Già da
parecchi anni analizzo il cammino di una politica che stenta a dare forza ad un processo funzionale ed istituzionale del nostro Paese. Da quando scrissi il mio piccolo
libro “La politica ed il cambiamento” nel quale avevo già messo in evidenza tutte le difficolta' di un sistema bipolare troppo anticipato nei tempi,
rispetto ad una Repubblica edificata sul centrismo democristiano, sono passati
ben quattordici anni. Nel trascorrere di questi, ho approfondito con
l’esclusivo senso della passione che mi avvince, la possibilità di altri
percorsi più inerenti al processo di una veloce modernizzazione. Sono idee
teoriche poste come ricerca per il riscontro di un alternativo sistema che, da
troppo lungo tempo, si basa sulle ormai poco costruttive posizioni antitetiche sinistra
–destra.
Questa è la
ragione per la quale mi son sentito fortemente attratto dalle parole del Senatore
Monti che, con sorpresa ha toccato un campo sul quale ho svolto con attenzione
le mie analisi.
Nel mio
studio,…ho ricercato una strada verso un progetto di innovazione della politica
rivolto verso una specializzazione dei ruoli (induttivi-deduttivi) dove
la parola chiave dovrebbe essere “funzionalità”, come sinonimo di efficienza ed
innovazione ma anche intesa come teoria secondo la quale, la funzione di
ognuno, ha una importanza predominante sulla evoluzione stessa. Uno studio che
dovrebbe basarsi su un principio di specializzazione e di suddivisione del
lavoro.
La evidente
dicotomia che scaturisce in un sistema come il nostro, che per Costituzione
rimane di principio Parlamentare, fa si che possano automaticamente sorgere
contrasti i quali, non favoriscono lo sviluppo naturale di una vera politica
costruttiva. Quella simbiosi politica evidenziata nel Diritto Costituzionale,
affinché ambedue i poteri potessero camminare in sinergia, per far sì che si
costruissero assieme leggi, programmi e relative mansioni amministrative, si è
persa poiché vittima della mancanza di valori fondamentali ormai spariti.
Alcuni programmi esposti in sede di elezioni vengono esclusi o non inseriti nei
tempi dovuti, altri, scaturiscono in un gioco di condizionamento in corso
d’opera che ne cambia il senso e la volontà espressa in un primo momento. Il
risultato di tutto ciò è sempre un brutto ed inaccettabile compromesso. Da qui
l’esigenza di dover distinguere i ruoli persino in termini di carriere.
Credo che la
politica non possa avere solo un sintetico senso del governare, in quanto essa
racchiude in se i contenuti di teoria e pratica, di arte e scienza, di idea e
funzionamento. La politica rimane arte nel principio consistente la ricerca
delle idee, nel confronto con i cittadini, nella mediazione, diventa scienza
nell’esercizio della sua funzione amministrativa legata allo sviluppo
costruttivo della società. Ecco perchè, la necessità di determinare e
distinguere i differenti ruoli.
In base a
questo concetto, si pone anche quello che potrebbe oggi apparire come un
paradosso e cioè: Chiunque, motivato da una capacità creativa, geniale ed
intuitiva, potrebbe essere in grado di saper creare iniziative politiche idonee
e funzionali alle esigenze, anche se solo in termini teorici. ( Le capacità
di chi esercita questo ruolo appaiono essere prevalentemente di inventiva
il che comporta sicuramente quell’intuito e quella sensibilità per certi versi
vicina alla capacità creativa di un artista in senso lato. Sebbene costoro,
devono sempre avere una buona conoscenza dell’aspetto sociale ed istituzionale
del paese in cui si vive).
Ben diversa
rimane l’attività di chi deve predisporsi per una amministrazione in termini di
conoscenza e quindi anche di esperienza per la soluzione di un processo
costruttivo e di un buon funzionamento: Chi amministra deve avere un ruolo
determinato e diretto verso la conoscenza scientifica di ciò che si deve con
efficienza realizzare.
In base a
ciò.. sembra, quindi, più che necessario dover guidare un processo di
modernizzazione della politica che parta dai principi di una giusta funzione
della dottrina. Un percorso più efficiente che possa esser costruito col
dialogo ed insieme ai cittadini, ma che possa anche definire un ruolo
amministrativo più concreto e sicuro.
Un
rivoluzionario cambiamento che potrà vedere anche territorialmente competenze
diverse lasciando alle regioni una politica di indirizzo seguita dai ruoli
parlamentari ed ai comuni (che necessitano prevalentemente di strutture e
servizi).. un’unica politica seguita dai ruoli amministrativi.
Percorsi
innovativi per il cambiamento
L’idea di
poter dividere in modo più deciso le funzioni del potere legislativo da quello
esecutivo, affidando ruoli separati per tutto l’arco della legislatura, non è
sicuramente gradito alle forze politiche odierne: Il fatto di non poter dare
contestualmente voce ed esecuzione alle loro azioni, li vedrebbe sottoposti in
uno strano compito che non riuscirebbero a percepire positivamente. La
maggioranza di loro si opporrebbe di certo ad una idea simile, ritenendo
impossibile creare un ambito in cui chi governa e decide un programma, non
viene contestualmente inserito in quella opera di costruzione delle leggi,
essenziale per la determinazione progettuale di ciò che si vuole realizzare.
Rimane comunque, il fatto che proprio ”un programma”, in via preventiva, non
può non essere vagliato, discusso, partecipato ed infine votato dagli
stessi cittadini.
La visione
odierna è certamente legata ad una condizione che lega in modo assiomatico il
compito del politico nel suo genere: Una concezione che parte dal principio che
chi governa, oltre a decidere, deve essere in grado di definire le normative. Un
concetto legato ad una politica determinata nel passato, in cui si aveva una
visione alta dei suoi valori, suggerendo costituzionalmente un armonico
raccordo tra i due poteri, al fine di una costruzione più utile e corretta.
