27 giu 2014

Una nota sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul calcio nazionale



Una Waterloo prevista di domenico cacopardo

Perché tra un mediocre calciatore italiano e un mediocre calciatore straniero le società scelgono lo straniero? Perché i giovani promettenti sono costretti, per giocare, trasferirsi all’estero? Giuseppe Rossi, un fuoriclasse perseguitato dagli incidenti di gioco, s’è affermato in Spagna, prima di tornare in Italia. Verratti, una delle poche note positive del Mundial, gioca nel Paris St. Germain, dopo essere stato scoperto e lanciato da Zeman (uno fuori dai giri) nel Pescara. Sirigu, il portiere che nulla ha da invidiare a Buffon, dal Cagliari è anche lui andato a Parigi.

Personalmente non ho una risposta precisa: chi se ne intende spiega che le operazioni estere delle società di calcio sono ‘operazioni estere’ e nella tautologia c’è tutto. La movimentazione di denaro fuori dall’Italia, soprattutto in Sud-America e in Africa (le due aree elettive per l’acquisto di giocatori) consente di ottenere una interessante provvista di valuta non rintracciabile dal fisco e dagli occhiuti militi della Guardia di Finanza. E chi se ne intende aggiunge che non ci sarebbe altra ragione nella cosiddetta passione calcistica di tanti improbabili personaggi, non di rado con problemi con la giustizia, che acquistano le squadre di calcio e le continuano a gestire nonostante bilanci in disavanzo costituzionale e formali ‘remissioni’ annuali.

Se tutto questo fosse vero, quanto accaduto al Mundial e nelle ultime competizioni internazionali avrebbe una logica ragione: il sistema è malato e non può che dare questi risultati. La Lega calcio, ingessata da anni in una presidenza ad interim, affidata a un exgiornalista Rai, passato dall’entourage di Montezemolo (anche lui con importanti trascorsi calcistici per Italia ’90), e approdato a Unicredit, è un luogo di mediazione di interessi: su questi interessi –non dichiarati né dichiarabili- non c’è mai stata inchiesta giornalistica capace di ​fare luce. 

La Federazione Italiana Gioco Calcio limita la propria azione di coordinamento e controllo nel porre la propria mano benedicente e innocua sugli interessi delle società e della Lega stessa: capacità di incidere dell’organo sovraordinato (FIGC) uguale a zero, salvo il brevissimo intervallo di Guido Rossi commissario. Una stagione effimera, la sua, conclusa rapidamente con il ritorno al vecchio establishment rappresentato da un consunto arnese democristiano (già deputato) come Luigi Abete, una carriera federale ultraventennale. 

Certo, anche la politica ci ha messo del suo. C’è infatti un’altra domanda la cui risposta è rivelatrice: perché i comuni e tutto il sistema (governo e Parlamento) sono contrari alla realizzazione di stadi di proprietà delle società calcistiche? C’è una sola risposta: gli stadi comunali sono l’occasione per l’esercizio di potere verso le società e, soprattutto, rendono necessario un sistema di appalti pubblici per le esigenze che presentano: manutenzioni, aggiornamenti, gestione di personale. Perché permettere che questa fonte di denaro si prosciughi d’improvviso, come accadrebbe se gli stadi fossero strutture private?

C’è un’ultima osservazione di merito e di diritto. Si sostiene che la sentenza Bosman (la decisione presa nel 1995 dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee che consente ai calciatori professionisti europei di lavorare in tutte le società dell’Unione, senza limiti) obbliga il calcio italiano a non porre ostacoli al tesseramento e utilizzazione. Tanto che molte società, per esempio l’Inter, scendono in campo senza nemmeno un italiano. Da ciò deriverebbe la ristretta platea di calciatori tra i quali i commissari tecnici possono scegliere i nazionali. In questa asserzione c’è un doloso falso. Basterebbe introdurre un sistema di rappresentanza per fare tornare gli italiani sui campi di calcio: ogni società dovrebbe schierare in campo alcuni giocatori (tra tre e sei) provenienti dalla regione in cui ha sede. Ci sarebbe così una precisa ragione sportiva per chiamarsi Lazio, Roma, Napoli e così via. 

Tutte cose ben note: salvo un deciso intervento di Giovanni Malagò, una persona pulita estranea ai vecchi giochi, la Federazione chiuderà la crisi con una soluzione interna e di continuità. E tutto rimarrà come ora.



Tutto ha una logica ragione ed una conseguente deriva: il sistema del calcio è malato come del resto lo è quello della politica del nostro paese. 

Non posso che essere in completo accordo con quello che Domenico espone. Al di là delle ormai note movimentazioni di denaro fuori dall'Italia per acquisti e scambi di giocatori...ciò che ha rovinato questo sport sono proprio gli enormi interessi di denaro che vi girano intorno. Interessi che hanno finito col togliere la vera natura sportiva.... Nulla in questo gioco ormai speculatorio che prende spunto da un pallone, ha più a che vedere con la parola sport... nel momento in cui finisce col drogare giovani ragazzi pieni di fatue speranze.

Quanto poi al sistema, tanto innaturale...quanto poco costruttivo di inserire un numero enorme di presenze straniere in una squadra cittadina, non ci sarebbe nemmeno da spendere alcuna parola... se non fosse che tutto ciò non fa che frenare le poche speranze di far nascere dei potenziali campioni nel nostro Paese. Rispetto a ciò che afferma il cugino Domenico circa un sistema che preveda per le squadre nazionali..un certo numero di presenze straniere, io sarei ancora più drastico asserendo che il limite dovrebbe essere posto su non più di due... e che gli stessi giocatori dovrebbero essere in maggioranza nativi della città che la squadra rappresenta...

Ciò che colpisce veramente è la capitolazione del gioco del calcio nell'ambito di un'economia globale. Regole di una economia moderna che hanno sottomesso ancora di più le logiche di uno sport che doveva servire da esempio per l'educazione dei giovani e che invece ha finito col restare prigioniero di un mercato finanziario poco edificante.

L'accostamento di questo fenomeno con quello avvenuto nella politica odierna non è da sottovalutare. Se dobbiamo procedere per analisi, possiamo accorgerci, da un altro canto, di quanto, oggi, la politica tenda a discutere con terminologie calcistiche assai spropositate e fuori luogo... elaborando una subcultura mentale eretta su strategie non proprio confortanti, né costruttive. 
vincenzo cacopardo




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