20 gen 2015

Domenico Cacopardo ci informa sulla vicenda delle ragazze tornate dalla Siria



Una storia particolare descritta con rispetto e sobrietà da chi sa analizzare i fatti con seria consapevolezza e buona informazione. 
di domenico Cacopardo

“Renzi, che non è il serio capo di un governo serio, si beerà, come i suoi predecessori, dell’effimera e superficiale popolarità del ritorno di Ramelli&Marzullo in terra italiana.”

Spenderemo molto più inchiostro del solito, per cercare di capire la storia di Greta Ramelli (20 anni) e Vanessa Marzullo (21). E di Roberto Andervill (46), (forse) il loro misteriosissimo capo. Ma il caso merita un serio approfondimento, visto il mare di bugie che si sono raccontate e l’ipocrita buonismo che ha accompagnato il loro ritorno a casa e che continua a imperversare nel circo mediatico nazionale.

Una ricerca che chiunque potrebbe compiere sul web ci ha permesso di mettere insieme informazioni e valutazioni non contestabili.

Con lo scoop del 17 gennaio sul Fatto quotidiano, forte di canali privilegiati con gli ambienti giudiziari e affini, Angela Camuso ha raccontato di aver «preso visione» di intercettazioni dei Ros riguardanti conversazioni tra Greta Ramelli e Mohammed Yaser Tayeb e Maher Alhamdoosh, due siriani della galassia fondamentalista italiana, deducendone che la «missione» delle due fanciulle era quella di fornire kit di pronto soccorso ai drappelli di qaedisti composti da 18 combattenti, uno dei quali incaricato, appunto, del soccorso dei feriti. A dire il vero Yaser Tayeb afferma di non essere legato ad alcun movimento arabo, di essere stato richiesto di aiuti in danaro (mai incassati) e di una lettera di raccomandazione delle due fanciulle scritta in arabo. Lettera mai consegnata. Indizi, questi, che aggravano la posizione dei Greta&Vanessa, in quando indicano contatti e fonti di aiuto alternative. Probabilmente «engagé».

Del resto, una telefonata tra Tayeb e una non meglio specificata Titti, avvenuta alle 23 del 5 agosto 2014 ha per oggetto la notizia del rapimento già postata su Facebook. Titti chiede di rimuoverla subito. L’aspetto inquietante è che l’informazione è stata diramata dall’Ansa solo il giorno dopo, 6 agosto alle 17.14. Da chi e da dove l’avevano saputo i due?

Questo Tayeb, poi, in un’intervista rilasciata sabato 17, dichiara «Non sapevo che le ragazze volevano avvicinare i combattenti. Sapevo solo che volevano fare dei corsi per i medici …» Come si capirà meglio più avanti, dopo i curricula delle fanciulle, si tratta di un’altra macroscopica incongruenza: studentesse di 20 e 21 anni, agli inizi dei corsi, avrebbero dovuto insegnare a medici.

C’è un solo rilievo da muovere: poiché è di tutta evidenza che l’indiscrezione è «filtrata» non casualmente, si può supporre che si inquadri nello sgomitamento in corso tra i vari corpi dello Stato per accaparrarsi la primazia nella battaglia (e nei relativi mezzi) per la lotta al terrorismo. Le notizie emerse sulla galassia fondamentalista dovrebbero essere «fredde», cioè già utilizzate, altrimenti lo scoop sarebbe tragico autolesionismo. Sul punto non si può non ricordare che i Ros, nati dal Nucleo speciale antiterrorismo diretto da Carlo Alberto Dalla Chiesa (perno della lotta alle Brigate Rosse e affini), sono composti da personale di alta professionalità e motivazione e che, dovendo attribuire il comando delle nuove operazioni a un solo soggetto (com’è logico e necessario) hanno tutti i titoli per candidarsi a esserlo. 

Torniamo alle fanciulle rapite.

Prima di tutto un breve profilo, tratto dal periodico “Internazionale”, non certo ostile al trio, che ha riportato le note biografiche diffuse sul web dagli interessati. Già il trio, visto che Greta e Vanessa fanno parte di «Horryaty», una Onlus(del cui statuto e riconoscimento giuridico nulla è stato possibile conoscere), fondata da tale Roberto Andervill, fabbro di 46 anni, residente a Varese. Debbo chiarire che sino a sabato 16 gennaio 2014, mattina, questo Andervill era presente su Facebook con un proprio profilo. Poi, tutto ciò che riguardava lui medesimo e la sua Horryaty è stato rimosso. Per questa ragione non ho potuto verificare la verità di quanto riferito da alcuni giornali sulle espressioni antiebraiche di Andervill (tra le quali è stata riportata «merde sioniste»).

