8 set 2015

Piccola nota sulla eccellente analisi di Domenico Cacopardo sulla politica internazionale.



In questa analisi impeccabile di Domenico Cacopardo riconosco tutto l'equilibrio di chi, quando vuole, riesce a leggere la politica internazionale con l'occhio del sensato criterio. Il consigliere Cacopardo tocca il tasto dolente di una politica internazionale mediocre e non lungimirante che tutt'oggi persiste nella edificazione di un'Europa costruita su Paesi distinti e territorialmente diversi. Una classe politica che ha perseverato senza alcuna sapiente lettura dei fenomeni e guardando prevalentemente ai pragmatici parametri economici che, in realtà, meno contano senza una visione di base storico etico culturale.. di cui la stessa.. ha sempre necessitato. Il fenomeno dell'immigrazione..altro non è che la conseguenza logica di altre azioni che si sarebbero dovute apprestare con maggiore attenzione  ed il cui risultato si sarebbe potuto prevedere in tempo.
vincenzo cacopardo



È la follia che governa l’Europa: non una follia collettiva, ma la follia dei singoli stati, dei governanti, tutti ciechi di fronte al cataclisma che ha investito il continente. Incapaci di ragionare, di riflettere su ciò che è accaduto e che sta accadendo, di immaginare quale sarà la situazione tra un anno o tra dieci.
Indifferenti di fronte alle leggi su cui si reggono gli stati e l’Unione, perché incapaci di osservarle e di farle osservare.
Se utilizzassi ancora la categorie del marxismo classico, direi che la biblica immigrazione che ci sta investendo, è frutto di una scelta consapevole del grande capitale che, in questo modo, in un momento in cui i segnali di ripresa fanno temere un ritorno alle tensioni del mercato del lavoro, ha deciso di importare alcune decine di milioni di disperati, di farne il sottoproletariato prima, e il proletariato dopo dal quale prendere forza lavoro a basso costo per ottenere il balzo in avanti che la «maturità» del sistema Europa non può permettere. E mettere ko il sindacato che, già in caduta, libera sarà privo di ogni potere contrattuale.
Nel nostro piccolo, il bipolarismo italiano, tra un Nord rispettoso delle leggi e pagatore delle tasse e il resto anarchico e fortemente inquinato dalla criminalità, otterrà un beneficio localizzato nelle zone dove il caporalato e la criminalità medesima metteranno a reddito le decine di migliaia di disperati (i più disperati sono quelli che rimangono in Italia, privi di relazioni parentali in Germania e in Francia e di specializzazioni ambite dalle economie avanzate).
C’è sicuramente del vero in quest’idea (delle esigenze del capitale), soprattutto nell’improvvisa giravolta di frau Merkel che si propone di ricevere, ora, poco meno di 1 milione di immigranti assimilabili alla categoria, piuttosto lasca di questi tempi, del rifugiato.
Già, la Germania è l’unico luogo nel continente nel quale si decidono le sorti dell’Unione, si compiono scelte immediate e, raramente, strategiche, in coerenza con un sistema finanziario e industriale che ha una visione pallidamente simile ai dieci grandi decisori di Wall Street.
Gli Stati Uniti sono i primi protagonisti di quanto sta succedendo nello scacchiere cui apparteniamo e in due livelli: hanno determinato il caos mediorientale lasciandolo incancrenire. Un modo come un altro per mettere la zona, sino a ieri cruciale per gli equilibri del mondo a causa del suo peso energetico, fuori gioco, estenuata da un conflitto infraislamico che potrà durare decenni e tracimare in Europa. Il secondo modo, è il sostanziale ritiro americano dallo scenario euro-mediorientale. È ciò che ci lascia esposti al vento dell’estremismo islamico e al ciclone di un’immigrazione che continuerà a crescere, sino a placarsi, secondo Washington, fra vent’anni.
Nulla è già come ieri. Il fenomeno non è stato arrestato quand’era agli inizi, per colpa di governanti ciechi, vigliacchi e traditori (imbevuti dell’ideologia del tradimento, di cui mi occuperò presto) e oggi ha assunto dimensioni tali da renderne impossibile una sospensione, anche breve.
