14 ago 2015

Il prevalere della ragione..che deprime i valori




Cos'è mai questo prevalere della ragione che condiziona ogni pensiero in direzione di un pragmatismo tanto assoluto..quanto determinato in favore di un'unica politica come quella condotta dal nostro premier?

di vincenzo cacopardo

A sentire la cronaca giornalistica di una certa stampa nazionale ed internazionale..Matteo Renzi rappresenta l'unica vera risorsa politica del Paese. In tanti ancora lo definiscono l’ultimo autobus che il Paese democratico ha a disposizione..poichè.. al di fuori di lui, non esiste alcuna alternativa valida. Ma quale democrazia porta avanti questo suo governo? Si può definire ancora il nostro un Paese democratico?

Dovrebbe essere chiaro ai tanti che ancora lo osannano.. se ben conoscono ed interpretano la Costituzione, che le nuove riforme da lui volute .. unite a quella che dovrà regolare le elezioni chiamata “italicum” stridono con le regole ed i principi di una democrazia rappresentativa. Una forte ipocrisia sembra poi dirompere quando si vuole rimarcare l'importanza di queste riforme per dare forza ad una governabilità al fine di rendere più sicure le istituzioni e l'intero Paese.

Se si persiste col concetto che la governabilità è uno “scopo” e non un “fine”.. si continuerà a confondere lo stesso principio democratico spingendo verso una forma assoluta e dispotica. Una giusta governabilità deve sicuramente seguire un principio di qualità poiché, non si tratta solo di diminuire o di aumentare i ministeri o le poltrone di comando di un esecutivo ma, di determinare un percorso costruttivo attraverso una richiesta che partendo dalla domanda deve finire col trovare un logico fine di utilità. Quindi..fino a ché la governabilità sarà identificata come l’unico e principale “scopo” non tenendo conto della base funzionale della politica, si imporrà sempre una stabilità falsa e negativa.

Dunque, risulta strano che grandi conoscitori della materia non riescano a percepire che governare deve essere considerato come un “fine”! Occorre oggi determinare questo dando corpo a quella azione politica di base che risulta essenziale. Questo fine governativo, non potrebbe mai avere una giusta espressione senza quella attività che ne rappresenta il “mezzo” per arrivarvi.
La politica Renziana non fa che invertire questo fondamentale principio umiliando ogni valore democratico... poiché spinge a svalutare ogni utile messaggio che arriva dal basso..ossia la parola del popolo sovrano. In mezzo... restano impantanati i Partiti privi tutt'oggi di una essenziale ed opportuna riforma.

Qualunque sistema odierno che pretendesse di assumere in se il pluralismo di una politica di base e di dialogo ed una governabilità stabile, non potrà che trovare enormi difficoltà per il contrastante aspetto derivante dalla diversa funzione di queste due azioni”.



Oggi possiamo anche dare meriti a Renzi, meriti del suo particolare determinismo..una certa fortuna per la casualità di un momento politico confuso ..circostanza di non aver trovato personaggi capaci di ostacolarlo ..persino il coraggio di affrontare un cambiamento con la forza di un'ambizione fuori dal comune, ma quello che conterà saranno solo i risultati che per logica saranno frutto di un percorso frettoloso e semplicistico che potrà portare maggiori danni nel futuro... arginando ogni fondamentale principio di una vera democrazia per il Paese.