«Vanessa Marzullo, 21 anni, di Bergamo. Studentessa di mediazione linguistica e culturale (dove? Di quale anno?); attività internazionali e multiculturali (vista la mancata specificazione delle stesse, nulla); lingue: arabo e inglese (non è chiarito il livello di conoscenza). Volontaria presso Organizzazione internazionale di soccorso (quale?). Dal 2012 si dedica alla Siria, dalla diffusione di notizie tramite blog e social networks all’organizzazione di manifestazioni ed eventi in sostegno del popolo siriano in rivolta. Questo culmina nell’organizzazione e nella nascita del progetto Assistenza sanitaria in Siria - Horryaty. 

Greta Ramelli, 20 anni, di Varese, studentessa di scienze infermieristiche (quale anno?). Diplomata al liceo linguistico Rosetum dove ha studiato inglese, spagnolo e tedesco (livello scolastico, quindi). Volontaria presso Organizzazione internazionale di soccorso (quale?), operatrice pronto soccorso trasporto infermi e nel settore emergenza (livello operativo) (dove? Che vuol dire livello operativo? Fa le inframuscolo o le endovena?). Nel maggio del 2011 trascorre quattro mesi in Zambia nelle zone di Chipata e Chikowa lavorando come volontaria presso 3 centri nutrizionali per malati di aids, incluso alcune settimane presso le missioni dei padri comboniani. Nel dicembre 2012 ha trascorso tre settimane a Calcutta, India, dove ha svolto volontariato presso la struttura Kalighat delle suore missionarie della carità e ha visitato progetti di assistenza alla popolazione indiana presente negli slums. Attualmente si occupa principalmente di Siria, sia per quanto riguarda l’accoglienza profughi insieme ad altri volontari, sia per attivismo e per aiuti umanitari. Al momento collabora con il Comitato S.O.S. Siria di Varese, l’Associazione delle comunità arabe siriane e Ipsia Varese nel progetto Assistenza sanitaria in Siria – Horryaty (sulle comunità arabe siriane a Varese, sarebbe il caso che gli organi di sicurezza effettuassero approfondimenti adeguati). 

Roberto Andervill, 47 anni di Varese, fabbro. Dal 1998 a oggi nell’organico di Ipsia Varese, l’Ong delle Acli che si occupa di cooperazione e volontariato all’estero (la circostanza andrebbe verificata, poiché non è chiaro cosa significhi essere nell’organico). Dal 2011, dopo lo scoppio della rivoluzione, comincia a interessarsi alla Siria. Ma è nel 2014 che comincia il suo attivismo a favore della rivoluzione antigovernativa, con la partecipazione alla missione di sopralluogo nell’area rurale di Idlib dalla quale nasce il progetto Assistenza sanitaria in Siria - Horryaty.»

Veniamo a questa «ricognizione» asseritamente (come direbbe la Polizia) effettuata nel marzo 2014: “il progetto nasce dopo un sopralluogo effettuato da Roberto Andervill, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo attiviste per la Siria.” 

Un fabbro e due studentesse. 

“Atterrati in Turchia …” sono stati “… accompagnati da una guida siriana nella sua terra, di preciso nelle zone rurali di Idlib, a sud ovest rispetto ad Aleppo. Durante questa prima visita si è cercato di instaurare un primo rapporto con la popolazione locale, al fine di capire le vere necessità e visitare i luoghi coinvolti nel progetto. In particolar modo sono stati visitati i due centri di primo soccorso di B. e H. …” (cosa nascondono le due sigle? E perché sigle e non i nomi propri?) “… dove c’è stata la possibilità di rilevare le principali problematiche nell’ambito dell’assistenza medica: carenza di personale adatto e di materiale essenziale per condurre assistenza sanitaria di base e di emergenza. Durante questa missione siamo stati sempre accompagnati e scortati da personale locale, con un alto grado di sicurezza.” 

In questa autodescrizione ci sono molte cose che dal punto di vista logico non funzionano: chi era la guida siriana e com’è stata reclutata? Forse si tratta di un contatto indicato dagli esponenti della comunità siriana di Varese o dal contatto bolognese? Non dovrebbe trattarsi di un contatto cristiano, visto l’ambiente nel quale sono stati introdotti i tre. Sarebbe interessante sapere in quale lingua si sono intesi con i siriani di Siria (e qui torna la curiosità sul livello di conoscenza di arabo e inglese).

Continua la relazione degli interessati: “In collaborazione con il personale medico presente sul posto si è deciso di attivarsi al fine di perseguire due specifici obiettivi:
1. Attivare un corso base di primo soccorso e rifornire alcune aree di kit di emergenza di primo soccorso corredati di tutto il materiale occorrente.

