Si..è
vero! La rivoluzione tecnologica avanza, i mezzi di comunicazione
aumentano ed aiutano l'interazione tra i popoli. Il cambiamento
epocale è di tutta evidenza, ma vi sono anche risvolti pericolosi
dietro l'angolo se non si mettono in campo equilibrio ed idee. E'
la combinazione di questi due principi che supporterà questo
cambiamento....mancando la quale.. il solo realismo esasperato non potrà nulla..Idee capaci di
trasportarlo verso un futuro migliore..equilibrio per supportarne il
funzionamento.
Nel
momento storico attuale, forse anche a causa di una forte recessione
mondiale, si sopravvive attraverso l’unica risorsa mentale della
tangibilità e della concretezza, non reagendo con la forza delle
iniziative e delle idee e questo potrebbe penalizzare il giusto
percorso della crescita di una società. Dare
spazio alle idee di ognuno non significa soltanto far crescere le
persone, ma far crescere un intero sistema.
Oggi..c'è
chi lotta con la particolare tangibilità di una esistenza che spesso
impone scelte obbligate ma, resta
il fatto che, oggi, lo spazio alle idee, appare sempre più chiuso
dall’inconscia paura di non determinare alcun riscontro positivo
rispetto ad un mondo che tende a muoversi prevalentemente in
direzione di severi principi razionali eliminando, in via preventiva,
qualunque incognita ideativa o presupposto teorico.
Non v'è dubbio che le idee rimangono il disegno della mente e
costituiscono un sapere interiore: Rappresentano sicuramente un modello di riferimento per il
percorso della vita, ma in un mondo come quello odierno, pare
difficile potersi muovere attraverso queste rilevanti risorse del
pensiero che sembrano le uniche capaci di spingere una positiva
crescita ed, attraverso le quali, l’uomo potrà riuscire a
sottrarsi alla propria sconfitta.
Riguardo all'articolo di Domenico, al di là del riferimento (per
me fuori contesto a Papa Francesco) mi piace sottolineare
che oggi è proprio
la vecchia contrapposizione destra-sinistra che non cammina più sui
tempi.
Una concezione obsoleta ed antiquata che impone alla politica un
freno sull'andamento guida di una società più moderna. Insomma..non
possiamo mandare avanti una certa tecnologia avanzata per poi bloccarci
in una concezione politica antiquata che spacca in due un concetto attraverso
una vecchia ideologia.. rallentando un percorso più libero ed aperto. Così
come resta incomprensibile vedere oggi un governo che si muove per
vie di
una esclusiva regolamentazione
non offrendo mai uno sviluppo costruito su idee innovative. Un
governo che continua muoversi per le riforme sui vecchi binari di una strada ferrata
sgangherata ed insicura. Una
politica dei Partiti che non studia nuove strade e non ricerca attraverso le
giuste teorie possibili nuovi percorsi.
E'
poi del tutto superfluo continuare a pormi in netta opposizione col
cugino Cacopardo per ciò che riguarda l'ultimo argomento del suo
articolo in riferimento alle leggi costituzionali. Rimane
sorprendente vedere che... chi ha avuto una esperienza come
consiglire di Stato..non si accorga della pericolosa semplificazione
impiegata (oltre all'arrogante metodo usato) da questo governo..e che
tutto ciò potrà portare forse qualche piccolo opportunistico
vantaggio nell' immediato, mettendo in evidenza.. nel futuro.. tutti i
risvolti negativi di un percorso governativo che non può mai avere
un riscontro col ogni base popolare..con conseguenze persino
pericolose .Altro
che stabilità!!
Molti
pensano che non vi potevano essere altre strade per rinnovare la
Costituzione e rendere più sicuri i governi. La
fretta ha prevalso su ogni valore più importante.
Ma chi può avere la certezza che non si sarebbero potute trovare
strade alternative più equilibrate e ponderate per ottenere una governabilità più democratica meglio sostenuta dal basso?
vincenzo cacopardo
L’abbiamo
ripetutamente sottolineato: quella che viviamo è stagione di
cambiamento. E non perché, emergendo dal municipio fiorentino,
l’abbia annunciato Matteo Renzi, ma perché il mondo s’è tanto
rinnovato da rendere impossibile la stasi italiana, il coltivare
stilemi e ubbie passatiste improponibili ai nostri giorni.
Prima di
tutto la rivoluzione tecnologica. Oggi, tutti sono effettivamente più
liberi, più informati, più capaci di giudicare. La rete ha aperto
possibilità impensabili ancora dieci anni fa: con essa il sistema di
comunicazioni telefoniche che ha reso i cellulari punti di diffusione
delle notizie e dei commenti di milioni di uomini. I giovani di
vent’anni non conoscono l’edicola dei giornali: non l’hanno mai
frequentata e l’hanno vista da lontano come una rivendita inutile
di cose cartacee altrettanto inutili.
Certo, a
noi dell’altro secolo dispiace vedere sfiorire il genere di
informazione al quale siamo stati abituati. Non possiamo, però,
farci niente, salvo insistere nell’esprimere idee e considerazioni
utili per permettere ai lettori di formarsi un giudizio proprio,
libero e indipendente. Soprattutto non condizionato da ideologie e
interessi di un recente passato.