13 ago 2015

Nasce in Sicilia il nuovo Movimento di Alfio di Costa

La difesa dei valori come principio politico


LA SICILIA AL CENTRO DEGLI INTERESSI
Con un appello ai Siciliani perbene che amano la loro terra, Alfio di Costa, classe 59, si impone con un nuovo Movimento regionale in Sicilia.
Il Movimento all'insegna della speranza “Insieme si Può” ..mette al centro dei suoi interessi la Sicilia come terra che necessita di una nuova politica affinchè tutto possa cambiare veramente.
Il Nostro Movimento ha nel suo germe il vero cambiamento, questo è un treno che passa poche volte nella vita. Noi crediamo che cambiare si Può,Cambiare si deve. Noi crediamo in una Sicilia che prima diventa normale per poi guardare con Fiducia al Futuro. Noi crediamo nella possibilità di creare sviluppo e ricchezza nella nostra meravigliosa isola. I nostri figli non dovranno più emigrare , semmai potranno andare a testa alta in qualsiasi parte del mondo come ogni cittadino del pianeta per scelta di vita.”
Con questo monito il fondatore del nuovo Movimento nato nel febbraio di quest'anno..invita i giovani ed i meno giovani a credere ad una nuova forma di politica che possa contrastare ogni altra forma incrostata di interessi e malaffare, predatoria ed inadeguata.
Alfio di Costa, che tutt'oggi riveste numerosi incarichi all’interno di Associazioni di volontariato ed umanitarie, si dice certo che il suo Movimento rappresenta l'ultima barriera a difesa dei valori di una terra che non può permettersi di svalutare il suo naturale patrimonio artistico, paesaggistico, turistico, agro alimentare ed artigianale.
Le iniziative di questo Movimento mettono al centro gli interessi di una Sicilia costretta a difendersi da un centralismo governativo di sicuro assente e da interessi di una politica locale inadeguate.. rappresentando, quindi, una speranza in più per i cittadini di questa isola ormai terra di nessuno.
Vincenzo cacopardo



12 ago 2015

Il Sud?... per Renzi un rompicapo da evitare

Per il sud occorre un progetto serio con idee ed un impegno dell'Europa
di vincenzo cacopardo

Come si può pensare che un toscano così borioso e saccente come il nostro sindaco d'Italia possa davvero interessarsi alle problematiche del Sud?.

Come potrebbe mai capirle quando rimane rinchiuso nella ristretta visione della sua Toscana circondandosi dell'entourages dei suoi adepti conosciuti durante la permanenza nel palazzo comunale della sua amata Firenze? Per lui la Toscana rimane la vera regione sulla quale far crescere l'intero Paese..senza percepire l'importanza di un serio problema che investe una enorme parte della nostra penisola e che potrebbe farla sprofondare trascinandosi appresso le bellezze di tutte le altre regioni più stabili e forti.

Le problematiche del mezzogiorno non sono mai state sfiorate e poste con cura sul tavolo di lavoro del Premier ..sia per la totale mancanza di idee in proposito ..sia perchè sono state viste come un pesante fardello che era meglio mettere da parte privilegiando il bonus degli ottanta euro che avrebbero portato molti più consensi al governo.

Non so se ancora oggi si possa parlare una questione meridionale e cioè.. se nel terzo millennio, ci si possa esprimere in questi termini e se, con l’idea di un federalismo alle porte, si debba ritenere il Mezzogiorno come una faccenda ancora da risolvere. Poichè se così fosse, non si potrebbe azzardare alcun progetto di federalismo che coinvolga insieme la nostra Nazione. In poche parole: è impensabile voler costruire un sano sistema, se non si equilibra quel divario ancora esistente tra il nord ed sud del nostro Paese.

Questo è quello che le forze politiche di questo nostro Paese non riescono a percepire ..primo fra tutti il premier Renzi: Ogni forma di progetto di federazione può rimanere utile se nel contempo si opera un piano strategico che veda un coinvolgimento pieno del Governo centrale al fine di poter apprestare giuste ed indispensabili infrastrutture per il sud. Questa strada rende anche necessario il metodo con cui si affronta oggi un sistema di regioni federate, che non può vedere un’esclusiva applicazione di misure fiscali, ma anche amministrative ed istituzionali, tenendo in considerazione la storia, la cultura e le risorse delle singole regioni...