2. Garantire ai pazienti malati di patologie croniche di accedere alle giuste terapie rispettando i tempi, dosi e qualità dei farmaci. 

Dopo aver avviato il servizio il personale medico locale garantirà la continuità dell’assistenza mirata. Il secondo viaggio avrà lo scopo di consegnare il materiale comprato ed effettuare le visite mediche necessarie per avviare il programma terapeutico”. 

Qui le esigenze di chiarezza si accrescono: in una zona rurale e di guerra, quale personale sanitario è stato incontrato? Quale proposte tecnico-sanitarie sono state prospettate dal trio, un fabbro e due studentesse, una sola delle quali di scienze infermieristiche (primo o secondo anno)? Come avrebbero potuto Andervill, Marzullo e Ramelli garantire ai pazienti di accedere alle giuste terapie? Insomma, queste parole servono per la superficie: per sapere qualcosa di significativo (e per ottenere aiuti finanziari da gente soccorrevole, ma di questo non si parla mai), occorrerebbe elementi su malattie, terapie e sul presunto personale medico locale.

E veniamo al rapimento. 

Greta Ramelli e Vanessa Marzullo tornano in Turchia nel luglio 2014, attraversano il confine con il giornalista de Il Foglio Daniele Ranieri. Si dice con “nuovi aiuti”. Ma nella prima missione avevano effettuato solo un sopralluogo e dovevano essere a mani vuote. Altrimenti l’avrebbero scritto. Degli “aiuti” della seconda missione non si chiarisce nulla. Potrebbe trattarsi di tutto, dalla merendine ai pannolini visto che i mitra Beretta non possono viaggiare sugli aerei di linea. Anche i kit di pronto soccorso sono ingombranti e la loro presenza avrebbe suscitato, quanto meno, l’attenzione del personale presente nell’aeroporto di partenza (italiano).

Il 31 luglio, tre giorni dopo il loro ingresso in Siria, vengono sequestrate da un commando armato in località di El Ismo, a ovest di Aleppo, nella casa del Capo del Consiglio rivoluzionario locale che, a pagamento, le ospitava. Il commando avrebbe fatto parte del Fronte al Nusra – il gruppo che “rappresenta” al Qaida sul posto. 

Lo scorso ottobre il quotidiano libanese Al-Akhbar, vicino al movimento sciita Hezbollah (schierato con il regime di Damasco), scrive che le due italiane sono state attirate ad Abizmu da un attivista siriano conosciuto su Internet nell'ambito di un piano organizzato per rapirle e chiedere un riscatto. 

Se questo è stato il mondo di trovarsi un contatto, la sprovvedutezza del trio, sin qui formulata per “sospetti”, avrebbe una clamorosa conferma.

La contentezza per il ritorno a casa di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, quindi, non può farci dimenticare la loro storia.

Innanzi tutto che i progetti umanitari di Horryaty (assistenza sanitaria e ‘acqua’) sono indefiniti, né possono essere immaginati alla luce del «back-ground» dei tre componenti della presunta Onlus «Horryaty». A proposito, le ricerche effettuate sul web non hanno permesso di capire cosa significhi «Horryaty» né a quale lingua appartenga l’espressione.

Escluderei che il ministero degli esteri abbia erogato finanziamenti o che qualche benefattore ci abbia messo dei soldi, ma sarebbe importante una smentita ufficiale.

La vita mi ha insegnato che laddove non c’è chiarezza, c’è qualcosa di brutto da nascondere. E, anche in questo caso, non c’è alcuna chiarezza sulle persone, né sulla loro ‘immaginaria’ Onlus, né sulle loro intenzioni, giacché definire progetti quanto pubblicato su Facebook è contrario alla ragione.

A occhio, viene in mente una delle classiche paradossali vicende italiane, delle quali siamo stati protagonisti nel recente passato, dalle Simone alla Sgrena. Certo niente a che vedere con i «foreign fighters», ma probabile vicinanza con qualche siriano legato ai movimenti fondamentalisti (nella fattispecie qaedista) che hanno messo in piedi le varie guerriglie che animano il Medio Oriente. Se fosse vero che i tre hanno ottenuto il loro contatto in terra siriana via Internet, c’è da avanzare preoccupati dubbi di sanità mentale.

Ho troppo stima per Marco Minniti per non pensare che i servizi segreti hanno acquisito o stanno acquisendo maggiori e più approfondite informazioni su Anderville, sulle due «ignare fanciulle» e suoi loro improbabili contatti.

