di vincenzo cacopardo
Dopo
le recenti elezioni britanniche che hanno visto una insopportabile
umiliazione per Theresa May
che
aveva indotto il suo popolo verso il voto anticipato con la speranza
di consolidare la forza conservatrice della maggioranza, le
conseguenze portano un pesante risultato di 314 seggi contro i 266
del
laburista Corbyn. Seggi che non permettono una facile governabilità
al Paese.
Un
risultato dettato da una affluenza di oltre 46 milioni di votanti che
ha notevolmente limitato il potere governativo del vecchio sistema
inglese ...dimostrando che non vi sono oggi regole precise capaci di
fornire rappresentanza democratica e solidità di governo senza
intervenirvi attraverso nuove formule innovative da studiare.
Diamo
prima uno sguardo allo storico sistema istituzionale inglese:
Il
sistema inglese ci dice che La Regina riconosce
nel capo del partito o della coalizione vincente il Primo Ministro e
gli affida l’incarico di formare il Governo.
Il
Primo Ministro ha facoltà di nominare
e rimuovere i ministri. Successivamente il governo formato non ha
bisogno di un voto di fiducia, ma può essere sfiduciato dalla sola
Camera dei Comuni. Il Primo Ministro sfiduciato scioglie le Camere e
convoca le elezioni anticipate.
La
Camera dei Comuni vota
ed approva le leggi proposte dal Governo. È composta da 659
parlamentari eletti a maggioranza semplice in collegi uninominali
Un
sistema che viene considerato per eccellenza un modello parlamentare
stabile..poichè assicura sempre cospicue maggioranze e rende quindi
sufficiente la governabilità. Un impianto quasi esclusivamente
bipolare che contrappone da decenni le due fazioni maggiori:
Laburisti e Conservatori. Vi è in questo sistema una assenza di un
qualsiasi voto di fiducia necessario per poter governare. il Primo
Ministro incaricato, infatti, è sempre ed esclusivamente il capo del
partito o della coalizione che ha vinto le elezioni. Ciò significa
che gli elettori accordano, seppur implicitamente, la loro fiducia
alla persona che guida il partito e non è quindi più necessario un
voto di fiducia da parte della Camera dei Comuni.
I
membri entrati in Parlamento sotto un partito, essendosi fatti
conoscere nelle loro circoscrizioni, votando a maggioranza,
stabiliscono sin dall'inizio un forte rapporto di lealtà col loro
partito. Secondo
diversi
analisti
nel sistema
si valorizzano esperienza, lealtà ed
un
prestigio del deputato e dello stesso partito.
Inoltre,
con il sistema maggioritario con collegi uninominali si crea quel
forte legame per cui gli elettori si sentono legittimamente
rappresentati.
Ma
questo sistema non è infallibile e presenta delle evidenti
imperfezioni. Infatti per tutti gli anni della legislatura
il dominio della maggioranza
viene dettato a tal punto che potrebbe persino fare a meno di una
organizzazione parlamentare togliendo ad essa ogni utile dinamica:
Svolgimento dibattimentale che rappresenta l'anima politica nel
fondamentale buonsenso nell'ambito di un possibile costante
cambiamento. Vi
sono state maggioranze parlamentari che
hanno resistito moltissimo, come quella dei Conservatori con Margaret
Thatcher dal 1979 al 1990 e quella dei Laburisti con Tony Blair dal
1997 al 2007...che hanno definito un certo assolutismo.. impedendo
ogni dialogo costruttivo.
Ma
vi è nella logica di tale impianto anche il tema del “leaderismo”
sul quale poggia un certo metodo di affrontare la politica: Un primo
ministro che è anche capo del partito di maggioranza, pur offrendo
maggiore solidità al governo, limita ogni possibile azione di
dialogo all'interno del proprio Partito portandolo a possibili
scissioni che finiscono con lo sgretolamento...Ricordiamoci come Tony
Blair, ideatore del famoso New Labour che riuscì a vincere tre
elezioni dal 1997 al 2007, vide negli ultimi anni sgretolarsi
il suo consenso all’interno del partito.
Tutto
ciò rende il metodo britannico qualcosa di fisso quasi
tetragono..resistente..ma non attivo, inossidabile, ma poco utile
verso il dialogo e l'innovazione.
Praticamente
l'esempio di quello che è avvenuto con la prepotente azione del
nostro premier Renzi che, a capo del Partito e contemporaneamente a
capo del Governo, ha spaccato e scisso il proprio Partito.. non
rendendo alcuna funzione utile all'attività governativa ed alle
riforme di cui abbisognava.
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