Insomma.... rimane indispensabile un progetto Nazionale, ma con il coinvolgimento di una Comunità europea che non guardi semplicisticamente ad una Italia nel suo insieme, ma più in lungimiranza e con logica.. nella sostanziale congruenza delle infrastrutture inerenti un progetto di sviluppo diversificato per le aree del Sud.



una nota al nuovo articolo del consigliere Cacopardo sul mezzogiorno

Al di là delle omelie di Saviano e delle particolari caratteristiche dei cittadini del sud-italia già molte volte espresse in questo blog: Palesi problemi caratteriali che gravano sui cittadini di questa parte del territorio (un quasi naturale cinismo - una innata arroganza ed un indubbio astio per chi fra loro emerge) quello che veramente è sempre mancata.. è una vera idea di sviluppo per il Sud..Lacuna che...se messa in relazione con la mancanza di risorse, finisce col chiuderlo in se stesso e legarlo in una solitudine senza scampo.

Di sicuro il sud sul piano del lavoro e dell'economia fa molto pensare ad una Grecia italiana: la distanza politico culturale..la mancata realtà industriale e la evidente posizione terrestre che la avvicina di più al territorio africano.. non sembrano darle scampo. Ma quello che più sorprende è la mancanza di una forza locale capace di portare avanti un programma politico in favore di questa terra.

Tutto ciò che scrive Domenico potrebbe essere giusto se non vi fosse ormai da parecchi anni uno stato di abbandono in conseguenza di una politica centralista che non ha saputo offrire proposte valide per la sua crescita infrastrutturale. Le storture evidenziate dal clientelismo e dalle scelte su amministratori locali incapaci è soprattutto dovuta ad un certo abbandono da parte di chi avrebbe dovuto avere più cura e maggior prevensione oltre ad un preciso piano di sviluppo che avrebbe potuto rappresentare un vero polmone per la crescita dell'intero Paese.

La colpa principale sembra essere quella di chi non ha saputo leggere il futuro di questo territorio e lo ha abbandonato in mano a forze politiche locali ignoranti. Ma un dato di fatto è certo: Napoli..come Palermo ..non potranno mai ospitare fiere internazionali senza le necessarie infrastrutture..e senza di queste.. ogni altra lacuna viene accresciuta.
vincenzo cacopardo


