11 giu 2015

un appunto al nuovo articolo del consigliere Cacopardo su Obama e diplomazia Europea

Ha ragione Domenico ..ma sembra addirittura che l'America cerchi un qualsiasi pretesto per provocare qualche atto di guerra in un territorio che non gli è mai appartenuto. Non credo che noi italiani , con tutto il rispetto che si deve per l'aiuto ricevuto nel passato, possiamo ancora restare legati e vincolati alle teorie imperialiste e spesso assolute degli USA. Che sia Obama la maggiore bufala.. non ci possono essere più dubbi...come non ci possono essere dubbi sulle azioni di difesa di Putin di fronte ad una certa arroganza espressa sul caso Ucraina: Problema diplomatico che si sarebbe dovuto affrontare con maggior equilibrio e con la fondatezza di una conoscenza storica territoriale meno approssimativa.
Questa Europa che si trascina al servilismo di una America tanto lontana dai veri problemi oggi esistenti, è l'emblema di una Comunità che rimane incapace di trovare soluzioni diplomatiche più efficaci ed utili persino a se stessa.
La verità sull'Ucraina (problema che sembra riaccendersi) è complessa e la responsabilità non può pesare sulle necessarie tutele operate dalla politica di Putin a difesa dei terrirori che più gli sono consimili per storia, cultura ed interessi economici.
Sembrano comunque volersi volutamente nascondere alcuni fatti essenziali avvenuti circa un anno fa quando le forze di destra del partito paranazista Svoboda, hanno militarizzato le difese di Maidan e molti manifestanti si sono armati di armi nuovissime, fucili e pistole. Naturalmente qualcuno vorrebbe anche sapere la verità sulla provenienza di quelle armi dato il fatto che non sia per niente assicurato che siano di provenienza russa. Vi sono stati massacri di manifestanti sempre attribuiti ai russi per indurre ad una indignazione e far sì che i media spingessero a favore dell'Europa e dell'America.
Di sicuro in quella data a Kiev gli eventi sono precipitati. Giorni dopo sembra essersi raggiunto un accordo con il presidente Janukovich e le forze di opposizione, ma successivamente la notizia fu smentita e poi... come si è dato sapere... in parlamento si è scatenato l'inferno. Successivamente... trovato l'accordo tra qualche fischio della piazza... ci si è apprestati ad una riforma costituzionale, si è formato un nuovo governo di unità nazionale ed elezioni a breve termine. In parlamento una quarantina di deputati di Janukovich passano all’opposizione, si depone il ministro dell’interno e si delibera la scarcerazione di Julya Timoschenko...infine.. la fuga di Janukovich.
Appare certo è che la decisione del destino del paese sia stata concentrata su una serie di avvenimenti poco chiari... non voluti dallo stesso popolo ucraino, ma determinati da forze diverse. Avvenimenti che lasciano senza alcuna chiarezza e che portano al sospetto di una ulteriore influenza dell'America nei terrirori dell'est.
vincenzo cacopardo



