7 mar 2015

un breve commento sul nuovo articolo del consigliere Cacopardo


Era già nell'aria.... Domenico nel suo articolo raccoglie e sottolinea l'imprudente percorso fin troppo frettoloso di un premier che, seppur armato di una forte determinazione, non riesce mai a porre un freno alla sua ambizione. 

Sarà stata la presenza del nuovo presidente Mattarella.. che a sua volta... ha spinto anche ad una reazione la presidente della Camera Boldrini circa quel mancato rispetto verso il Parlamento, sarà la dura lotta scatenatasi all'interno del suo partito che ha visto i bersaniani urtati dal suo comportamento, sarà l'atteggiamento.. quasi di sfida.. verso il suo ex alleato Berlusconi...sarà il difficile dialogo con Putin, ma il dato di fatto reale è quello che vede oggi il sindaco d'Italia.. incastrato in una serie di avvenimenti che si stanno ponendo di fronte al suo percorso.. rallentandolo. Eventi, frutto di un cambiamento che ha voluto portare avanti con troppa e semplificativa enfasi.

Domenico scrive: -Si sostiene in giro a Roma che il presidente non apprezzerebbe i contenuti della legge elettorale tanto tenacemente voluta da Renzi, né quelli della riforma (molto pasticciata) del Senato. E che le ultime uscite di Bersani proprio su legge elettorale e Senato sarebbero in sintonia con il Quirinale.- Ciò che spiega con chiarezza il cugino Cacopardo riguardo a queste riforme è plausibile e si spera, quindi, che qualcosa possa cambiare in proposito. Sappiamo che in politica la fretta è una cattiva consigliera e per far quasi una bella figura di fronte all'Europa, Renzi continua a sacrificare una naturale e più logica ricerca di funzionamento della politica istituzionale, scatenando quelle naturali reazioni contrarie tipiche dei modelli di una certa democrazia oggi in grande crisi e lavorando.. al contrario.. senza rendersi conto del peso di un ritorno negativo a danno della innovazione utile alla politica del Paese.
vincenzo cacopardo


«L’operazione è chiusa.» «E Renzi?» «Tutto sotto controllo. La manovra a tenaglia Berlusconi-D’Alema non gli dà alternative.»
Questo colloquio, immaginario ma non tanto, si potrebbe essere svolto mercoledì 28 gennaio 2015 tra Il Candidato al Quirinale (di cui non facciamo il nome, tanto è intuibile) e un exdeputato, exsenatore ed exministro socialista.
Sono passate 48 ore e s’è visto com’è andata a finire.
Il «premier» non s’è fatto incastrare nella tenaglia e se ne è uscito con la proposta vincente Mattarella, gettando nella disperazione Berlusconi e tanti altri che avevano confidato nella ricostituzione del solito staff del Candidato.
Tuttavia –e l’abbiamo scritto subito- la vittoria di Matteo Renzi era solo virtuale e d’immagine, secondo la moda e le sue preferenze. 
Sergio Mattarella si sarebbe rivelato, al di là del garbo e della signorilità caratteriale, uno strenuo, duro difensore dei valori della Costituzione e, su essi, non avrebbe ceduto di un millimetro. La salvezza di forme e procedure, quelle forme e procedure tanto ostiche al giovane primo ministro, sarebbe stata totale, tanto da costringerlo –nella bilancia dei poteri quelli del presidente della Repubblica sono infinitamente più stringenti- a segnare il passo e adeguarsi.
Le medesime spensierate leggerezze di Renzi (a sciare con il Falcon e da casa a Roma con l’elicottero dell’Aeronautica militare) avrebbero suscitato riprovazione e –in modo riservato- sdegno.
Renzi non capisce e forse non imparerà mai a capire il significato dei comportamenti, soprattutto quando si tratti di siciliani. Andando a Firenze, proprio a Firenze, in treno e trasferendosi a Scandicci in tram, il presidente della Repubblica ha mandato un messaggio personale, pubblico ma, allo stesso tempo riservato, al presidente del Consiglio, più chiaro di un messaggio formale o di un discorso a quattr’occhi, e non è stato capito. Ci voleva un guasto all’elicottero per rendere evidente a tutti il senso di questa nonpolemica che apre un capitolo nuovo rispetto al passato di Napolitano, troppo indulgente e protettivo verso Matteo.
Anche perché (e non è affatto un mistero per i corridoi ministeriali e di Palazzo Chigi) che la nomina di Ugo Zampetti come segretario generale del Quirinale e del resto dello staff non è stata affatto gradita dal «premier» che avrebbe preferito scelte di stampo goliardico-giovanilista, sul suo medesimo stile, come per segnare una consonanza che non c’è mai stata.
Il rosario delle distinzioni e dei latenti dissensi ha iniziato a svilupparsi. Non solo il «no» insuperabile all’idea di un decreto-legge sulla scuola, ma anche altri segnali, che, messi insieme, indicano una temperie istituzionale tutt’altro che favorevole al giovane fiorentino.
Le esternazioni di Laura Boldrini, presidente della Camera, sul mancato «rispetto del Parlamento» riferito all’aver ignorato alcuni indirizzi delle commissioni sui decreti attuativi del «job act», sbagliate nel merito, ma, tutto sommato, fondate riguardo alle disinvolture del governo rispetto alle esigenze degli organi legislativi, sembrano in qualche modo ispirate dal parlamentarismo di Mattarella.
Si sostiene in giro a Roma che il presidente non apprezzerebbe i contenuti della legge elettorale tanto tenacemente voluta da Renzi, né quelli della riforma (molto pasticciata) del Senato. E che le ultime uscite di Bersani proprio su legge elettorale e Senato sarebbero in sintonia con il Quirinale. Certo, assolutamente non concordate, ma frutto dell’aria che spira dal supremo colle della Repubblica.
È evidente che la strada del primo ministro s’è complicata. E lo sarà ancora di più dopo il giro di valzer con Putin, che ha sollevato disappunto a Washington e a Berlino: e si sa come siano capaci di incidere sulla politica italiana le due capitali alleate.
Ancora un volta, dobbiamo aspettarci novità e aggiustamenti nei prossimi mesi, nella direzione di un rallentamento dei ritmi renziani e di una maggiore riflessione sui contenuti delle varie leggi.
Rimane, di fondo, un’esigenza che nessuno può eludere: l’Italia deve completare il processo riformista e rapidamente. Tutto il pacchetto di iniziative in essere o, semplicemente, in programma deve essere condotto a termine in tempi piuttosto brevi, non più di due anni, perché si raccolga al volo l’occasione unica di rilancio che la congiuntura ci offre.
Ora o mai più. 
domenico cacopardo




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