Ed è proprio
questa la base di partenza sulla quale si potrebbe porre qualche riserva,
poiché non è detto che, oggi, questa procedura possa essere quella giusta per
determinare la funzionalità e la concretezza delle proposte. Anzi, partendo
dall’alto, ogni proposta, finisce spesso con l’essere bloccata o distorta in
via parlamentare. Al contrario, poi, attraverso la molteplicità dei decreti o
le richieste di fiducia, si svilisce notevolmente il lavoro dei parlamentari.
Nel sistema
che ancora oggi si vuole di democrazia, si è ormai creata una anomalia di chi
governa in contrasto con chi legifera. Tanto estesa e ricca di compromessi,
questa anomalia, determina una apparente e, non più realistica organizzazione democratica.
La vera democrazia soffre e porta il cittadino ad una possibilistica
visione futura di un sistema più duro e deciso, ma almeno più stabile, assai
vicino ad una dittatura. Nel nostro sistema di democrazia parlamentare, si
pretende oggi, una più stabile governabilità e, a volte, irragionevolmente, non
si accetta che chi governa si possa sottoporre al consenso di un’aula
parlamentare.
Appare
logico, quindi, che a difesa dell’istituzione democratica del Paese, si debba
assolutamente limitare il campo dei compromessi, cambiando radicalmente alcuni
principi che partono dallo stesso testo della Costituzione. Sembra
fondamentale seguire un iter di metodo facendo partire le proposte dalla base
logica di chi fa ricerca proponendosi attraverso il dialogo col cittadino,
ossia il vero politico parlamentare, eletto nella propria comunità. Proposte
che poi, supportate nel merito e nella determinazione, in un percorso
esecutivo, possano essere affidate ad altri.
Sappiamo quanto possa sconvolgere oggi un cambiamento
così radicale tanto da separare i ruoli anche in termini di carriere ma, credo
che questa trasformazione appare oggi suggerita dai tempi e da una esigenza
legata al mutamento dei valori che impongono tutto ciò, per una logica
difesa di un efficiente sistema democratico. Il vero problema si pone, invero, nel trovarne il
modo, in un meccanismo come il nostro che appare tanto bloccato nei
cambiamenti, quanto fermo nella ricerca e nel metodo delle nuove idee. Ma quali
potrebbero invece essere, in alternativa, le trasformazioni possibili, se non
quelli di condurci matematicamente verso duri sistemi di dittatura?
Per ovviare
a questi, bisognerebbe salvare le regole principali su cui si basa una sana
democrazia e cioè; quella di partire da una base del consenso espressa dai
cittadini, non tanto per le candidature, ma soprattutto per il programma.
Se muore un
Governo, se ne fa un altro, ma se dovesse morire un Parlamento, sarebbe la fine
di una democrazia. Quindi il primario lavoro di chi vuole operare nel campo
della politica costruttiva, dovrebbe essere quello di lavorare bene per un
sistema di democrazia moderna e di attualità oltre che funzionale.
Ecco la
ragione per la quale la responsabilità del programma deve essere
prevalentemente dei cittadini attraverso il contatto con i propri Partiti
(debitamente riformati da regole più logiche e funzionali). Il problema
delle candidature rispetto all’importanza del programma risulta secondario e
sicuramente più legato a precisi meriti amministrativi. Potremmo
quindi affermare che proprio per salvaguardare le decisioni dei cittadini,
l’idea di ciò che si vuole realizzare, ossia la progettazione di base del
programma, dovrebbe non essere affidata ad un Governo, ma alle decisioni degli
stessi cittadini. Al Governo dovrebbe essere affidato il compito di eseguire il
programma deciso per consenso dai cittadini, come esecutore razionale che può,
forse, partecipare nel metodo, ma non entrare nel merito, se non per motivi
particolari.
Alla classe politica parlamentare, dovrebbe invece
spettare il compito di analisi e studio della ricerca in rapporto con i
cittadini per avviare e definire lo stesso programma.
Per
conservare i valori di una sana democrazia nel nostro Stato, questo deve
sicuramente rendersi confederato, ma deve poter crescere attraverso un
programma suggerito dai Partiti ispirato ed espresso attraverso il consenso dei
cittadini, i quali non potranno in seguito lamentarsi delle scelte volute dalla
loro stessa maggioranza. Si tratta quindi di coinvolgere i cittadini
soprattutto sul tema del programma, studiato in partecipazione con i Partiti,
più che sul voto da dare ai singoli politici parlamentari. Come, al contrario,
a chi dovrà amministrare, sarebbe più logico dare un consenso per le qualità e
le capacità al di là del programma che dovrà eseguire.
Abbiamo oggi
uno Stato democratico repubblicano, ammantato di falsa democrazia ma, in
realtà, costruito su una oligarchia dei Partiti che, un domani, dovrebbe
trasformarsi in uno Stato democratico federato edificato sul programma dei
cittadini. Per i ruoli amministrativi si potranno persino ricercare due figure,
l’una in ruolo di verifica della linea di governo, l’altra in un ruolo tecnico
per le normative di metodo per lo svolgimento del programma. Ambedue avranno un
compito di costruzione operativa e di controllo.
Per definire bene e con logica un percorso
costruttivo, occorrono però regole chiare anche sulla divisione dei poteri, al
fine di poter trovare una giusta sintesi funzionale costruita su elementi
culturali che abbiano un’importanza predominante sulla evoluzione stessa della
politica. Uno studio organizzativo che, come già suggerito, non potrebbe non
basarsi su un principio di specializzazione e di suddivisione del lavoro.
vincenzo Cacopardo