27 ott 2015

una nota aggiuntiva sull'analisi di Domenico Cacopardo sul potere giudiziario

L'argomento sulla magistratura suggerito dal consigliere Cacopardo...pone diverse analisi e valutazioni già espresse in parte dallo stesso nella sua disamina: Il sistema giudiziario necessita sicuramente di una riforma che ponga maggior affidamento e renda un miglior servizio alla società.

Se per quanto riguarda l'argomento delle intercettazioni si deve riuscire a trovare un punto di equilibrio che possa rendere garanzia ai cittadini differenziandone l'esigenza in modo opportuno da quello condotto per la ricerca delle pericolose associazioni delinquenziali,.. per ciò che attiene il CSM non si può escludere una  critica sul metodo di una organizzazione istituzionale indipendente dagli altri poteri dello Stato.
Quando Domenico Cacopardo scrive di “un combinato disposto, interpretato in senso esclusivamente endogeno e, quindi, in modo inidoneo a renderlo coerente e strettamente collegato alle esigenze di una società sviluppata come quella italiana”..asserisce qualcosa che sento di condividere e per la quale occorre far luce sui principi:

Nel passato..per difendere la libertà occorreva la mediazione di un organo indipendente e questo non poteva che essere una parte essenziale per la funzione del giudice in un regime democratico. L' organizzazione fu messa su dai nostri padri costituenti per far sì che la libertà civile potesse ottenere concreta realizzazione. Una libertà che non è mai stata di matrice politica, poichè non potrebbe mai essere un giudice ad impedire che si possano travolgere con la forza le istituzioni di uno Stato democratico....Se così non fosse, non si potrebbe spiegare la esistenza degli atti di clemenza da parte del Governo (grazia – amnistia – indulto).

Nella Costituzione, con la introduzione del Consiglio Superiore della Magistratura, si attua l’indipendenza totale dal potere esecutivo... Ma questa forma di indipendenza è sempre apparsa tanto radicale.. quanto errata, frutto di un primitivo concetto della divisione dei poteri. Un concetto estremo che come tutti gli estremismi, oggi, non può che produrre effetti contrari. Non si è attentamente considerato che, il potere giudiziario è, nella sua struttura, radicalmente diverso dagli altri poteri.

Un potere che non viene esercitato dal complesso dei giudici, ma da ciascuno di essi. I padri costituenti italiani, abituati a vedere i giudici sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera, progressione, incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che il miglior modo per assicurare la indipendenza della magistratura, fosse quello di togliere questo governo al Potere esecutivo per affidarlo agli stessi giudici. A tal fine crearono l'organo:il Consiglio Superiore della Magistratura, composto in maggioranza da membri giudici eletti dagli stessi, con una minoranza di membri politici. Non considerarono, però, la particolare struttura del Potere giudiziario, né.. ebbero presente che questa struttura sarebbe stata essenziale per il vero bene che si voleva difendere, che è e sarà sempre l’indipendenza di ogni giudizio.

L’equivoco sta proprio nel fatto che, il giudice, a causa della delicatezza del suo compito e per poterlo svolgere in modo realmente indipendente, ciò che rifiuta è proprio un governo, tanto che sia in mano all’Esecutivo o in mano a qualsiasi altro organo. Pertanto... forse.. la strada da seguire sarebbe dovuta essere quella di ridurre al minimo la necessità di governo dei giudici e facendo il possibile per regolarizzare, a mezzo della legge, la loro carriera. Possiamo comunque asserire che in questa strada,.. non si è mai tenuto in considerazione l’assioma politico che, creare un potere comporta, inevitabilmente, il sorgere di molti desideri per la sua conquista: Se questo potere si pone nelle mani degli stessi giudici, la conseguenza inevitabile sarà sempre quella dello scatenarsi di una guerra interiore tra loro per la conquista di detto potere.

La lotta di queste “correnti” interne al CSM, ha continuamente rotto quello che sarebbe dovuto essere un “vantaggio” che si voleva costituito da giudici in maggioranza. L’aspetto più grave resta il fatto che si è creato un organismo che non riesce a trovare una collocazione legittima in un regime politico fondato sulla divisione dei Poteri.

Da tutto ciò, sono nate e continuano, le interminabili discussioni per stabilire fino a che punto il CSM possa definirsi un organo costituzionale sulla forma dei suoi atti amministrativi e sulla possibilità di ricorso contro gli stessi. Si è tuttavia ritenuto di superare questa difficoltà dicendo che il CSM è solo un organo sostanzialmente amministrativo collocato in seno all’ordine giudiziario con l’unica funzione di poter provvedere agli aspetti amministrativi del suddetto Ordine...Ma negli anni questo è risultato un argomento verbale privo di realtà in quanto, come è ampiamente dimostrato, ogni potere di un’alta amministrazione.. assume conseguentemente un carattere politico. Quindi, anche in questo caso, l’amministrazione della giustizia assume un carattere politico..La domanda è quindi:E’ possibile dirigere tutta la parte amministrativa dell’esercizio del Potere giudiziario.. senza fare politica della giurisdizione?

