Ha più
che ragione Domenico..col suo articolo.. a sottolineare le storture di un sistema che
oggi vede una certa magistratura permettersi di esporre ed incidere
su questioni a lei meno pertinenti, ma non bisogna dimenticare che
tutto ciò nasce proprio dal fatto che la politica ormai da un bel
po' di tempo, non riesce ad imporsi per capacità delle figure e
funzionamento della stessa.
Dalla
forza e dalla qualità di una politica funzionale non si potrebbe mai
prescindere ed il nostro Paese ha visto in questi anni una chiara
incapacità da parte delle figure di poter incidere in un percorso
innovativo di cambiamento in grado di supportare una strada di vero
funzionamento ....Non ci si poteva aspettare altro da parte un ordine
della magistratura che, pur nelle sua più che evidente
politicizzazione ed in mancanza di un peso specifico che potesse
mettere in riga il funzionamento di istituzioni ormai prive di
sostanza, ha colmato un vuoto senza il quale il Paese starebbe
ancora peggio.
Duole doverlo affermare, ma è già da tempo che.. la mancanza di un funzionale piano politico istituzionale.. capace di porre un punto sulla differenza dei ruoli e dei poteri.. tale da organizzare meglio il sistema, non fa che aprire larghe strade ad un ordine che ormai viene identificato usualmente, ed in modo poco adatto, come un autentico potere.
vincenzo cacopardo
nessun
politico«La pressione fiscale in Italia è intollerabile …», «…
difficilmente il sistema economico potrebbe sopportare ulteriori
aumenti …», «… la politica fiscale è stata piegata a obiettivi
di gettito immediato», occorrerebbe «… una riscrittura del patto
sociale tra cittadini e governo …», sembrano le considerazioni
dell’esponente di un partito politico che, soffermatosi sulla
propria valutazione dello stato attuale dell’«arte» del bilancio
pubblico, concluda proponendo una terapia, la propria. Invece sono le
parole lette dal dottor Enrico Laterza, presidente di sezione della
Corte dei conti, contenute nella relazione sul rendiconto generale
dello Stato italiano 2014. Una lettura al riparo di una toga che
dovrebbe garantire il massimo della terzietà e dell’oggettività
possibile, su un tema discutibile e controverso come l’economia e
le misure per risanarla. Non solo sono stupefacenti le parole, ma
anche il silenzio, dalla ragioni oscure, sul merito e sul metodo
mantenuto dalla stampa nazionale.
Mi hanno
fatto venire in mente un libro insolito, ma efficace, scritto con
passione da un magistrato, collocatosi a riposo in anticipo, sulle
sue esperienze nell’ordine giudiziario.
Piero Tony,
Io non posso tacere, Einaudi.
«La
situazione di oggi è questa, una magistratura corporativa e
politicizzata, vistosamente legata ai centri di potere, che non urla
per protestare contro un sistema che l’ha resa inutile, ma anzi
continua a opporsi in modo sistematico a qualsiasi progetto di
riforma dell’esistente. È probabilmente l’effetto del piccolo
cabotaggio delle varie campagne elettorali, attente più agli indubbi
privilegi di categoria, compresi quelle economici, che ai modo per
sanare un sistema spesso inefficiente. Piccolo cabotaggio che però
non impedisce –soprattutto per quell’assenza di complessi sottesa
a una politicizzazione così anomala- di agire e pontificare non solo
in casa propria, ma in relazione a buona parte dei grandi tempi
politici nazionali e internazionali senza tema di essere apostrofati
con un “Taci, cosa c’entri, tu?” È questo che ha portato la
giustizia, non solo Magistratura democratica a ritenere di avere una
singolare missione socio-equitativa realizzabile non con la difesa
dei più deboli, ma con l’attacco ai più forti»
Queste
considerazioni mi sono venute alla mente, leggendo del sequestro
della Fincantieri di Monfalcone e del revival giudiziario di
Berlusconi, con la chiusura delle indagini per il Ruby ter, il
processo concernente 10 milioni di euro trasferiti dalle tasche
dell’imputato a quelle delle olgettine e della medesima Ruby, per
il 70%, presumibilmente per indurle a negare la «sessualità» delle
feste del «bunga-bunga». A questa grana finale, si aggiungono, per
Berlusconi i processi di Napoli (per la corruzione del senatore De
Gregorio) e di Bari (per prostituzione), nel corso del quale è stato
disposto il suo accompagnamento coatto per testimoniare.