Le migliaia di persone in cammino sull’autostrada Budapest-Austria sono un segno tangibile che quello che viviamo è un fenomeno storico, al quale eravamo disabituati, ma che, tuttavia, è ben presente nella storia del continente, devastato dalle invasioni barbariche e da quelle islamiche, queste ultime riuscite solo parzialmente.
Forse è la storia che si prende la sua rivincita: gli anni dell’inerzia, gli anni in cui il processo di costruzione di uno Stato federale europeo s’è arrestato per il piccolo cabotaggio francese, nemico di ogni passo in avanti e per l’ostilità del merciaio tedesco ci hanno gettato in quest’abissale paralisi, nella quale tutti possono farci ciò che vogliono, sicuri che non sapremo reagire.
Solo in un caso, America e Unione (un’Unione autolesionista) si sono trovati insieme a gestire un pesante dossier: si tratta dell’Ucraina, per la quale l’Obama dei principi democratici a geometria variabile s’è alleato con i neonazisti di Kiev per realizzare il golpe che defenestrò il presidente eletto Yanukovich e lo sostituì con l’amerikano Poroshenko, per aggregare il Paese alla Nato e all’Occidente e minacciare Mosca sui suoi confini.
Un interesse strategico americano ci ha coinvolto in un’avventura che ha una sola soluzione: riconoscere, come fece Krusciov per l’America, gli interessi di sovranità e di sicurezza russi e definire uno statuto di tipo svizzero per l’Ucraina.
Ma ciò non accadrà, almeno per qualche anno, benché Putin (preoccupato del suo per i movimenti islamici terroristi del Caucaso) sia la chiave per la soluzione del caso Siria: riprova questa, se mai ce ne fosse bisogno, della volontà americana di non cogliere l’opportunità di un accordo tombale con la Russia e di mantenerci sotto schiaffo con le guerre a due passi dai nostri confini.
L’accolta di ottusi burocrati che «governa» Bruxelles, tutti scelti per compromessi, pressioni lecite e illecite, per curricula spesso opachi, per ambizioni o giubilazioni personali, che s’incontra e dialoga con una schiera di ciechi (i governanti dei paesi) non ha una volta sola ragionato in termini di medio periodo. Non s’è chiesta cosa fare per esaurire la spinta verso l’Europa di milioni di africani e mediorientali.
Subisce l’ondata –e oggi non si può non subirla- senza avere una politica per i prossimi anni (i 20 indicati dagli americani).
C’è da chiedersi, cosa fanno tutto il giorno questi incompetenti e stolidi burocrati del 3% (non s’è mai capito perché il 3 e non il 2 o il 4) che, nonostante soldi e uffici studi, non hanno previsto ciò che stava per accaderci, e hanno pensato solo a ciò che sarebbe potuto accadere, nelle loro teste, se la Croazia, un esempio, avesse sfondato il 3%: tutte conseguenze inventate da loro, gestite da loro, utilizzate da loro per sostenere una macchina burocratica peggiore di quella della Russia zarista.
Ci sono due conseguenze facilmente immaginabili per il domani e per il dopodomani. La prima riguarda le difficoltà di assorbire questa nuova mano d’opera scarsamente specializzata, destinata a ingrassare prima di tutto la criminalità, e poi in via minoritaria a soddisfare le necessità di forza lavoro dell’industria (che in Italia non c’è). Anzi, da noi, una legislazione feroce e garantista renderà legalmente impossibile l’inserimento dei neoimmigrati nel sistema industriale. Tant’è vero che gran parte dei nuovi arrivati non ci pensa nemmeno a fermarsi in Italia. Come abbiamo visto, ci resteranno solo i peggiori, coloro che non sanno fare altro che il duro lavoro dei campi o quello meno duro e più redditizio del mondo illegale.
Al momento non c’è una ricetta, un’idea, un progetto.

Niente di niente: solo il deserto delle idee e delle capacità di governo.  
domenico cacopardo

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