E poi la
globalizzazione, l’essere tutti insieme in un’unica fornace
mondiale, nella quale la produttività dell’operaio di Pechino
condiziona il contratto di lavoro dell’operaio di Ostiglia.
Il male
assoluto secondo papa Francesco.
Il male
assoluto per i figli di una sinistra passatista, per coloro che hanno
scelto di non partecipare alla competizione, alla corsa per lo
sviluppo e la competitività cui partecipano tutte le nazioni, a
parte qualche caso di disadattamento istituzionale e politico, come
quelli del Venezuela, di Cuba, dell’Argentina, della Bolivia e
della Corea del Nord.
Incapaci di
adeguarsi al mondo contemporaneo, immaginano di poter vivere e
sopravvivere nella crescita zero o, peggio, nella «decrescita
felice» (quella di cui straparla Beppe Grillo), nell’assenza di
vaccinazioni, di termovalorizzatori, di centrali nucleari, di treni
veloci e di tutto ciò che la tecnica moderna regala agli uomini e
alle donne del pianeta. Basti pensare a Messina, una excittà, in cui
un imbecille politico come Renato Accorinti vince le elezioni e
diventa sindaco sventolando la bandiere Noponte.
Ma come,
c’è la possibilità di costruire un ponte stradale e ferroviario
che colleghi la Sicilia al continente e voi dite di no? Dite di no
alle migliaia di ore-lavoro che un’opera del genere comporta? Dite
di no al circuito di ricchezza che si può generare in forma
provvisoria per la durata dei lavori e in forma definitiva il giorno
in cui l’opera va in esercizio? Imbecille politico e
autolesionista, quindi. Certo, c’è tanta parte dell’Italia che
si nutre di un verbo che invoglia a non fare a non lavorare a non
studiare a non impegnarsi personalmente e collettivamente in nessun
progetto di cambiamento reale del Paese.
Sono
perdenti. Magari perdenti con la sigaretta o lo spinello in bocca (i
giovani in Italia sono in controtendenza rispetto al mondo: fumano di
più). Magari occupanti edifici pubblici e privati trasformati in
collettivi dell’eroina e di altre droghe, pronti a sfogare le
proprie frustrazioni in esplosioni di violenza a scapito di coloro
che hanno scelto di starci, nel gioco, e di studiare, prepararsi e
poi lavorare sodo.
Dal 1960 a
oggi, il numero degli italiani che sono andati a studiare all’estero
e a lavorarci è aumentato in modo esponenziale. Sono loro la punta
di diamante del cambiamento di stile e di sostanza di cui cominciamo
a percepire i segni. Nessuno di loro, né di coloro che sono usciti
da università italiane serie e che hanno un titolo di studio vero,
valido nel mercato globale, pensa di entrare in politica o di andare
a lavorare in un comune, in una regione, in un ufficio pubblico.
Pensano, invece, di tutelare se stessi e le proprie capacità
competendo nel mercato, mai legandosi all’idea primitiva del posto
fisso, ma rivendicando il proprio diritto di scelta.
Certo, si
tratta di un ceto privilegiato e ristretto.
Ma da
questa gente dobbiamo prendere esempio. Da questa gente dobbiamo
imparare una redifinizione dei doveri pubblici e privati e le
necessità di una società contemporanea, aperta alle novità
tecnologiche e culturali. A questo genere di gente dobbiamo se la
scelta, minimalista, antitecnologica e antimoderna, di dedicare un
Expo all’alimentazione (un’operazione da vecchia sinistra
democristiana: non a caso sostenuta da Romano Prodi), s’è
trasformata in un successo.
E non
dimentichiamo che, nel giorno dell’inaugurazione dell’Expo,
Milano è stata messa a ferro e a fuoco proprio da bande di perdenti
sconsiderati, nemici anche di una novità del genere. Del resto, quel
campione dell’intellighenzia politica nazionale che è il comico
Beppe Grillo aveva predetto che si sarebbe trattato di un fiasco
(come tutte le novità, poche, che appaiono in Italia).
Insomma,
l’ideologia dello sconfittismo, cui ci eravamo adagiati anche per
la debolezza ideologica e mentale della politica italiana, è stata
sconfitta dalla forza delle cose.
Una forza,
di cui Matteo Renzi è moderato interprete, sia per insufficienza di
personale politico (spesso d’accatto) sia per insufficienze proprie
del sistema che non riesce a cogliere le correnti reali del fiume
dell’ammodernamento.
Pensiamo
alla riforma della pubblica Amministrazione, scritta e pensata da chi
non ha saputo definire un progetto, un modello, uno «scope of the
work»: un’occasione perduta, certo.
Rimangono
sul terreno, come piccole pietre miliari, alcune riforme che saranno
produttive di effetti positivi. Soprattutto quelle di sistema
(abolizione sostanziale del Senato) che consentiranno a chi governerà
in futuro di decidere e di scegliere senza i condizionamenti
ricattatori del passato e del presente.
L’importante
è non chiudersi in se stessi, nel piccolo orto di una società
fondata sul soccorso statale e sulla tutela degli ignavi.
Essere nel
nostro tempo, protagonisti, non succubi.
Domenico
Cacopardo
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