9 dic 2015

Il vento francese..di Domenico Cacopardo


Perde l’Europa e la sua classe dirigente, quella che è emersa dopo il 2000, dimostrando una povertà di idee e di visione, quale mai s’era vista dal 1945 a oggi. Perde l’Europa e perde Angela Merkel, con il suo rigore senza speranze, con la Comunità ai suoi piedi; perde l’Europa e perdono i popolari e i socialisti, accomunati nella triste sorte di coloro che non sono riusciti a esprimere né una proposta attraente per il futuro, né un’interpretazione coerente delle esigenze dei popoli. Perde l’Europa dell’ordine sparso, incapace di operare come un unico soggetto in uno dei tanti settori chiave della politica, dell’economia, della difesa. Perde l’Europa dei bombardieri francesi sulla Siria, degli attacchi francesi alla Libia, del disastro mediorientale, innescato da Obama e implementato da Sarkozy e Hollande.


E perde la Francia che conosciamo, quella che ha dato opere e artisti di cui andiamo orgogliosi, ma che non ha saputo disinnescare la mina delle banlieue, esplose nel 2005 e mai placate, nelle quali il disagio sociale, privo di ideologia di tipo classico, ha abbracciato quella del terrore islamico. Non un programma efficace per allievare disoccupazione e per combattere i traffici di droga e l’illegalità è stato messo in opera. Solo pannicelli caldi, quelli che, alla lunga, aggravano il male.
La vittoria del Front National di Marine Le Pen non è più un segnale, è una svolta. Occorre prepararsi a fare i conti con il suo populismo e l’ondata che susciterà in tutto il continente.
Presto cambieranno molte cose, anche perché le probabilità che la Le Pen conquisti l’Eliseo sono forti: le elezioni avranno luogo nel 2017, cioè domani. Anche se, a gennaio di quell’anno si sarà insediata a Washington una nuova amministrazione, sarà difficile che si mettano subito in atto nuove strategie internazionali per affrontare il conflitto in corso. Tali da disinnescare il crescente populismo.
E l’imperizia dei vari leader europei non è un buon viatico per la conduzione della guerra in questo anno e mezzo circa che ci rimane davanti.
Ci vorrebbe uno scatto in avanti, sulla strada dell’integrazione in materia di difesa esterna e interna, della politica fiscale e di quella sociale. Non se ne farà nulla.
La crisi dell’Europa è irreversibile: languirà per almeno un decennio tra possibile disfacimento e mera sopravvivenza senza autorevolezza né prestigio.
Questo è accaduto dopo che gli ultimi tre leader europei, Mitterand, Kohl e Craxi hanno lasciato la scena. Anche la scomparsa di Wojtyla ha contribuito alla fine dei punti di riferimenti di fine millennio.

Per l’Italia, che affronterà –salvo imprevisti- le elezioni generali nel 2018, lo scenario si scurisce. Il partner italiano del lepenismo non è Salvini, ma Grillo, se sarà capace di cogliere il senso di ciò che è accaduto oltralpe. Potrebbe innescare un processo che, oltre a investire le prossime elezioni comunali, cambierà le prospettive di quelle politiche, alla luce del disagio permanente del Paese.
E Dio non voglia che, in questo periodo, i terroristi islamici si facciano sentire: tra lo sciocchezzaio di un mondo buonista, votato al suicidio proprio e della Nazione, e parole pesanti che promettessero ordine e sicurezza, non è difficile immaginare quale sarebbe la scelta dell’elettorato.
Anche il Pd renziano finirebbe tra i ferri vecchi delle cose rottamate.
C’è tuttavia una possibilità ancora ed è quella che ha offerto proprio Matteo Renzi, se, superando la stanca di questi tempi, riprendesse il processo riformista, attaccando i centri del parassitismo politico. Ha una carta buona nelle mani, il nostro premier: il non essersi accodato alla furia guerresca che ha invasato i governi europei, dalla Francia alla Germania al Regno Unito.
Una reazione agli attentati di Parigi che, nella sostanza ricorda, la tattica delle forze armate di re Franceschiello. Di fronte a un nemico organizzato e sfuggente, l’ordine del comandante in capo fu: «Facite ammuina!»
Giacché dell’efficacia dell’offensiva aerea è lecito dubitare mentre delle capacità militari dell’Isis no. E la sua presenza in Libia cresce e diventa sempre più minacciosa.

Quali tentacoli dell’idra terrorista saranno tagliati e quanti ne ricresceranno? Siria, Iraq, Yemen, Mali, Libia, Africa subsahariana, Nigeria, in quale di queste guerre l’Occidente deciderà di vincere?
Ecco, la prudenza di Renzi è la carta da spendere in questo difficile momento: che l’Italia non sia scesa in campo ci verrà utile a medio termine. Perché non avremo gettato le nostre risorse militari economiche nella fornace siriana e perché saremo in condizioni di difenderci se fosse necessario. Senza illusioni, giacché se i terroristi vorranno colpirci lo faranno. Ma con fiducia in noi stessi e nella forza armata di cui disponiamo.
Abbiamo quindi davanti due anni e mezzo difficili, nei quali le questioni della sicurezza e della difesa prevarranno sulle altre. E l’onda Le Pen aggredirà il nostro mare trasformando le onde in marosi. Il giovane nocchiero non basterà: per salvare l’Italia ci vorrà senso di responsabilità e della misura. Né ottimismo né pessimismo, solo l’imprescindibile uso della ragione.
Domenico Cacopardo


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