I
fiumi d’inchiostro sul referendum costituzionale confermativo
del 4 dicembre prossimo sono già oltre la piena di qualche giorno
fa: ci si è in massa spesi, con tutti i mezzi oggi a
disposizione, in ogni possibile interpretazione e dissertazione,
ciascuna delle quali retta da questa o quella ragione. Si tratta
della terza consultazione popolare di questo genere nell’Italia
repubblicana, cioè dal 1946 ad oggi, e questo rende senz’altro
più mediatico l’evento, decisamente raro e proprio per questo
da molti definito una “occasione”. Una occasione per cambiare,
ovvero per conservare, ovvero per esercitare un diritto tutelato
dalla stessa Costituzione oggetto delle modifiche già apportate
dal Parlamento ed ora sottoposte al voto popolare; un’occasione
per modificare i ruoli, le competenze di ciascun organo elettivo
ma anche e soprattutto le modalità di esercizio del potere
legislativo; per non parlare di quello esecutivo che, a detta di
molti, trarrebbe una particolare “forza” in caso di vittoria
del “sì” tale da turbare gli equilibri di garanzia
democratica che hanno ispirato i cosiddetti “padri”
nell’immediato dopoguerra.
Ma procediamo con ordine: gli
appuntamenti ai quali il Governo e soprattutto le forze di
opposizione non si sono ancora presentati – e sono già in
grande ritardo – sono due: la controriforma del sistema
pensionistico dopo i devastanti effetti della legge Monti –
Fornero e la definizione di una nuova legge elettorale che potesse
conciliare il diritto della maggioranza di governare con quello
della minoranza di opporsi costruttivamente, non escludendo
aprioristicamente una rivisitazione - invece opportuna - del
principio di proporzionalità; e questo senza invocare
impropriamente il rischio di connessione tra essa ed il ritorno
alla sempre temuta “instabilità”, o almeno di quello che oggi
ne è rimasto. Cioè del timore di tutti i governi sin qui
succedutisi negli ultimi venti anni, effetto di quel mancato
appuntamento di riforma del sistema elettorale, una insidiosa
omissione che ha di fatto reso paradossalmente il Senato la vera
ed unica opposizione al Governo nell’esercizio della sua
funzione di indirizzo politico, a causa dei numeri sempre
risicati. E’ da qui che sono nati i “necessari” trasformismi
verdiniani ed altri mostri politici di dubbia natura. E’ da qui
che si reso “necessario” per chi governa aggirare l’ostacolo
con il depotenziamento funzionale di Palazzo Madama tramite la
adozione di una legge costituzionale che oggi siamo chiamati a
giudicare nel merito; un depotenziamento troppo facilmente
equivocabile con il millantato “superamento” del bicameralismo
paritario, complice una informazione di scarso livello
intellettuale ma purtroppo di facilissimo ed agevole impatto
consensuale a livello popolare.
E’ da qui che si è generata una
pericolosa confusione tra la politica “costituzionale”, dove
le larghe intese sono indispensabili, e la politica “contingente”
del governo Renzi: entrambe sono impropriamente confluite in un
processo identitario che si è avviato presso la pubblica
opinione, che in percentuale più che sensibile non sarà pertanto
ispirata, nel segreto dell’urna, da una imprescindibile onestà
intellettuale, quanto piuttosto da beghe partitiche e populistiche
che renderanno ancora di più i “padri” del 1946 unici ed
inimitabili. L’esecutivo si assuma dunque la responsabilità di
aver scelto la porta più larga ed agevole – eppure ingloriosa
per il Senato – per rendere più agevoli i passaggi parlamentari
delle leggi di sua iniziativa ed i cittadini si impongano
responsabilmente di non prescindere da queste preliminari
valutazioni prima di usare la matita sulla scheda elettorale.
Paolo
Speciale
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