In mancanza di meglio, anche il Sud è tornato all’ordine del giorno.
Le anticipazioni della Svimez, il carrozzone in disarmo che studia il Mezzogiorno (non autorizzate e non condivise da membri del consiglio) segnalano che sprofonda e non ha una chanche di risalire. Addirittura sarebbe peggio della Grecia.
Si inseriscono nella polemica in tanti e, in particolare, Roberto Saviano, l’eroe di Gomorra che s’è attribuito il ruolo di guru o profeta del Meridione, qualsiasi sia l’argomento specifico in discussione. E, nel disastro dell’economia del Sud, sembra trovarsi nel suo elemento naturale, visto che ogni colpa è del Nord e, in particolare, del governo nazionale, che ha smesso di fare ciò che ha fatto per quarant’anni abbondanti: mandare vagonate di soldi, ingrassare politici, affaristi e, in ultimo, estremo luogo, cittadini.
Dimentica, Saviano, che da qualche decennio ci sono i fondi strutturali europei. Che le poche regioni italiane a poter attingere a questa forma di finanziamento, sono le regioni del Sud. Che decine di miliardi di progetti giacciono sulle scrivanie di non solerti funzionari regionali e comunali, senza che un solo euro sia speso per la comunità.
Insomma, come per la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta attribuire la colpa agli altri, a quelli del Nord e al governo non solo è facile, ma anche utile. Infatti, se la responsabilità è degli altri, essa non è dei siciliani, dei napoletani, dei calabresi e dei pugliesi. Quindi essi vanno assolti ed è lo Stato e gli altri italiani a dover essere indagati, perseguiti, demonizzati. Un inaccettabile mondo al contrario.
Il corollario è la popolarità: se questo è vero, rizzarsi sulla schiena e denunciare gli altri rende molto, ovunque, ma in particolare nei salotti radical-chic dei capoluoghi, quelli nei quali i resti di una borghesia che fu propositiva e governante, si adagiano nell’inazione e nella rinuncia.
Certo, Saviano, pubblicando il libro che ha pubblicato, s’è meritatamente guadagnato i galloni di eroe. Ma ciò non basta per comprendere e giustificare la sua partecipazione al coro delle geremiadi nelle quali l’imprecazione e la criminalizzazione degli altri è in sostanza l’alibi degli ignavi e dei complici.
Ho scritto più volte che la società delle grandi e delle piccole città siciliane non è mafiosa. È corriva e rinunciataria, talché gli abitanti si dividono (per semplificare) in varie categorie: quelli antimafia, veramente antimafia, che della lotta per la legalità hanno fatto ragione di vita; coloro che usano l’antimafia per prosperare e crescere, partecipando, solo «per figura» a ogni manifestazione di condanna del fenomeno criminale. Poi c’è la maggioranza: sono gli indifferenti, quelli che tirano a campare e che, se non fanno parte della criminalità, ci convivono senza problemi. Essi sono peggio che complici, giacché costituiscono il brodo di coltura del malaffare e del crimine. Infine i mafiosi e i loro simpatizzanti.
Certo, il contesto provoca un indotto immenso: pensate alle parcelle delle centinaia di avvocati impegnati nei procedimenti antimafia. E ai benefici che alcuni traggono dalla situazione.
Insomma, è difficile immaginare che la Napoli di De Magistris, la Sicilia di Crocetta, la Calabria di Oliviero (però di gran lunga il migliore, personalmente non assimilabile agli altri due) riescano a voltare pagina, mentre milioni di euro non vengono spesi e milioni vengono buttati dalla finestra per spedire (vero, Napoli?) tonnellate di rifiuti in Olanda, dove sono trasformati in materie prime per la lucrosa produzione di energia elettrica. Chi ha rifiutato un termovalorizzatore per spendere i quattrini dei contribuenti italiani (non partenopei) per inviare i rifiuti in Olanda, in un Paese normale sarebbe indicato al pubblico ludibrio e allontanato dalle responsabilità che ha conquistato.
Ma così non è.
Secondo me, la colpa di quanto di male è accaduto e sta accadendo da Roma (Roma ha abbandonato il link con il Nord e l’Europa per assimilarsi a Napoli e al peggio che il Meridione dà) a Capo Passero è tutta dei cittadini di quelle zone. Perché non hanno scelto gli amministratori secondo un corretto criterio democratico, ma secondo clientele e favoritismi. Perché non hanno preteso che gli amministratori operassero nell’interesse è pubblico. Perché non hanno imposto di correre per realizzare le opere che l’Europa aveva finanziato. Perché ha permesso che le scuole non funzionassero e diventassero diplomifici coi massimi voti e i minimi risultati. E che accadesse tutto ciò che accaduto. Comprese le incredibili stragi che sappiamo.
Addirittura, a Messina è stato eletto sindaco il capo dei Noponte, una specie di masochista che s’è battuto contro la resurrezione delle propria città. È vero che gli altri, in particolare il padrone del Pd, Francantonio Genovese, ora ai domiciliari dopo una lunga detenzione, era peggio del primo cittadino, Renato Accorinti, ma il risultato è stato effettivamente drammatico. La città langue in un’agonia permanente senza una prospettiva di riscatto.
Insomma, se la Grecia va avanti al Sud-Italia va riconosciuto che è giusto. In Grecia non c’è un fenomeno criminale come quello che affligge il Meridione d’Italia. Un fenomeno creato dai cittadini del Meridione stesso, non dai funzionari piemontesi, deprecati oltre il lecito e il meritato.
Certo, la cruda, inattuabile verità è che il Sud-Italia andrebbe abbandonato al suo destino. Non un soldo dovrebbe essergli destinato. Solo quelli che i suoi contribuenti versano nelle casse pubbliche che, al netto delle dissipazioni in stipendi e impieghi parassitari, dovrebbero servire per le opere pubbliche. Non c’è una ragione che è una perché quota parte delle tasse pagate dal contribuente non meridionale finisca nelle mani rapaci degli amministratori meridionali.
E, probabilmente, il Sud oggi non merita di appartenere all’Europa, invece che, come sarebbe meglio, alla Libia anarchica.
Le immagini dei cittadini che tentano di opporsi ad arresti di camorra lo testimoniano.
Le lamentazioni di Saviano sono, quindi, giuste, ma male indirizzate.
Per queste mie convinzioni, applicate a un comune del taorminese, sono sotto processo a Catania.
Ma non tacerò, sicuro come sono, di dire la sgradevole verità.
Domenico Cacopardo




