In questa
analisi impeccabile di Domenico Cacopardo riconosco tutto
l'equilibrio di chi, quando vuole, riesce a leggere la politica
internazionale con l'occhio del sensato criterio. Il consigliere
Cacopardo tocca il tasto dolente di una politica internazionale
mediocre e non lungimirante che tutt'oggi persiste nella edificazione
di un'Europa costruita su Paesi distinti e territorialmente diversi. Una classe politica che ha
perseverato senza alcuna sapiente lettura dei fenomeni e guardando
prevalentemente ai pragmatici parametri economici che, in realtà,
meno contano senza una visione di base storico etico culturale..
di cui la stessa.. ha sempre necessitato. Il fenomeno dell'immigrazione..altro non è che la conseguenza logica di altre azioni che si sarebbero dovute apprestare con maggiore attenzione ed il cui risultato si sarebbe potuto prevedere in tempo.
vincenzo
cacopardo
È la
follia che governa l’Europa: non una follia collettiva, ma la
follia dei singoli stati, dei governanti, tutti ciechi di fronte al
cataclisma che ha investito il continente. Incapaci di ragionare, di
riflettere su ciò che è accaduto e che sta accadendo, di immaginare
quale sarà la situazione tra un anno o tra dieci.
Indifferenti
di fronte alle leggi su cui si reggono gli stati e l’Unione, perché
incapaci di osservarle e di farle osservare.
Se
utilizzassi ancora la categorie del marxismo classico, direi che la
biblica immigrazione che ci sta investendo, è frutto di una scelta
consapevole del grande capitale che, in questo modo, in un momento in
cui i segnali di ripresa fanno temere un ritorno alle tensioni del
mercato del lavoro, ha deciso di importare alcune decine di milioni
di disperati, di farne il sottoproletariato prima, e il proletariato
dopo dal quale prendere forza lavoro a basso costo per ottenere il
balzo in avanti che la «maturità» del sistema Europa non può
permettere. E mettere ko il sindacato che, già in caduta, libera
sarà privo di ogni potere contrattuale.
Nel nostro
piccolo, il bipolarismo italiano, tra un Nord rispettoso delle leggi
e pagatore delle tasse e il resto anarchico e fortemente inquinato
dalla criminalità, otterrà un beneficio localizzato nelle zone dove
il caporalato e la criminalità medesima metteranno a reddito le
decine di migliaia di disperati (i più disperati sono quelli che
rimangono in Italia, privi di relazioni parentali in Germania e in
Francia e di specializzazioni ambite dalle economie avanzate).
C’è
sicuramente del vero in quest’idea (delle esigenze del capitale),
soprattutto nell’improvvisa giravolta di frau Merkel che si propone
di ricevere, ora, poco meno di 1 milione di immigranti assimilabili
alla categoria, piuttosto lasca di questi tempi, del rifugiato.
Già, la
Germania è l’unico luogo nel continente nel quale si decidono le
sorti dell’Unione, si compiono scelte immediate e, raramente,
strategiche, in coerenza con un sistema finanziario e industriale che
ha una visione pallidamente simile ai dieci grandi decisori di Wall
Street.
Gli Stati
Uniti sono i primi protagonisti di quanto sta succedendo nello
scacchiere cui apparteniamo e in due livelli: hanno determinato il
caos mediorientale lasciandolo incancrenire. Un modo come un altro
per mettere la zona, sino a ieri cruciale per gli equilibri del mondo
a causa del suo peso energetico, fuori gioco, estenuata da un
conflitto infraislamico che potrà durare decenni e tracimare in
Europa. Il secondo modo, è il sostanziale ritiro americano dallo
scenario euro-mediorientale. È ciò che ci lascia esposti al vento
dell’estremismo islamico e al ciclone di un’immigrazione che
continuerà a crescere, sino a placarsi, secondo Washington, fra
vent’anni.
Nulla è
già come ieri. Il fenomeno non è stato arrestato quand’era agli
inizi, per colpa di governanti ciechi, vigliacchi e traditori
(imbevuti dell’ideologia del tradimento, di cui mi occuperò
presto) e oggi ha assunto dimensioni tali da renderne impossibile una
sospensione, anche breve.