Non c’è
dubbio che nel procedimento di Monfalcone siano emersi fatti tali da
indurre il magistrato al sequestro del sito produttivo. Ma non è
possibile ritenere che non siano state immaginate le conseguenze:
sospensione dal lavoro dei 4500 addetti, crisi specifica della
Fincantieri, impegnata in colossali commessi internazionali,
possibile fine della cantieristica italiana, sul modello Ilva. Non è
possibile non immaginare che tra i vari interessi, tutelati dalla
legge, il giudice sia stato costretto a scegliere il più drastico,
cioè il sequestro, con precise conseguenze penali nei confronti dei
responsabili dell’impianto produttivo.
Se la
strada finirà per essere la medesima imboccata per Taranto e il suo
impianto siderurgico, non c’è dubbio che il danno per l’economia
nazionale sarà netto e irreparabile.
Punto. Non
ci sono altre valutazioni da formulare, tranne quella che in qualche
caso nell’amministrazione della giustizia prevalgono elementi di
tipo giuridico-burocratico che fanno tralasciare il complesso dei
legittimi interessi in campo.
E ciò non
deve sembrare una critica al caso specifico, ma al sistema che non
consente ai vari protagonisti della vita nazionale di interloquire
quando ci sono in ballo questione che riguardano l’«interesse
nazionale».
Quanto a
Berlusconi, da tempo destinatario di particolari premure di varie
procure, la sensazione che le ultime notizie inducono è quella della
stanchezza. Certo –e l’abbiamo scritto su questo giornale un anno
fa- la questione dei soldi erogati alle testimoni del processo Ruby
non sarebbe finita nel dimenticatoio. Poi, l’assoluzione
dell’imputato per la «mancata costituzione della prova» dei
rapporti sessuali aveva indotto molti commentatori a non prestare più
attenzione alle testimoni del procedimento.
L’inesorabilità
di Bruti Liberati, connessa altresì alla volontà di didascalica di
dimostrare agli italiani che la procura di Milano perde una battaglia
ma non si arrende, ha ottenuto (e non poteva che essere così) il
risultato voluto. Il rinvio a giudizio di Berlusconi costituirà,
come sostengono gli esperti dei palazzi di giustizia, il colpo del ko
definitivo. C’è da chiedersi come reagirà il piccolo Farinacci
berlusconiano, Renato Brunetta, alle prese con quotidiani toni
rutilanti e dimentico delle decisioni e delle scelte del governo di
cui ha fatto parte. Ma, comunque reagirà, avrà solo effetti
negativi, a dimostrazione che nella vita e in politica il radicalismo
non porta da nessuna parte.
Rimangono
ben presenti le scene di Berlusconi tra due Carabinieri condotto in
vincoli nel tribunale di Bari e del medesimo Berlusconi alla sbarra a
Napoli per un processo che presenta forti dubbi di legittimità
costituzionale.
È
difficile spiegarne il perché. Cerchiamo di farlo con poche parole:
se il mandato parlamentare è libero da vincoli e non è sindacabile,
non sono sindacabili le scelte e le ragioni (i soldi) del senatore De
Gregorio. Una cosa non accettabile, ma così è la regola: «Summus
ius summa iniuria». Alla fine, da questa vicenda (e nemmeno per le
altre è sicura la condanna), dopo vari gradi di giudizio, Berlusconi
sarà assolto. Ne valeva la pena?
Domenico
Cacopardo
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