“Ha ragione
Domenico che con questo suo articolo su “Italia Oggi”..non fa
che scoperchiare.. mettendo in evidenza l'inefficienza di una
giustizia che oggi si intende riformare attraverso una assurda e
prevelente logica della prescrizione.
Pur non avendo
una chiarissima conoscenza degli atti relativi ai fascicoli sul caso
Amanda Knox e Sollecito, risulta ben visibile l'inquietante metodo
con il quale viene gestita la giustizia penale in questo Paese.
Preoccupante in quanto il rinvio tra una Corte e l'altra, hanno
finito col rendere il caso e le sue sentenze contraddittorie.
Rinvii con
sentenze completamente sovvertite che non danno alcuna certezza
sull'andamento del nostro sistema giustizia. Per non parlare di una
certa approssimazione circa il metodo usato da una certa giustizia
civile.
Domenico
Cacopardo mette giustamente in evidenza i casi odierni più discussi
ed esaltati.. costruiti con la complicità innata di una certa stampa
sempre pronta ad esaltare o biasimare certi episodi. L'impressione che
qualcuno voglia volutamente portare maggiore confusione.. potrebbe
essere valida. Resta il fatto che la giustizia dovrebbe poter
lavorare meglio e con maggiori risorse. “
vincenzo
cacopardo
Certo, è un caso
giudiziario come tanti altri, ma la notorietà della vicenda di
Amanda Knox e di Raffeale Sollecito è tale da gettare la giustizia
nazionale nel tritacarne critico dei giornali di tutto il mondo.
Solo i teppisti che
circolano per le redazioni italiane (usando informazioni che
provengono dagli uffici dei pubblici ministeri o che sono usati essi
stessi dai medesimi operatori di giustizia per far conoscere al mondo
le indiscrezioni che servono alle loro strategie processuali compreso
lo sputtanamento preventivo del presunto imputato) non si
scandalizzano e non si pongono domande su un metodo di lavoro che
incide traumaticamente nella vita civile del Paese, non solo per le
geometrie impazzite del «penale», ma anche per l’assenza vicina
al totale del «civile».
Per capire cosa si
pensi in giro dell’Italia e della sua giustizia, citerò le parole
che, sul caso, ha speso Alexander Stille professore di giornalismo
alla Columbia University e collaboratore di The New York Times e di
The New Yorker, rispettivamente il più prestigioso quotidiano del
globo e il più raffinato settimanale americano.
Scrive Stille, tra
l’altro, che con 8 processi, Amanda e Raffaele sono stati
espropriati di quasi dieci anni di vita, in parte trascorsi in
carcere insieme alla disperata umanità che lo popola. E che non
crede che la Knox sia colpevole in quanto il capo di accusa non
presenta una ragionevole (oltre ogni dubbio) spiegazione del delitto.
Una coppia in preda a una passione incipiente avrebbe definito con un
vagabondo-truffatore (Rudy Guede) un piano per uccidere la
coinquilina di Amanda. Non essendoci un motivo attendibile i pubblici
ministeri ne hanno immaginato vari e bizzarri come l’appartenenza a
una setta satanica o un gioco sessuale tragicamente conclusosi. E
poi, la completa assenza di prove fisiche: il dna di Guede è in
tutta la scena del crimine, ma nulla si trova dei due presunti
assassini. Tutto è collegato alla confessione della Knox, estorta
dopo una intollerabile pressione psicologica nei suoi confronti: la
restrizione in carcere, il susseguirsi di interrogatori stringenti.
La vittima, Amanda, non è italiana e ha una conoscenza sommaria
della lingua e si trova in un girone infernale di cui non capisce il
linguaggio e gli obiettivi.
Dopo giorni di
martellamento, Amanda crolla e coinvolge il suo datore di lavoro
Patrick. Ma questo ha un alibi di ferro e l’accusa cade. Tuttavia
il resto della cosiddetta confessione viene considerato attendibile e
usato in dibattimento.
Un metodo che
ricorda l’uso delle cosiddette confessioni del figlio di Ciancimino
(definito eroe dell’antimafia), spesso smentite dai fatti, ma
ritenute per il resto pertinenti.
Non c’è dubbio
che, con la più recente sentenza della Cassazione sul caso
Knox-Sollecito si sia constatato come la giustizia penale italiana
non vada bene e che debba essere riformata.
Se pensiamo alla
corruzione (che è di moda in queste settimane, dopo tante
lamentazioni dei procuratori della Repubblica e centinaia di articoli
dei loro amici, con la recente ostensione della reliquia Antonio Di
Pietro, mai come ora sugli schermi televisivi), e cerchiamo qualche
statistica, scopriamo che oltre il 50% dei processi (pochi) imbastiti
termina con l’assoluzione di tutti o di qualche imputato. E allora?
È una questione di pene, di prescrizione o di capacità processuale
di collegi e procure?
Purtroppo, dopo il
trasferimento della titolarità delle investigazioni dagli organi di
polizia ai pubblici ministeri, c’è stato un crollo di risultati.
L’unico strumento canonico d’indagine è l’intercettazione
telefonica, che viene usata a tappeto, sia quando c’è un elemento
concreto su cui puntare, sia quando la notorietà della fattispecie o
dei protagonisti induce una procura a metterli sotto esame.
Del resto, anche
l’ultimo scandalo, quello di Incalza, viene fertilizzato sulla
stampa da notizie piuttosto sconcertanti: il rinvenimento di piccole
somme in euro (piccole rispetto alla mole dell’impianto
accusatorio) o il trasporto di scatoloni dal ministero ad altra
destinazione, le cui fotografie recano la suggerita didascalia che
negli stessi potrebbero essere occultate somme di denaro. Ma se sono
stati i Ros a fotografare e filmare i preziosi scatoloni, perché a
un certo momento non sono intervenuti per sequestrarli, aprirli e
conquistare la prova del passaggio di soldi (illeciti)? Una specie di
nuovo caso Riina, con l’accusa (permanente) di non avere perquisito
il suo covo?
E poi, a margine
del caso Incalza, qualcuno apre una questione Guido Improta,
assessore alla mobilità del comune di Roma, che sarebbe implicato in
una discussa (e censurata?) decisione relativa alla metropolitana di
Roma. Ma un avviso di garanzia non è mai arrivato. In compenso, il
premio Nobel Marino, sindaco di Roma, insieme a Matteo Orfini ha
stabilito una preliminare e pregiudiziale solidarietà con il
nonimputato, compromettendosi e compromettendolo se ci fosse
realmente un file giudiziario che lo riguardi.
In un paese così
scombinato, sono molti quelli che fanno la loro parte per scombinarlo
ancora di più.
Domenico
Cacopardo