Il difetto sta nell’aver creato questo organismo, nel quale le dichiarazioni rese da un Ministro responsabile di una politica, possano essere messe in discussione da questo stesso organismo “politicamente irresponsabile”. Bisogna perciò comprendere che il potere dei giudici è solo un potere di controllo: Si tratta essenzialmente di un potere di “veto” rispetto ad ogni agire ed operare che fuoriesce dai limiti della legge. Un giudice può impedire ogni azione che non rispetti i limiti della legge, ma non potrà mai porre questi limiti (compiti del Potere legislativo) né può mai suggerire i progetti che, entro questi limiti, il Governo appresta.

In una vera democrazia la forza effettiva sta nel convincimento di un popolo di darsi una forma di governo: la forza che poi distribuisce i poteri a mezzo dei quali lo Stato si organizza. Nelle mani del Potere esecutivo si mette la forza materiale..mentre al giudice si da soltanto forza ed autorità morale.

Bisognerebbe partire da questi principi fondamentali per riuscire a mettere mano con logica ad un argomento talmente scottante che compete la sicurezza dei nostri cittadini e senza il quale diventa sempre più difficile poter avere un riscontro utile a favore della democrazia. Grazie.. perciò ..a Domenico che mi ha dato la possibilità di esprimermi nel merito
vincenzo cacopardo


Sembra un errore inevitabile, quello dell’Associazione nazionale magistrati che ha celebrato a Bari il proprio congresso nazionale.
Probabilmente deriva dall’essere il sistema giudiziario autoreferenziale e privo di ogni meccanismo indipendente di misurazione dell’attività degli uffici e dei singoli, dalle cui valutazioni discendano immediati effetti pratici (di funzione e di carriera). Un po’ come la scuola italiana costruita per i docenti, non per i discenti, e incapace di accettare qualsiasi criterio di valutazione dell’insegnamento, talché siamo sempre in coda alle classifiche internazionali sulla qualità didattica nazionale.
Certo, l’art. 104 della Costituzione scrive che «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.» E l’art. 107 continua: «Art. 107. I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso … I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.»
Un combinato disposto, interpretato in senso esclusivamente endogeno e, quindi, in modo inidoneo a renderlo coerente e strettamente collegato alle esigenze di una società sviluppata come quella italiana.
Le distonie quotidiane che colgono gli utenti del «Servizio giustizia» mostrano a tutti, meno che ai responsabili associativi, quali distanze si siano accumulate tra il datore di lavoro dei magistrati, il cittadino contribuente, e i problemi quotidiani del cittadino medesimo.
Dice Rodolfo Sabelli, presidente dell’Anm: «L’indipendenza si alimenta … di una cultura fondata sul rispetto …»
Ma lascia nel cassetto il caso Palermo, quello di Silvana Saguto e della gestione dei beni sequestrati alla mafia: non una questione personale, ma un problema strutturale e organizzativo, che pone, per l’ennesima volta, un interrogativo rimasto senza risposta (quello della vigilanza in tempo reale dell’attività dei magistrati).
Non riflette, Sabella, sul fatto che il rispetto è un valore sociale che non può essere preteso per legge o per imposizione di qualche autorità. È un valore simile all’autorevolezza, che nasce e si alimenta intorno a chi lo merita e lo coglie nella comune percezione popolare. Delegittimazione e sfiducia non sono vietabili da un decreto ministeriale e, quando ci sono, derivano da comportamenti giudiziari che si auto-delegittimano e provocano sfiducia.
Per condivisa carità di patria non facciamo esempi né nomi, giacché tutti, anche il dottor Sabelli conosce i casi più eclatanti e quelli meno eclatanti che rimangono chiusi nel chiuso delle stanza del Palazzo dei Marescialli (sede del Csm).
L’altra accusa diretta al governo riguarda una specie di maggiore attenzione al tema delle intercettazioni rispetto alla lotta alla mafia. Un’accusa gravissima che andrebbe circostanziata puntualmente, altrimenti diventa solo strumento di polemica politica, di attacco politico, di informazione politica distorta dalla visione (particolare) di un organismo che è il sindacato delle toghe.
Quanto alla corruzione (le norme di contrasto sarebbero «timide»), l’affermazione di Sabella deriva da un vizio di impostazione: non è la legge penale che scoraggia la corruzione. Non lo è e non lo sarebbe nemmeno se fosse stabilita la pena dell’ergastolo. È talmente modesta la «performance» processuale da non essere capace di disincentivare seriamente l’attività corruttiva.
Manca –e non poteva essere diversamente- qualsiasi consapevolezza (anche nel commissario anticorruzione Cantone) che la prevenzione è la sola strada, la più efficace: l’aggiornamento del diritto amministrativo con l’introduzione di procedure inderogabili, pubbliche accompagnate da fidejussioni integrali, a garanzia del risultato, cioè del raggiungimento dell’oggetto dell’appalto. Da questo punto di vista né il codice degli appalti di Altero Matteoli né questo in corso di approvazione di Delrio riescono a imporre comportamenti virtuosi.
Insomma, l’intervento politico di Sabella è sbagliato proprio in punto politico e si caratterizza più per la formulazione di accuse sparate nel mucchio che per l’individuazione dei fatti specifici e concreti che quelle accuse giustificherebbero.
Nel successivo dibattito non sono mancate voci ragionevoli ed equilibrate.
Ma rimane di fondo, l’inconsapevolezza che la giustizia è un servizio al cittadino: garantito, veloce, efficace.
Almeno così dovrebbe essere: per noi il Paese del mai, forse.
Domenico Cacopardo


Nessun commento:

Posta un commento