Le migliaia
di persone in cammino sull’autostrada Budapest-Austria sono un
segno tangibile che quello che viviamo è un fenomeno storico, al
quale eravamo disabituati, ma che, tuttavia, è ben presente nella
storia del continente, devastato dalle invasioni barbariche e da
quelle islamiche, queste ultime riuscite solo parzialmente.
Forse è la
storia che si prende la sua rivincita: gli anni dell’inerzia, gli
anni in cui il processo di costruzione di uno Stato federale europeo
s’è arrestato per il piccolo cabotaggio francese, nemico di ogni
passo in avanti e per l’ostilità del merciaio tedesco ci hanno
gettato in quest’abissale paralisi, nella quale tutti possono farci
ciò che vogliono, sicuri che non sapremo reagire.
Solo in un
caso, America e Unione (un’Unione autolesionista) si sono trovati
insieme a gestire un pesante dossier: si tratta dell’Ucraina, per
la quale l’Obama dei principi democratici a geometria variabile s’è
alleato con i neonazisti di Kiev per realizzare il golpe che
defenestrò il presidente eletto Yanukovich e lo sostituì con
l’amerikano Poroshenko, per aggregare il Paese alla Nato e
all’Occidente e minacciare Mosca sui suoi confini.
Un
interesse strategico americano ci ha coinvolto in un’avventura che
ha una sola soluzione: riconoscere, come fece Krusciov per l’America,
gli interessi di sovranità e di sicurezza russi e definire uno
statuto di tipo svizzero per l’Ucraina.
Ma ciò non
accadrà, almeno per qualche anno, benché Putin (preoccupato del suo
per i movimenti islamici terroristi del Caucaso) sia la chiave per la
soluzione del caso Siria: riprova questa, se mai ce ne fosse bisogno,
della volontà americana di non cogliere l’opportunità di un
accordo tombale con la Russia e di mantenerci sotto schiaffo con le
guerre a due passi dai nostri confini.
L’accolta
di ottusi burocrati che «governa» Bruxelles, tutti scelti per
compromessi, pressioni lecite e illecite, per curricula spesso
opachi, per ambizioni o giubilazioni personali, che s’incontra e
dialoga con una schiera di ciechi (i governanti dei paesi) non ha una
volta sola ragionato in termini di medio periodo. Non s’è chiesta
cosa fare per esaurire la spinta verso l’Europa di milioni di
africani e mediorientali.
Subisce
l’ondata –e oggi non si può non subirla- senza avere una
politica per i prossimi anni (i 20 indicati dagli americani).
C’è da
chiedersi, cosa fanno tutto il giorno questi incompetenti e stolidi
burocrati del 3% (non s’è mai capito perché il 3 e non il 2 o il
4) che, nonostante soldi e uffici studi, non hanno previsto ciò che
stava per accaderci, e hanno pensato solo a ciò che sarebbe potuto
accadere, nelle loro teste, se la Croazia, un esempio, avesse
sfondato il 3%: tutte conseguenze inventate da loro, gestite da loro,
utilizzate da loro per sostenere una macchina burocratica peggiore di
quella della Russia zarista.
Ci sono due
conseguenze facilmente immaginabili per il domani e per il
dopodomani. La prima riguarda le difficoltà di assorbire questa
nuova mano d’opera scarsamente specializzata, destinata a
ingrassare prima di tutto la criminalità, e poi in via minoritaria a
soddisfare le necessità di forza lavoro dell’industria (che in
Italia non c’è). Anzi, da noi, una legislazione feroce e
garantista renderà legalmente impossibile l’inserimento dei
neoimmigrati nel sistema industriale. Tant’è vero che gran parte
dei nuovi arrivati non ci pensa nemmeno a fermarsi in Italia. Come
abbiamo visto, ci resteranno solo i peggiori, coloro che non sanno
fare altro che il duro lavoro dei campi o quello meno duro e più
redditizio del mondo illegale.
Al momento
non c’è una ricetta, un’idea, un progetto.
Niente di
niente: solo il deserto delle idee e delle capacità di governo.
domenico cacopardo
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