Probabilmente Adam Smith approverebbe l’idea di smobilizzare una parte del Tfr, restituendolo in busta paga ai lavoratori cui compete. Si tratterebbe, infatti, di un fatto coerente con l’Illuminismo settecentesco e con la dottrina liberale che considera l’uomo (libero) degno di fiducia, molto più che lo Stato.
Le osservazioni che si leggono in giro (l’accantonamento in vista di spese importanti a fine lavoro o il definitivo crollo della previdenza integrativa) rientrano nel pensiero dominante, che incrocia la dottrina sociale (soccorrevole) della Chiesa al credo comunista dello Stato ‘governatore’ degli uomini, e non convincono.
Ogni operazione messa in piedi sulla via della liberazione dell’individuo è eticamente superiore ed economicamente opportuna.
Tuttavia, «hic et nunc» (qui e ora), l’uso del Tfr suggerisce una constatazione e apre un problema. La prima è che, viste le difficoltà di trovare quattrini nel bilancio dello Stato, è facile governare con i soldi degli altri. Il problema è che l’accantonamento del Tfr è una risorsa aziendale, l’unica rimasta a causa di un erario dedito al saccheggio dei profitti generati da ciò che resta dell’economia privata. E questo non è un frutto di un destino avverso che ci perseguita da almeno vent’anni. È il frutto avvelenato (il maggiore protagonista Vincenzo Visco, inventore dell’Irap) della convinzione che il cittadino è un incapace incosciente, pericoloso evasore che occorre porre sotto stretto controllo (fiscale) in modo che non abbia i mai i quattrini per vivere la vita che preferisce. L’ideale, il massimo della felicità per i sadici che propugnano la posizione è il cittadino dipendente dello Stato, seguito e diretto dalla nascita alla morte. L’esempio più evidente l’Unione sovietica.
In Italia, gran parte del personale politico (quasi tutto d’accatto, nel senso che è composto da gente che non ha saputo affrontare ed esercitare una qualsiasi attività lavorativa), anche di centro-destra, visti i risultati, non s’è reso conto che il capitalismo ha vinto e governa il mondo. E che alle sue regole occorre adeguarsi.
E non pare proprio che il nostro giovane presidente del consiglio sappia bene cos'è successo: basti il fatto che cita, nel suo Pantheon personale, gente come La Pira e don Milani che rappresentano la negazione della contemporaneità.
Quindi, ordinando alle imprese di erogare, in busta paga, una parte del Tfr, si costringe il sistema produttivo a privarsi di risorse reali o di accantonamenti virtuali che non possono essere utilizzati senza «svaccare» conti economici, investimenti per ricerche, riserve fisiologiche.
Certo, quest’operazione non è farina del sacco di Renzi, ma dovrebbe discendere dal suo «staff» di consulenti. Sarà bene che ci si pensi su in modo approfondito, tralasciando il contributo di organizzazioni virtuali come la Confindustria, per puntare sulle opinioni del mondo finanziario, a partire proprio da Mario Draghi, che, il «premier» ha difficoltà ad accettare come riferimento, visto il gap culturale e, in sostanza, politico.
Il semestre italiano di presidenza dell’Unione entra nella fase conclusiva senza fatti o iniziative degne d’essere ricordate, a parte la riunione dei ministri della cultura a Torino, promossa dal nostro Franceschini. Né per i prossimi mesi si vedono proposte degne di catalizzare l’attenzione dei nostri «partner».
Non è però il momento della rassegnazione. È il momento di agitare le acque rilanciando una posizione italiana sulle sanzioni alla Russia, sui problemi energetici, sul «dumping» fiscale, sul programma di infrastrutture europee, immaginato negli anni ’80 da Delors e mai attuato.
Se la fiducia è una componente essenziale della guerra alla recessione, è il momento di sollecitarla, con decise iniziative in Europa, a Bruxelles, a Berlino e a Francoforte.
E se il bottiglione (non fiasco) Renzi contiene vino buono, è il momento di versarlo.
A parte la divertente battuta sul bottiglione... vorrei accompagnare l'articolo del cugino Cacopardo con una nota riguardante il TFR in busta paga..Una semplice domanda che in sé è anche una constatazione logica che si fanno tutti coloro che oggi non hanno lavoro: Ma perchè Renzi continua a favorire chi un lavoro lo ha già? ...Ovviamente perchè è la strada più facile, ma anche perchè è furbo e talmente sistemico da voler mantenere i consensi di tutta quella classe lavoratrice subordinata in gran parte alle pubbliche amministrazioni.
Si..è vero, come asserisce Domenico vi è un problema di risorse che verrebbero a mancare alle aziende ...ma non può solo essere quello il problema e quando si tocca il tema del lavoro.. bisognerebbe immedesimarsi con maggior impegno sulla mancanza di una crescita e sulla disperazione di chi il lavoro lo cerca e non lo ha.
Il sindaco d'Italia continua imperterrito a seguire metodi di regolamentazione e ricerca di risorse per chi un lavoro lo ha già e questo è veramente imperdonabile oltre che la dimostrazione di una mancanza di sensibilità per la dignità stessa di tutti coloro che, secondo queste logiche, lavoro non potranno mai averne.
Vincenzo cacopardo
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