Fiumi di lacrime inondano i volti delle vedove di Lenin, i personaggi politici e dei media che, in tutti questi anni dalla caduta del Muro di Berlino in poi, hanno ritenuto d’essere gli interpreti di un mondo inesorabilmente crollato.
L’Italia continuava a essere un Paese anomalo, la più sovietica delle nazioni occidentali prima, la meno desovietizzata dopo.
Un sistema in cui lo Stato era centrale nell’economia e nella società e nel quale la legge dello Stato serviva a delimitare gli spazi di libertà dei cittadini. Con un fisco che li metteva e li mette sotto controllo quotidiano, una specie di grande, squallido fratello che uccide ogni libertà di intrapresa. Con leggi urbanistiche che favorivano le cosiddette “operazioni”, vessando i cittadini comuni che, magari, dovevano allargare un tinello. Con normative e movimenti ecologisti che permettevano ai comuni di ricattare chiunque intendesse assumere una iniziativa importante di carattere produttivo o infrastrutturale.
L’errore fondamentale che ha portato, oggi, al rifiuto della politica, l’ha commesso la classe dirigente del Pci, a partire da Berlinguer, e poi da Occhetto. Il rifiuto d’essere interpreti del socialismo democratico europeo e la volontà di percorrere la vecchia, fallimentare strada del compromesso storico (il passaporto per governare concesso dagli exdemocristiani) è all’origine di questi vent’anni di degrado. Berlusconi ha dato un buon contributo, contando sull’antinomia liberali-comunisti, ma esercitando una pratica di governo che si giovava di tutti gli strumenti posti in essere da uno Stato assistenziale e rapinatore.
Il tentativo di D’Alema (la “Cosa 2”) di rinnovare la pelle del Pds innestandola di socialismo fallì per la viscerale opposizione del corpo grosso comunista.
Non poteva che finire così com’è finita: con la vittoria della componente exdemocristiana e con l’emergere di un giovane che ha pensionato la vecchia nomenklatura, ma soprattutto miti, stili, legami e ricatti che tenevano insieme il vecchio patto sociale esistente tra l’exPci e parte del Paese.
Non è cambiato solo il modo di fare politica. Senza accorgercene, anche l’Italia è cambiata, sull’onda di una crisi così grave come nella storia s’era vista. 14 trimestri consecutivi di caduta del Pil non sono un numero, sono una tragedia.
Del resto, se l’umanità è oggi intorno ai 6 miliardi, se il processo di sviluppo ne ha investito la maggior parte, se ovunque il lavoro è il valore morale e sociale di riferimento, dato che tutti vogliono guadagnare quanto necessario per mangiare, per vestire e per mandare i figli a studiare, senza se e senza ma, può un Paese seduto come l’Italia, in cui si parla prima di garanzie, mai di produttività, prima di privilegi, mai di doveri, rimanere ai vertici dell’economia mondiale?
Può un Paese che non ha ordine pubblico, devastato dal racket delle occupazioni abusive di case private, dopo quelle delle case popolari, investito dalle gang di zingari che infestano le piazze, che consente a chiunque di occupare strade e ferrovie interrompendo i traffici, che ospita Mafia, Ndrangheta e Camorra può un Paese così pretendere di continuare sulla stessa strada?
Può un Paese in cui gli studenti si oppongono ai rapporti stretti tra sistema economico e scuola avere una speranza?
Può un Paese in cui le università sono i parcheggi degli sfaticati prima che la palestra dei volenterosi avere un futuro?
Negli Stati Uniti, è impressionante il numero di studenti cinesi (della Cina comunista) che studiano nei college e di quelli che vi insegnano: sono come i pugili italiani di un tempo. Venivano dalla fame e menavano pugni per conquistarsi uno status.
Noi lo status l’avevamo ottenuto. L’abbiamo perduto.
Solo il rinnovamento senza ideologie, solo la libertà d’intrapresa possono restituircelo. Né Civati, né Cuperlo, né Camusso o Landini.
Dobbiamo, infatti, riconquistare il nostro Far West.
"La battaglia più difficile è proprio quella di superare queste concezioni..di abbattere queste barriere che limitano la possibilità di ampliare il pensiero verso il futuro e l' innovazione."
L'analisi di Domenico è profonda oltre che acuta..La sua visione negativa del futuro del Paese si lega ad un senso di rassegnazione dal quale sembra difficile venir fuori. Nella sua prima parte, il consigliere fa riferimento al tentativo fallito da parte di D'Alema di rinnovare la pelle del Pds innestandola di socialismo e di seguito con la vittoria della componente exdemocristiana di cui persino Renzi..oggi ne rappresenta la perpetuità, appare cambiato il modo di fare politica. Ma ormai è anche cambiato lo stato sociale della Nazione nella morsa di una crisi economica smisurata.
L'analisi di Domenico è profonda oltre che acuta..La sua visione negativa del futuro del Paese si lega ad un senso di rassegnazione dal quale sembra difficile venir fuori. Nella sua prima parte, il consigliere fa riferimento al tentativo fallito da parte di D'Alema di rinnovare la pelle del Pds innestandola di socialismo e di seguito con la vittoria della componente exdemocristiana di cui persino Renzi..oggi ne rappresenta la perpetuità, appare cambiato il modo di fare politica. Ma ormai è anche cambiato lo stato sociale della Nazione nella morsa di una crisi economica smisurata.
Se è vero che avevamo un nostro "status" e lo abbiamo perso ..è anche vero che non si è mai provveduto ad affrontare i temi della politica attraverso una sana ricerca. Hanno sbagliato tutti : i Partiti soprattutto..che non hanno saputo leggere in lungimiranza. I principi della stessa democrazia si sarebbero dovuti sostenere attraverso risorse politiche qualitative e culturali...Ed oggi..quando tutto sembra volersi risolvere attraverso la forza di una spinta fin troppo autoritaria, sembra non esserci più tempo.
Domenico parla di un futuro rinnovamento senza ideologie.. intendendolo come unica possibilità di riuscita del cambiamento.. ed in questo non potrei che essere d'accordo, poiché oggi le idee ed il metodo sono l'unico motore per la ricerca di un vero funzionamento, ma il principio più difficile da poter far comprendere a chi come tanti continuano a ragionare in termini obsoleti e superati...è proprio quello di far loro comprendere l'importanza di una immedesimazione diversa..di un approccio innovativo.. che solo attraverso una diversa "forma mentis" può sostenersi. La battaglia più difficile è proprio quella di superare queste concezioni..di abbattere queste barriere che limitano la possibilità di ampliare il pensiero verso il futuro e l' innovazione.
Al di là di Civati, Cuperlo, Camusso o Landini...continuo a pensare che la politica troppo determinata e semplificativa del governo Renzi.. non potrà mai offrire frutti positivi ed i risvolti di questo processo (più simile ad una restaurazione che ad un rinnovamento) potrebbero divenire ancora più catastrofici fornendo le adeguate risposte alle stesse domande che il cugino Domenico, nel suo articolo, si pone.
Vincenzo cacopardo
Nessun commento:
Posta un commento