Non
capisco quale sarebbe questo bell'esempio di democrazia..forse quello
operato dall'eroe sindaco d'Italia Matteo Renzi (tanto osannato dal
cugino Domenico)??.. Se una mancanza di principio democratico esiste
..è proprio quella di cui abusa lui ed il suo governo !!
Per
chi usualmente vede la politica come una competizione calcistica
(minoranze contro maggioranze) ..la visione resta bloccata
dall'aberrante principio di competizione sportiva..e non condotto
attraverso una sana percezione politico culturale …..
Qui
non si tratta di subire minacce da una minoranza..ma è in ballo un
principio democratico che non potrà mai essere valutato in modo
semplicistico come una lotta tra una squadra ed un'altra (minoranza e
maggioranza). Qui si tratta di voler imporre una regola primaria
dalla quale si definisce un percorso che non potrà avere altre
strade se non quella di bloccare un corretto uso dei principi
democratici.
E'
inutile continuare a far finta di non capire.. poiché il sogno di
chi vuol governare sembra essere solo quello di inventare un metodo per ingabbiare in qualsiasi modo un sistema di equa
rappresentanza democratica. E'
inutile anche buttarla sulla solidarietà
tra politica, sindacato e cooperatori e la loro connivenza...come non
ha senso idolatrare le capacità del sindaco d'Italia che, pur avendo
alcune doti comunicative innate, usa ogni mezzo pur di
imperare....tranne quello di ricercare un utile fine attraverso i
giusti presupposti di una democrazia.
E'
stupefacente la nota di Domenico Cacopardo quando, in riferimento
alla nuova legge elettorale, sottolinea i tanti personaggi del
passato che, nolenti o non nolenti, dovranno piegarsi... Tra questi
vi sono alcuni che hanno sicuramente a cuore la difesa dei principi
costituzionali. E poi..piegarsi a che?.. Ad una nuova legge
elettorale decisa da un governo che determina la sua maggioranza
grazie ad un esoso premio avuto per effetto di una legge elettorale
passata fortemente contestata dalla Corte costituzionale? ..Una
maggioranza guidata da un segretario del partito e Premier nemmeno
eletto?..E' vero... la Costituzione ammette che se vi è una
maggioranza in Parlamento il presidente della Repubblica può dare
l'incarico..Ma siamo certi che questi principi siano chiari e
davvero corretti per quanto riguarda le delicate e fondamentali
riforme costituzionali?
Anzichè
di coraggio... io parlerei di mancanza totale di idee innovative sul tema!..Ci si accoda alle proposte di un Premier.. non
accorgendosi minimamente di quanto non vi è nulla di nuovo sul combinato proposto in ambito di riforme costituzionali ed istituzionali.
Si vive in proposito in un vuoto totale ... senza
porsi mai la domanda più logica di come arrivare ad un fine
costruttivo cambiando in senso innovativo un percorso politico che
necessita seriamente di un corretto funzionamento. L'alternativa
rimane solo ancorata ai modelli esterofili delle contraddittorie
democrazie degli altri Stati. Quindi non mettendovi mai alcun
contenuto personale attraverso una seria ed utile ricerca...
Dovremmo
poter dare esempi al mondo dei veri principi di una democrazia (sia
per la nostra storia..che per la conseguente cultura) ed invece
restiamo appesi a paradigmi vecchi sui quali pensiamo di far crescere
nuove formule. In realtà tutto rimane vecchio proprio per una
vecchia forma mentis politica bloccata.
Si
continua a non dare seguito ad una vera riforma per il rinnovamento
dei Partiti e non si pone il serio problema del conflitto tra i
ruoli..crescono perciò le anomalie..e dobbiamo persino ringraziare
un Premier chiamandolo coraggioso? E' il solito pasticcio.. di chi con furbizia agisce con determinazione, ma senza vere
idee!..Con questa operazione si sta aggirando ogni ostacolo e si sta
imponendo una politica assoluta ed assolutista..Altro che deriva
autoritaria! Definito il nuovo sistema non vi sarà nemmeno bisogno
di un Parlamento poiché il suo scopo non avrà più alcun senso..
vincenzo cacopardo
di domenico cacopardo
«Non
avrà il coraggio», si sono detti gli esponenti delle minoranze Pd
in occasione dell’approvazione del «job act». «Non avrà il
coraggio», si sono ripetuti prima della riunione della direzione o
dei gruppi parlamentari in vista del voto sull’«Italicum», nuova
legge elettorale, e prima che rimuovesse tutti i loro rappresentanti
(10) dalla commissione Affari costituzionali che nei prossimi giorni
l’esaminerà. Invece Matteo Renzi l’ha fatto. È andato avanti e
in virtù di voti nel partito e nelle aule ha continuato il suo
percorso riformista, senza lasciarsi fuorviare dalle minacciose
dichiarazioni dei Cuperlo e dei Fassina e dello statista di Bettola
(Piacenza), Pierluigi Bersani, lo scopritore della Boldrini (insieme
a Vendola) e di Grasso.
