Scrive il cugino Domenico su Italia Oggi...
« La sensazione che si ricava da qualche breve colloquio col personale di governo è quella di un caos incontrollato. I provvedimenti da approvare sono in sostanza due, il jobs act al Senato e la legge di stabilità in consiglio dei ministri.
Manca un regista. Un punto di riferimento che monitorizzi la scrittura delle norme, la discussione preliminare, l’individuazione dei nodi politici e delle soluzioni. La presidenza del consiglio ipertrofica, messa insieme da Matteo Renzi con gente di varia, e non tutta brillante, estrazione opera in modo scoordinato e avventurista.
L’istituto intorno al quale si sono costruite le fortune e le sfortune dei vari gabinetti, il preconsiglio, composto dai rappresentanti tecnici di tutti i ministri è stato abolito. Era il luogo dove si discutevano le proposte di legge prima che andassero nel consiglio, quello vero e legittimato a decidere. Era presieduto dal sottosegretario alla presidenza-segretario del consiglio dei ministri. Leggendarie alcune figure, da Giuliano Amato a Gianni Letta, capaci di arare il terreno sino in fondo, in modo che quando le questioni erano sul tavolo del «premier» e dei suoi ministri c’era solo da dire «Sì, il testo corrisponde alle intezioni del governo».
Non è solo questione di persone, naturalmente, ma è anche questione di persone, visto che al consiglio dei ministri arrivano provvedimenti che nessuno ha esaminato, spesso in semplice cartellina o scaletta.
L’Italia ha una quantità e una qualità di problemi tali da esigere riflessione e capacità tecnica e politica.
Certo Matteo Renzi corre da tutte le parti: da Assisi a Termini Imerese, da Detroit a Brescia. E rappresenta in questo modo la propria volontà di essere vicino al corpo elettorale, per tranquillizzarlo e spingerlo alla fiducia. E parla in continuazione, spesso smarrendo il filo della coerenza. I risultati significativi che ha raggiunto sono politici e sembrano, purtroppo, effimeri. La minoranza del Pd, maggioranza nei gruppi parlamentari, diventa condizionante e mostra come sia mancato un secondo tempo, dopo l’elezione del segretario l’8 dicembre 2013: il tempo del consolidamento del nuovo «leader» nella propria «leadership» con la scelta accurata di collaboratori e di responsabili dei vari uffici.
La medesima rottamazione del personale excomunista ed exdemocristiano s’è arrestata, tanto che, per risolvere il problema del commissariamento dell’Inps, si è dovuti ricorrere a una degna persona, Tiziano Treu, grande esperto di area Cisl, che, però non corrisponde all’«identikit» anagrafico disegnato da Renzi e dai suoi stretti collaboratori, il «giglio fiorentino» che lo circonda, lo protegge e ne interpreta le intenzioni.
Oggi, assisteremo all’incontro governo-sindacati: un’esibizione mediatica nella quale Renzi farà la parte del riformatore che si batte contro il conservatorismo del sindacato stesso.
Ma mercoledì, al vertice europeo di Milano, potremo valutare le dimensioni dello scoglio che l’Italia incontrerà nella sua decisione di superare il deficit del 2014, concordato nel 2,2%. Un pessimo segnale è la notizia che la Merxel e Renzi terranno, al termine conferenze stampa separate. Vuol dire che, a oggi, l’area del dissenso è così vasta da non poter immaginare un possibile compromesso, un punto di incontro che non smentisca nessuno e lasci qualche margine di movimento agli italiani.
A questo va aggiunto –e ben più importante- lo stop ricevuto da Mario Draghi che, nell’incontro del 3-4 scorso a Napoli ha dovuto operare una riconoscibile marcia indietro nel suo progetto di ampliare i cordoni della borsa della Bce, finanziando direttamente il debito degli stati.
Questa scappatoia non è per il momento disponibile.
Le speranze riposte nel ministro dell’economia Pier Carlo Padoan sono impallidite, oscurate dall’attivismo un po’ sconclusionato di Renzi che ha riportato a sé e al suo «staff» di esperti, dalle qualità tutte da scoprire, la regia della politica economica.
Una cosa nient’affatto rassicurante, visto il modo di procedere.
Non ci resta che aspettare la fine del mese, l’addio della vecchia Commissione europea, che fra il 29 e il 30 dovrebbe indicarci in modo cogente la stretta via da seguire, e l’insediamento della nuova che promette di porre al primo punto la ripresa e al secondo un massiccio investimento in infrastrutture (in Italia dovremo chiedere il permesso alle regioni, ai Black-block, agli anarchici e quell’esempio di nuova politica che è il sindaco di Messina, Accorinti, vincitore delle elezioni con la lista Noponte).
Insomma, abbiamo ancora qualche giorno per alimentare un’immotivata speranza.»
domenico cacopardo
Mi domando cosa ancora dobbiamo aspettare?. Sembriamo insensatamente seduti sulla riva del fiume aspettando in cadavere del nostro Paese.. sempre più attaccati all'effimera speranza di non vederlo mai arrivare...
Il cambiamento che avremmo voluto e desiderato affinchè si potesse in qualche modo contenere nei limiti il defoult della Nazione non poteva mai affrontarsi come pretende di fare.. in modo assoluto.. Renzi.
Il cambiamento deve per forza essere rivoluzionario e di idee...non sistemico.. ma anti-sistemico in senso innovativo!
Il sindaco d'Italia persevera con riforme che aiutano chi è dentro il sistema aumentando le buste paga di chi un lavoro lo ha già (vedasi gli 80 euro ed il TFR)... dimenticando quasi intenzionalmente chi un lavoro non può averlo o chi sopravvive con misere pensioni..si scorda di spingere verso la crescita favorendo nuove iniziative e rimane inerte verso il lavoro delle libere professioni. Il suo ipocrita modo di procedere sembra studiato per amicarsi ed assicurarsi il consenso di tutta quella parte di lavoratori dipendenti che possono oggi usufruire di un posto di lavoro. Il suo è un percorso studiato per tenersi stretto un consenso nella eventualità di nuove elezioni.
La lettura non sarebbe difficile... se appena si volesse guardare con attenzione la strada determinata di un premier, simulata da un conformismo, costantemente diretta a beneficio di quella classe lavoratrice che può assicurargli la sicurezza di un consenso.
Ma la sostanza è quella che lascia intravedere ovunque una totale mancanza di lavoro... per cui ogni regola nel merito (se pur ostentata attraverso le regole un «job act») non potrebbe mai portare alcuna crescita... e comunque mai quella di cui avrebbe bisogno il nostro Paese. L'edilizia è al palo già da anni ed il sud precipità nel più profondo buio...le aziende ancora in piedi...molto spesso non hanno commesse ed il costo del lavoro rimane altissimo... quale crescita potrà mai esservi senza le nuove idee in tal senso?
vincenzo cacopardo
vincenzo cacopardo
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