene sollevato dalla magistratura.
Ricapitoliamo: trent’anni fa, lo Stato affida a un consorzio capeggiato dall’azienda pubblica Italstat tutto il procedimento per la realizzazione del sistema di difesa di Venezia dalle acque alte. Si tratta di porre in opera alcune paratoie mobili nelle tre bocche lagunari, in modo da impedire o, comunque, rallentare l’afflusso delle maree, mettendo in sicurezza la città. L’operazione è molto complessa, giacché, diminuendo il ricambio laguna-mare si accentuano i carichi inquinanti e si mette in pericolo la salute degli abitanti del capoluogo e della cosiddetta
Consorzio, questo, cui compete la progettazione, la sperimentazione dei manufatti (oggetto di modelli matematici e fisici), la realizzazione delle opere preliminari e di quelle effettive, la cui dimensioni possono essere definite imponenti. Già nelle progettazioni le cose non cominciano a funzionare come si deve. All’origine, si stabilisce che la progettazione e gli studi siano effettuati a Venezia, allo scopo, innanzi tutto, di formare un gruppo di tecnici e una cultura utilizzabili in tutte le realtà sono assimilabili per problematiche e difficoltà alla laguna. Tuttavia, la società Technital, affidataria della progettazione pensa bene di realizzarla –formalmente- nella casa madre di Verona, ma, effettivamente, di subappaltarla a varie realtà anche milanesi, in alcuni casi create
Strada facendo, il consorzio cambia pelle. Liquidata l’Italstat, la sua quota maggioritaria è suddivisa tra altri soci, talché, per un certo periodo, è l’Impregilo ad assumersi la direzione di tutta la struttura.
Insomma, quel presidio dell’interesse pubblico rappresentato da un’azienda di Stato, che legittimava –soprattutto politicamente- l’operazione, viene meno. Periodicamente, lo Stato elargisce i finanziamenti necessari, tanto che, ormai, i lavori sono prossimi al termine e alcune paratoie sono istallate. Il punto critico, a parte le questioni di cui si sta occupando la magistratura veneziana e di cui presto sapremo di più, è costituito dal sistema di controllo pubblico, di cui abbiamo detto all’inizio, dei costi e dei prezzi pagati.
L’ufficio statale incaricato della vigilanza sull’opera e della liquidazione degli stati di avanzamento è il Magistrato alle acque. Svuotato di competenza e di personale non è, ormai da un ventennio, nelle condizioni di onorare efficacemente l’incarico, per carenza di uomini e di professionalità. Quindi, in modo palese, sotto gli occhi di tutti, il Consorzio presta al proprio sorvegliante –inviandoli a lavorare negli uffici di Rialto- i tecnici e i contabili che debbono esaminare i documenti di spesa e liquidare i pagamenti. Il controllore si giova del controllato per esercitare il controllo: un pasticcio impensabile in qualsiasi altra realtà.
Il danno prodotto è incalcolabile, allo stato delle cose. Sia le progettazioni che i lavori sono stati pagati in modo che molti giudicano esagerato (e, in tale esagerazione, potrebbero essere state trovate le risorse per pagare tangenti, se tangenti sono state pagate): per questa ragione abbiamo proposto al ministro delle infrastrutture Lupi di dare il via alla già indicata
Il momento è venuto perché un’operazione del genere, di natura squisitamente amministrativa, di supporto alle indagini dell’autorità giudiziaria, sia avviata. E, se il ministro non intende entrare nel merito, sia la procura della Repubblica ad affidarla a un soggetto idoneo di caratura, possibilmente, internazionale. Certo, gran parte dei soldi erogati, non sono recuperabili, per prescrizione, a meno che non siano frutto di reati di tale gravità da protrarre il diritto alla cosiddetta
Detto questo, c’è da sottolineare che, al punto in cui siamo, le opere debbono essere terminate e Venezia deve essere messa in sicurezza. Lo strumento non può che essere quello esistente che, comunque, dispone di metri cubi di studi e di contratti. Per la tutela della finanza dello Stato e la regolarità futura, occorre un commissario che faccia piazza pulita, riveda i conti e prosegua l’opera: ci pensino i magistrati se non ci pensa il ministro.
Ci risiamo!..senza un commissariamento non si riesce ad andare avanti. Ogni opera di questo Paese sembra destinata a passare sotto gli occhi ed il controllo di un commissario.
Il progetto Mose è sicuramente un'opera da dover terminare. La sua peculiarità progettuale nella difesa della bella Venezia si esprime attraverso un geniale congegno che tende ad alzare le grandi paratie metalliche con un sistema acqua -aria.. creando una utile barriera a difesa delle maree più alte. Un progetto che nasce trenta anni fa e che ha visto una lentissima esecuzione dei lavori trasferendo nel suo iter, come afferma con competenza Domenico, quel presidio di interesse pubblico rappresentato da un’azienda di Stato.
Non c'è da meravigliarsi nel costatare l'incalcolabile danno economico dovuto dal lunghissimo tempo e dai cambiamenti improvvisi. Come può mai durare oltre trent'anni la costruzione di un'opera che tra l'altro sembra aver passato il suo iter burocratico delle procedure (comune-regione-commissione lavori pubblici-ambiente etc.) proprio in considerazione di una messa in sicurezza di una delle più belle città del nostro Paese?
Risulta ormai presumibile (in considerazione di una cattiva mentalità ormai radicalizzata) che chi vi opera per la progettazione e l'esecuzione possa approfittare dei lunghissimi tempi per occupare spazi di potere remunerati attraverso tangenti. Come in ogni grande opera che dura in eterno e che vede il ricambio di competenze..si aprono spazi per beneficiarne illegalmente .
Anche questa volta la magistratura (spesso vituperata ) dovrà indagare ed un nuovo commissario potrà rivedere i conti, ma quello che riesce difficile da capire è l'atteggiamento di una certa politica che rimane sempre assente in questi evidenti casi di propria competenza. Ogni qual volta che un nuovo ministro siede nella poltrona di riferimento non riesce mai ad approfondire, mettere chiarezza e risolvere le problematiche inerenti opere di simile portata ed importanza.
A che serve dunque amministrare..se non si ha l'accortezza di occuparsi con competenza delle attività inerenti il proprio dicastero? Di saper mettere in atto le soluzioni? Di poter contrastare preventivamente simili malefatte evitando di far intervenire la magistratura?
vincenzo cacopardo
Nessun commento:
Posta un commento