È Obama la bufala maggiore che ci sia in circolazione, ma gli europei si sono comportati con lui, al G7 bavarese, come se avessero l’anello al naso.
Non c’è nessuno, negli ambienti che contano delle capitali dell’Europa allargata, che abbia creduto alle notizie diffuse dalla Cia, il servizio segreto meno credibile del mondo, noto per le bugie distribuite in giro (le armi chimiche di Saddam, per esempio), sull’aggravarsi della tensione in Ucraina a opera delle milizie filorusse. Anche perché lo zar del Cremlino è dotato di un riconosciuto «esprit de geometrie» che lo induce, anche quando compie scelte forti e dure, a ragionare sulle situazioni e sulle mosse da compiere. Non era certo nell’interesse suo e della Russia venirsene fuori con incidenti sanguinosi alla vigilia del G7, diventato 7 dopo la sua espulsione.
Interessava solo al provvisorio ospite della Casa Bianca, ai padroni americani del business energetico e al loro rappresentante nello scacchiere, il presidente golpista Poroshenko, presentarsi al vertice accompagnati dal coro della stampa occidentale che denunciava l’irresponsabile aggravamento della crisi che inchioda l’Ucraina a un destino non inatteso, quello del territorio conteso tra Occidente e Oriente.
È utile ricordare brevemente il succedersi degli eventi.
L’Ucraina viene governata, dopo molti sussulti provocati dai filorussi e dai filoamericani, da Yanukovich, regolarmente eletto. Un equilibrista, questo presidente, in bilico tra le contrastanti esigenze dei suoi cittadini e, comunque, percepito come non ostile a Mosca. La cosa non va bene a Washington, a Berlino e allo schieramento di stati exsovietici che nutrono folli sentimenti revanscisti nell’era atomica (Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia). Perciò si organizza un golpe, contando sulla forza dei gruppi neonazisti, sorti nell’ultimo decennio sulle macerie del passato.
Il golpe ha successo e porta al potere Poroshenko, un ucraino molto amerikano.
L’idea, di certo irrealistica, è quella di spostare l’Ucraina nel campo americano, completando lo schieramento all’Est dell’Europa, dal Nord finlandese sino alla Crimea.
Che l’operazione sia stata considerata ostile dalla Russia non è una sorpresa, solo una logica ineluttabile conseguenza.
Come ovunque nel mondo, Obama mostra le proprie irreparabili manchevolezze di visione e di leadership, aprendo fronti che sistematicamente gli si rivoltano contro.
Anche dal punto di vista militare, la situazione è grave e insostenibile, almeno per noi europei: sulla linea che va dal mare Baltico al mar Nero volano gli «strikers» occidentali (cacciabombiardieri, all’occorrenza atomici) in missione di sorveglianza e di prevenzione.
E allora, ci si sorprende che la Russia abbia dato il via all’aggiornamento del proprio armamento missilistico a medio raggio, cioè antieuropeo? Non lo si immaginava?
Nel concreto la questione, sfrondata dei demenziali progetti strategici di Obama, è la seguente: il confronto-scontro, trasferitosi sul terreno economico, significa un drastico azzeramento dell’interscambio Europa-Russia, stimato, prima della crisi, in 250 miliardi di euro (con una importante quota italiana). 

Se si volesse allentare la tensione in vista di un «appeasement», la strada giusta sarebbe approfondire e allargare i rapporti economici, rendendo la Russia sempre più legata all’Unione europea e, quindi, sulla via di un solido ancoraggio all’Occidente.
La politica di Obama, passivamente accettata dalla Germania (e dall’Unione) invece ha provocato lo spostamento dell’asse politico russo sulla Cina, con la quale è stato definito il più grande accordo di cooperazione commerciale della storia del mondo.
Ora, in Baviera, dopo la faccia feroce del presidente americano, sembra abbia avuto il via una nuova fase di maggiori sanzioni. Una linea che, in realtà, a questo punto significa solo che il prezzo delle sanzioni sarà pagato dalle economie di esportazione dell’Unione, le vere destinatarie dell’embargo.
Quanto alla questione libica, si potrebbe dire: «Non pervenuta.»
Si nota, per il contesto Mediterraneo, l’assenza di peso di Matteo Renzi, incapace di affermare un qualsiasi ruolo dell’Italia, nè sul fronte «caos libico», né su quello caldissimo delle migrazioni.
E dire che il disastro libico è tutto da attribuire agli Stati Uniti e alla Francia (Sarkozy), all’inseguimento, quest’ultima, della estromissione italiana e della sua sostituzione.
Non sarebbero questi due buoni motivi per rifiutare il ruolo di «fedele amico dell’uomo», quello che riceve il primo calcio in bocca?
No, non è bastato. Il giovane e inconsapevole primo ministro italiano se ne è uscito con una breve filippica contro il governo dell’epoca (Berlusconi) per la partecipazione all’operazione bombardamenti in Libia, dimenticando che, a quel tempo, l’Italia fu estremamente riluttante e che l’interventismo autolesionista fu fortemente caldeggiato dalla sua parte politica e dalla grande stampa, più attenta agli interessi transalpini che a quelli nazionali.
Sul dossier russo, invece, il nostro «premier» ha adottato la linea «coraggio con prudenza»: a Washington aveva detto a Obama che l’Italia non avrebbe rotto la solidarietà occidentale. In Germania ha, sostanzialmente taciuto, rinviando il suo discorso a ieri, alla visita di Putin all’Expo, a Mattarella e a lui medesimo. Nella speranza di ritagliarsi un ruolo privilegiato nei rapporti con l’ancora potente orso dell’Est e di ottenere un qualche consenso per le iniziative possibili in Libia.
Uno spiraglio, anche minimo, di autonomia che si sarebbe potuto ben altrimenti spendere al G7.
Domenico Cacopardo

Nessun commento:

Posta un commento