Per
ritorsione (una ritorsione schizofrenica), Forza Italia ha deciso di
abbandonare i lavori della commissione stessa, quando, al Senato
aveva approvato in commissione e in aula il testo ora all’esame
della Camera dei deputati.
Non
parteciperanno ai lavori nemmeno Lega Nord, Sel (ma esiste ancora?) e
Movimento 5 Stelle. Tutti soggetti che danno al Paese un bell’esempio
di democrazia: il senso delle loro contestazioni è che la democrazia
c’è solo se la maggioranza si piega a loro, minoranza, o se la
minoranza è tale da ricattare con successo la maggioranza.
Che
i partiti «aventiniani» abbiano scelto la strada della diserzione è
un errore comprensibile, visto che con la nuova legge elettorale non
piglieranno palla: introdurrà un bipartitismo tendenziale che,
nell’attuale situazione, produrrà una Camera composta dai
rappresentati di un partito (che dovrebbe essere il Pd) e tanti
sparsi gruppetti elettorali. A dire il vero l’ottica bipartitista
era gradita a Silvio Berlusconi che si vedeva unico interprete
dell’opposizione «di sua maestà», quella opposizione blanda che
gli avrebbe permesso di sistemare le proprie cose imprenditoriali,
politiche e giudiziarie. Una prospettiva svanita per la sua denuncia
del Patto del Nazareno a causa della scelta di Mattarella per la
presidenza della Repubblica e per la scomposizione del suo partito
diviso in frazioni più o meno vicine o lontane rispetto a Matteo
Renzi, tutte decise, nel concreto, a rifiutare la «leadership»
dell’«uomo di Arcore».
Nella
realtà dei corridoi parlamentari, l’elemento più eclatante è lo
sconcerto dei non pochi componenti delle minoranze Pd, più stupiti
che indignati. E lo stupore deriva dalla constatazione che quel «fair
play» che teneva unita la «ditta» (la definizione che
freudianamente Bersani dette del partito, mutuandola dal soggetto
tipico dell’attività commerciale, appunto la «ditta») con Renzi
non è più valso, perché lui è un «parvenu» estraneo alla storia
del Pds e dei Ds, uniti da un collante postideologico e
dall’insediamento sociale di cui era espressione. Pensiamo al
sindacato, prima di tutto la Cgil, ma non solo, e pensiamo alla
cooperazione al suo mondo di affari e alla sua presenza nel
territorio. I grandi ipermercati, l’edilizia popolare e
convenzionata, gli appalti pubblici. Una macchina che, nel migliore
dei casi, creava solidarietà tra politica, sindacato e cooperatori,
nel peggiore complicità e connivenza.
In
una organizzazione costruita su questi presupposti, c’è una
generale convenienza a misurarsi e a confrontarsi all’interno di
quel «fair play» che determina i limiti di ogni azione, pena
l’emarginazione e la collocazione nella nota categoria degli insani
di mente, coloro che non accettano le regole della convenienza.
Renzi
ha dimostrato a tutti che sul piano della solidarietà politica o
della complicità di cui abbiamo detto, è un alieno che non teme le
minacce della minoranza, che sa gestirla conoscendone le debolezze e
batterla ogni volta che ciò gli risulta utile.
Ha
dalla parte sua il fatto che il mondo –e con esso l’Italia- è
cambiato e che quindi gli stilemi, le parole d’ordine di qualche
anno fa non funzionano più.
La
grande crisi ha messo la gente di fronte a problemi che le parole
della minoranza Pd non esorcizzavano, anzi aggravavano con ricette
visibilmente fuori dal tempo.
E
la grande crisi ha invecchiato d’improvviso e di qualche decennio
coloro che sembravano gli interpreti di un’anima di sinistra che
non esiste più com’esisteva, se non in esigui gruppi sociali.
La legge elettorale passerà, non ci sono
dubbi. E, da qual momento, ogni giorno sarà buono per sciogliere le
camere se Renzi lo riterrà e lo vorrà. In tutti i regimi
parlamentari, le elezioni vengono stabilite dai governi. In Italia,
in modo anomalo, da qualche presidente della Repubblica ai «bordi»
della Costituzione.
E,
in effetti, Mattarella non potrà rifiutare il suo assenso, se e
quando il primo ministro gli sottoporrà il decreto di scioglimento.
Da
quel giorno e dalla nuova consultazione elettorale, inizierà la
terza Repubblica, volenti o nolenti tanti personaggi del passato. In
essa e con essa ci si dovrà misurare.
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