2 lug 2015

Le ragioni di domenico Cacopardo sui poteri

Ha più che ragione Domenico..col suo articolo.. a sottolineare le storture di un sistema che oggi vede una certa magistratura permettersi di esporre ed incidere su questioni a lei meno pertinenti, ma non bisogna dimenticare che tutto ciò nasce proprio dal fatto che la politica ormai da un bel po' di tempo, non riesce ad imporsi per capacità delle figure e funzionamento della stessa.
Dalla forza e dalla qualità di una politica funzionale non si potrebbe mai prescindere ed il nostro Paese ha visto in questi anni una chiara incapacità da parte delle figure di poter incidere in un percorso innovativo di cambiamento in grado di supportare una strada di vero funzionamento ....Non ci si poteva aspettare altro da parte un ordine della magistratura che, pur nelle sua più che evidente politicizzazione ed in mancanza di un peso specifico che potesse mettere in riga il funzionamento di istituzioni ormai prive di sostanza, ha colmato un vuoto senza il quale il Paese starebbe ancora peggio. 
Duole doverlo affermare, ma è già da tempo che.. la mancanza di un funzionale piano politico istituzionale.. capace di porre un punto sulla differenza dei ruoli e dei poteri.. tale da organizzare meglio il sistema, non fa che aprire larghe strade ad un ordine che ormai viene identificato usualmente, ed in modo poco adatto, come un autentico potere.
vincenzo cacopardo  



nessun politico«La pressione fiscale in Italia è intollerabile …», «… difficilmente il sistema economico potrebbe sopportare ulteriori aumenti …», «… la politica fiscale è stata piegata a obiettivi di gettito immediato», occorrerebbe «… una riscrittura del patto sociale tra cittadini e governo …», sembrano le considerazioni dell’esponente di un partito politico che, soffermatosi sulla propria valutazione dello stato attuale dell’«arte» del bilancio pubblico, concluda proponendo una terapia, la propria. Invece sono le parole lette dal dottor Enrico Laterza, presidente di sezione della Corte dei conti, contenute nella relazione sul rendiconto generale dello Stato italiano 2014. Una lettura al riparo di una toga che dovrebbe garantire il massimo della terzietà e dell’oggettività possibile, su un tema discutibile e controverso come l’economia e le misure per risanarla. Non solo sono stupefacenti le parole, ma anche il silenzio, dalla ragioni oscure, sul merito e sul metodo mantenuto dalla stampa nazionale.
Mi hanno fatto venire in mente un libro insolito, ma efficace, scritto con passione da un magistrato, collocatosi a riposo in anticipo, sulle sue esperienze nell’ordine giudiziario.
Piero Tony, Io non posso tacere, Einaudi.
«La situazione di oggi è questa, una magistratura corporativa e politicizzata, vistosamente legata ai centri di potere, che non urla per protestare contro un sistema che l’ha resa inutile, ma anzi continua a opporsi in modo sistematico a qualsiasi progetto di riforma dell’esistente. È probabilmente l’effetto del piccolo cabotaggio delle varie campagne elettorali, attente più agli indubbi privilegi di categoria, compresi quelle economici, che ai modo per sanare un sistema spesso inefficiente. Piccolo cabotaggio che però non impedisce –soprattutto per quell’assenza di complessi sottesa a una politicizzazione così anomala- di agire e pontificare non solo in casa propria, ma in relazione a buona parte dei grandi tempi politici nazionali e internazionali senza tema di essere apostrofati con un “Taci, cosa c’entri, tu?” È questo che ha portato la giustizia, non solo Magistratura democratica a ritenere di avere una singolare missione socio-equitativa realizzabile non con la difesa dei più deboli, ma con l’attacco ai più forti»
Queste considerazioni mi sono venute alla mente, leggendo del sequestro della Fincantieri di Monfalcone e del revival giudiziario di Berlusconi, con la chiusura delle indagini per il Ruby ter, il processo concernente 10 milioni di euro trasferiti dalle tasche dell’imputato a quelle delle olgettine e della medesima Ruby, per il 70%, presumibilmente per indurle a negare la «sessualità» delle feste del «bunga-bunga». A questa grana finale, si aggiungono, per Berlusconi i processi di Napoli (per la corruzione del senatore De Gregorio) e di Bari (per prostituzione), nel corso del quale è stato disposto il suo accompagnamento coatto per testimoniare.
Non c’è dubbio che nel procedimento di Monfalcone siano emersi fatti tali da indurre il magistrato al sequestro del sito produttivo. Ma non è possibile ritenere che non siano state immaginate le conseguenze: sospensione dal lavoro dei 4500 addetti, crisi specifica della Fincantieri, impegnata in colossali commessi internazionali, possibile fine della cantieristica italiana, sul modello Ilva. Non è possibile non immaginare che tra i vari interessi, tutelati dalla legge, il giudice sia stato costretto a scegliere il più drastico, cioè il sequestro, con precise conseguenze penali nei confronti dei responsabili dell’impianto produttivo.
Se la strada finirà per essere la medesima imboccata per Taranto e il suo impianto siderurgico, non c’è dubbio che il danno per l’economia nazionale sarà netto e irreparabile.
Punto. Non ci sono altre valutazioni da formulare, tranne quella che in qualche caso nell’amministrazione della giustizia prevalgono elementi di tipo giuridico-burocratico che fanno tralasciare il complesso dei legittimi interessi in campo.
E ciò non deve sembrare una critica al caso specifico, ma al sistema che non consente ai vari protagonisti della vita nazionale di interloquire quando ci sono in ballo questione che riguardano l’«interesse nazionale».
Quanto a Berlusconi, da tempo destinatario di particolari premure di varie procure, la sensazione che le ultime notizie inducono è quella della stanchezza. Certo –e l’abbiamo scritto su questo giornale un anno fa- la questione dei soldi erogati alle testimoni del processo Ruby non sarebbe finita nel dimenticatoio. Poi, l’assoluzione dell’imputato per la «mancata costituzione della prova» dei rapporti sessuali aveva indotto molti commentatori a non prestare più attenzione alle testimoni del procedimento.
L’inesorabilità di Bruti Liberati, connessa altresì alla volontà di didascalica di dimostrare agli italiani che la procura di Milano perde una battaglia ma non si arrende, ha ottenuto (e non poteva che essere così) il risultato voluto. Il rinvio a giudizio di Berlusconi costituirà, come sostengono gli esperti dei palazzi di giustizia, il colpo del ko definitivo. C’è da chiedersi come reagirà il piccolo Farinacci berlusconiano, Renato Brunetta, alle prese con quotidiani toni rutilanti e dimentico delle decisioni e delle scelte del governo di cui ha fatto parte. Ma, comunque reagirà, avrà solo effetti negativi, a dimostrazione che nella vita e in politica il radicalismo non porta da nessuna parte.
Rimangono ben presenti le scene di Berlusconi tra due Carabinieri condotto in vincoli nel tribunale di Bari e del medesimo Berlusconi alla sbarra a Napoli per un processo che presenta forti dubbi di legittimità costituzionale.
È difficile spiegarne il perché. Cerchiamo di farlo con poche parole: se il mandato parlamentare è libero da vincoli e non è sindacabile, non sono sindacabili le scelte e le ragioni (i soldi) del senatore De Gregorio. Una cosa non accettabile, ma così è la regola: «Summus ius summa iniuria». Alla fine, da questa vicenda (e nemmeno per le altre è sicura la condanna), dopo vari gradi di giudizio, Berlusconi sarà assolto. Ne valeva la pena?


Domenico Cacopardo

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