nuovo articolo di Domenico Cacopardo sull'immigrazione

La stagione delle vacanze non attutisce la polemica politica, anzi permette a Grillo di conquistare la ribalta con un tema urticante per tutti: l’immigrazione e la colpevole inerzia del governo.
Eppure, qualche mese fa era sembrato che qualcosa si fosse mosso.
La Mogherini, «lady Pecs», cioè una specie di ministro degli esteri europeo, dopo diversi incontri aveva annunciato (giugno 2015) che l’Unione aveva dato il via libera a un’operazione di una forza militare comunitaria. Le aveva fatto eco l’altro ectoplasma politico nazionale, la ministra della difesa Pinotti, rendendo noto che il comando sarebbe stato italiano, che si era già insediato in una base presso Roma e che tutto avrebbe avuto inizio nel mese di luglio.
La natura dell’intervento era avvolta dalla nebbia, anche se risultava chiaro che non si trattava di un massiccio intervento mare-terra-aria ma di attività di commandos rivolte agli scafisti e ai loro mezzi, i natanti e i gommoni pronti a caricare gli sventurati in attesa sulla coste libiche.
Infatti, mentre le varie fazioni libiche facevano melina in interminabili trattative per costruire un fronte antiterrorismo (impossibile da realizzare per le rivalità fertilizzate dai quattrini dell’Isis, dal petrolio, dalla immensa di disponibilità di armi), le Nazioni Unite, rappresentate in loco da un personaggio da operetta, la cui missione (quella, appunto, di definire un accordo di governo tra tutte le fazioni esistenti in Libia) è decisamente fallita, non ha mai autorizzato azioni militari in territorio libico ancorché contro i criminali trafficanti di uomini.
Quello delle Nazioni Unite è stato un ennesimo errore storico. Prima di tutto avere affidato la missione a uno spagnolo, Bernardino Leon, che non è un diplomatico, ma un generico «esperto» di questioni mediterranee, evitando di incaricare un diplomatico italiano, che si sarebbe giovato dell’Eni, fortemente radicato nel territorio, e, comunque, avrebbe potuto vantare i nostri tradizionali rapporti con il mondo libico per mettere insieme uno schieramento filo-occidentale.
Ma, qui, su questo punto, la responsabilità non è solo di Ban Ki-Moon, ma anche del peso pulce Mogherini e dell’inesistenza internazionale del governo italiano.
La mancata autorizzazione dell’Onu, peraltro, non impedisce quelle azioni mirate di polizia internazionale che sembravano essere state decise dall’Europa.
Ma, nel silenzio tombale della stampa nazionale, sono passate le settimane e i mesi e nessuno si è mosso.
Anzi, l’azione umanitaria si è allargata giovandosi di un maggior numero di navi, prestate alla bisogna da altri paesi europei nell’ambito della missione «Triton». Con il ben noto paradosso che la flottiglia destinata a operare nel Mediterraneo e in prossimità delle coste libiche si comporta come una forza di appoggio agli scafisti (ai quali levano le castagna dal fuoco intervenendo al momento giusto per imbarcare i profughi) che, però, non si cura dell’umanità raccolta, in quanto la scarica sul territorio italiano.
Alla fine, ha avuto facile gioco Grillo a uscirsene con un’invettiva delle sue e con un’accusa fondata: l’inesistenza del governo nell’azione di contrasto all’immigrazione illegale e la grave omissione dei compiti stabiliti dalla legge in materia.
