Prendendo spunto dal caso greco, Domenico argomenta le perplessità di un sistema che sembra non offrire alternative per una crescita reale dei Paesi aderenti. Appare
oggi imperativa, determina e fin troppo determinante... la visione di una
economia internazionale europea che costringe le regole degli Stati
aderenti:
Il continuo controllo sul debito e le direttive sulla stabilità dei
Paesi della comunità condizionano a prescindere ogni percorso
economico ricercato dai singoli e diversi paesi. Difficilmente, oggi, anche un Paese come il nostro, potrebbe dare sfogo ad una economia più
brillante in termini di investimenti e di conseguente economia reale!...
v.cacopardo
Con
drammatica immediatezza Alexis Tsipras, primo ministro greco, e Yanis
Varoufakis, suo ministro dell’economia, sbattono il muso contro il
muro di Mario Draghi, presidente della Bce, e di Wolfgang
Schäuble, ministro delle finanze tedesco.
I
rispettivi ragionamenti sono elementari: le misure adottate dal
governo di Atene aggravano le condizioni della finanza pubblica e la
Banca europea non può più negoziare i titoli di debito delle banche
elleniche, sostiene Draghi; siete debitori e noi rifiutiamo di
vedervi spendere spensieratamente altri euro, sostiene Schäuble.
Messo
in questi termini, tutto viene ridotto all’osso e sottoposto alla
logica inoppugnabile di un sistema neoliberista, fondato su una
specie di «Gold standard» europeo, cioè l’euro.
Le
lezioni della storia nulla hanno insegnato ai governanti dell’Unione
europea, diretti da frau Merkel. Nulla il ’29 e il successivo
arrivo del nazismo. Nulla le crisi da inflazione degli anni ’70.
Rimane il dogma intoccabile di una linea politica e
politico-economica che teorizza e applica un impoverimento indefinito
di alcuni paesi indebitati, in vista di un lontanissimo riassetto
(all’«eurostandard»), contando sul fatto che le popolazioni
europee continueranno a votare per questa politica e per la miseria
che serpeggia nei loro paesi.
Nessuno
ritiene che la vittoria di Siriza in Grecia abbia un reale
significato generale. Nessuno pensa alla crescita di Podemos in
Spagna (un partito di sinistra) o del Fronte Nazionale in Francia,
con l’appendice non irrilevante della Lega in Italia. Nessuno si
rende conto che il muro eretto a Francoforte e a Bruxelles può
innescare il temuto «Grexit» e la ridiscussione dell’idea
d’Europa. Nemmeno l’Europa carolingia, l’asse preferenziale
cioè stabilitosi tra la Francia di Mitterand e la Germania di
Shmidt e Khol, continuato sino all’arrivo di Sarkozy e delle sue
sventatezze, può resistere al vento che spira da Sud-Est, alla luce
della crisi profonda che attraversa la Francia, stretta nella
irresolubile contraddizione delle esigenze deflazionistiche
propugnate a Bruxelles e a Berlino e le necessità di contenere
l’impoverimento del Paese che il poco autorevole Hollande non
riesce a intepretare e guidare.
In
qualche modo, alla svolta politica greca si può applicare la
metafora romana dell’attraversamento del Rubicone da parte di
Cesare contro il divieto del Senato.
Se
la Grecia ha attraversato il Rubicone e non teme le reprimende e gli
inviti a tornare nei ranghi, tutto l’assetto dell’«impero»
(l’Unione europea) ne risentirà rapidamente.
Anche
perché, uno Tsipras può nascere dovunque e contestare il continuo
impoverimento in vista di un dopodomani migliore.
La
questione è preliminare: «…
that is the question …» dice Amleto nel celebre soliloquio,
possiamo ripetere noi oggi. Se devi 10.000 euro alla banca e non li
hai, hai un problema. Se devi 1o.ooo.ooo e non li hai, il problema è
della banca.
Poiché l’Italia e la Grecia emettono titoli come
li emettono tutti gli altri, quando il meccanismo di crescita del Pil
si inceppa, le due nazioni non possono procedere con la ricetta
precedente l’introduzione dell’euro: stampare moneta&svalutare.
L’unica soluzione, immaginata a Bruxelles e a Berlino, è
instaurare una politica di austerità: e ciò è accaduto, secondo
l’autorevole americano Foreign Affairs, mediante un «constitutional
coup d’état», quello che ha portato al potere in Grecia Samaras
con la «Troika» (tre funzionari di Bce, Fmi e Unione) e in Italia
Monti.
I
sacrifici imposti agli italiani sono stati meno duri di quelli che si
sono visti ad Atene: la Grecia ha dovuto tagliare stipendi, pensioni
e assistenza sanitaria. Ha visto impennarsi gli indici di mortalità,
di povertà, di disoccupazione. Tutto in negativo, salvo due stagioni
turistiche da record, fertilizzate dal crollo dei prezzi e dalla
necessità di incassare gli euro freschi di cui sono stati portatori
prevalenti tedeschi, italiani e francesi.
Era
immaginabile cosa sarebbe accaduto alla successive elezioni, quando
la dura ricetta avrebbe già dispiegato tutti i suoi effetti: nessun
povero (la maggioranza) avrebbe votato per confermare la propria
povertà. Nessuno si sarebbe sacrificato sino alla fame per non
mettere in discussione i soldi dovuti al sistema bancario
internazionale, il medesimo che ha causato il disastro del 2008, da
cui è risorto con robuste iniezioni di denaro pubblico, di proprietà
dei medesimi cittadini impoveriti.
Se
c’è qualcuno, a Bruxelles e a Berlino, che intende salvare il
progetto europeo e l’euro che ne è il nucleo, questo deve
misurarsi con la realtà, e cioè con Siriza e Tsipras per trovare
una via d’uscita su ristrutturazione del debito e fine
dell’austerità. Sul punto, confermando la propria inconsistente
sensibilità internazionale, il «premier» Renzi ha dichiarato il
proprio appoggio a Draghi che non ne ha bisogno e non può deflettere
dal rigore (nemico anche dell’Italia), tanto da «spingere»
Tsipras verso l’apertura di una «querelle» a Bruxelles.
Allo
stringere, questo è il problema: gestire la situazione correggendo
lo stolido dogma neoliberista con pragmatico realismo. Aprire un
varco alla ristrutturazione del debito greco e all’avvio di una
reale politica di rilancio.
Altrimenti
ci sarà la deflagrazione.
Insomma,
se frau Merkel non avrà coraggio e si chiuderà nel proprio
legittimo fortino rifiutando di dare vero ossigeno ai greci, i tempi
diventeranno più duri e finirà che ognuno andrà per la sua strada,
in mezzo a pericoli crescenti, compreso quel confronto militare che
nel lontano orizzonte appare e scompare.
Frau Merkel e il suo popolo accetteranno
il sacrificio di fare i conti con la realtà di un (o più) «partner»
cicala mentitrice e, per evitare guai maggiori, adeguarvisi?
«…
that is the question …»
Domenico
Cacopardo
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