Si è detto che Greta e Vanessa siano andate in Siria per umana solidarietà nei confronti di coloro che, a causa della guerra civile, subiscono patimenti inenarrabili. Ma non è stato spiegato di quali risorse disponessero per compiere la loro missione. Dove hanno trovato i quattrini per i due viaggi aerei e soprattutto per il costosissimo autista siriano che li ha portati ad Aleppo nella prima missione. Quello della seconda scompare nella nebbia artificiale lanciata su tanti aspetti della vicenda.

Del resto, l’ultima riflessione ci dice che l’animo di Vanessa e Greta, colmo dell’ansia di solidarietà, avrebbe potuto trovare ampia soddisfazione in Italia, dove i poveri sono in crescita, per accedere alle mense della Caritas ci sono file interminabili, dove gli anziani soli, bisognosi di assistenza domiciliare sono decine di migliaia, dove i centri di accoglienza e di soccorso agli immigrati di qualunque nazionalità, ma di questi tempi, soprattutto arabi e siriani.

Perciò la ragione dei due viaggi (il primo con il «capo»), il secondo da sole, non può che essere lo spirito di avventura, nella migliore delle ipotesi, o la vicinanza alla Jihād, nella peggiore. 

Da tutto ciò che si legge sul web, il vantato collegamento con l’organizzazione cattolica di soccorso di Varese, è troppo indefinito per non essere messo in dubbio: potrebbe avere una funzione di sviamento d’attenzione e di «captatio benevolentiae» per le anime belle e buone.

In definitiva, i dubbi sono tanti, troppi, ed è necessario che qualcuno approfondisca il perché e il percome i rapiti si trovavano in un teatro di guerra, considerato «off limits» dal ministero degli esteri.

C’è poi il problema del riscatto milionario pagato per riavere le ragazze in Italia (di fatto confermato dal ministro Gentiloni venerdì sera: una eccellente «performance» televisiva, la sua). 

Non c’è da meravigliarsi: abbiamo sempre pagato i terroristi che utilizzavano e utilizzano i nostri soldi per armarsi e combattere i nostri alleati e noi, in qualunque missione siamo stati impegnati. Chi avesse voglia di spulciare i documenti americani disponibili sulle missioni Libano, Kosovo, Iraq e Afghanistan, sarebbe sorpreso di riscontrare quale sia la critica ricorrente nei nostri confronti: un flusso intenso di denari per i capitribù delle zone affidateci in modo da evitarci spiacevoli attacchi. In Libano, mentre centinaia di americani e di francesi cadevano a Beirut per gli attentati sciiti, gli italiani stavano a guardare perché gli uomini dell’«intelligence» militare versavano camion di dollari nelle casse dei capi del terrore. Così in Iraq e altrove. Queste sono le notizie che, a microfoni spenti, raccontano le exbarbe finte italiane.

Nel caso della Sgrena, poi, i comandi italiani avevano assunto l’impegno con le autorità americane e irachene di non pagare e di consentire, se la liberazione fosse avvenuta, che la giornalista fosse interrogata nella nostra ambasciata prima di fare rientro in Italia. L’aver pagato e la necessità di non farla incontrare con le autorità alleate (rivelando la violazione dell’intesa) spiegano razionalmente l’inspiegabile fuga di notte verso l’aeroporto che determinò la fine della vita a Calipari (e la successiva elezione della moglie in Parlamento).

Che poi, la missione ‘recupero di Ramelli&Marzullo’ sia stata difficile è tutto da vedere: sono infatti i rapitori che, normalmente, cercano i contatti italiani, anche diplomatici, per ottenere il fiume di denari per il quale siamo noti in Medio Oriente come in ogni altro teatro di guerra, compresa la Somalia.

Il governo serio di un Paese serio, dopo questa paradossale vicenda, dichiarerebbe che questa è l’ultima operazione di recupero di italiani liberamente in giro per il globo per spirito di avventura o per turismo.

Anche perché l’esperienza ci insegna che alcune volte è accaduto che parte dei quattrini destinati ai sequestratori rimanesse attaccata alle mani degli intermediari. Certo, in questo caso non è accaduto nulla di simile. Ma una cosa del genere potrebbe sempre accadere.

Altrimenti, la vicenda sarà un ulteriore incentivo per tutti i tagliagola, prime vittime giornalisti e fotografi italiani che, per lavoro, vanno in zone di guerra e di guerriglia.

Ma Renzi, che non è il serio capo di un governo serio, non lo farà, anzi si beerà, come i suoi predecessori, dell’effimera e superficiale popolarità del ritorno di Ramelli&Marzullo in terra italiana.

Ps: sarebbe il caso che lo Stato esercitasse una maggiore vigilanza sulle migliaia di Ong e Onlus che si dedicano all’assistenza in Italia e all’estero. In esse e tra di esse possono esserci casi anomali che vanno estirpati a tutela della pubblica buonafede di sostenitori e contributori.








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