Parliamo non solo delle prescrizioni costituzionali sulla difesa dell’integrità nazionale, ma: -del dovere di identificazione di tutti coloro che, privi di visto, mettono piede in Italia; -della necessità di distinguere coloro che richiedono l’asilo politico da coloro che non lo richiedono; -dell’incapacità, ormai macroscopica, del ministro dell’interno Alfano di pretendere dalla sua amministrazione di definire le pratiche di asilo in due/quattro mesi; della cinica speculazione praticata da coloro che esercitano il lucroso mestiere (un vero e proprio mestiere, infatti) dell’assistenza a spese dello Stato, un mondo che meriterebbe maggiore attenzione da parte della magistratura.
L’accusa di cinismo rivolta al comico genovese (dilagante sui media estivi) sfiora il ridicolo, specialmente quand’è mossa da un professionista come Orfini, che non può non sapere che il cinismo è componente usuale della lotta politica.
Il governo e il Pd mostrano, nella circostanza, l’abisso che si è ormai aperto tra la realtà virtuale in cui credono di vivere e l’Italia reale: quella che non constata la conclamata ripresa; quella che vede in ogni momento di tutti i giorni il ritiro delle forze dell’ordine dal territorio (Roma nelle mani indisturbate delle bande di zingari che occupano piazza di Spagna e piazza Navona e tutti gli altri luoghi di interesse turistico); che scopre il disinteresse con cui sono trattati i reati all’ordine del giorno quotidiano (depenalizzati con una folle decisione parlamentare); che osserva il dilagare degli immigrati. Tutti fattori che provocano paura, la peggiore consigliera delle opinioni pubbliche.
E ha avuto buon gioco, Grillo, anche nei confronti di papa Francesco, che prima o poi imparerà che chi di populismo ferisce di populismo perisce. Nel senso che la demagogia chiama più demagogia. Aveva appena parlato, il papa, del fenomeno immigrazione condannando duramente il contrasto della stessa.
E Grillo ha colto la palla al balzo rilevando che sarebbe ora che la Chiesa aprisse conventi e chiese alla povera umanità stipata nei centri di accoglienza, invece di riservare le proprie strutture al lucroso affare del turismo e dell’imminente giubileo (una manifestazione, storicamente, volta a raccattare quattrini).
La verità è che Grillo (e Salvini) avanzano sulle ceneri di una politica nella quale l’annuncio prevale sulla sostanza e, quando all’annuncio corrisponde una riforma, essa è comunque di là da mostrare i suoi effetti positivi.
La sensazione è che Renzi sia alle ultime fermate della sua corsa. E che essa si arresterà non per l’azione delle opposizioni o della minoranza del Pd, ma proprio per le proprie insuperabili insufficienze.
Una prospettiva, quella di rimanere senza governo, che preoccupa, visti i problemi attuali.
E la prospettiva d’una vittoria dei 5 Stelle, evocata da Cacciari, è tutt’altro che confortante, vista l’esperienza di questi anni.
La speranza è l’illusione dell’irresponsabile.
Ma il pessimismo della ragione si giova della forza del realismo.
Domenico Cacopardo

31 lug 2015

Mattarella: più “garante” .. che “arbitro”!

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: FIGURA CHE I CITTADINI VORREBBERO  GARANTE DEL SISTEMA ISTITUZIONALE.
di vincenzo cacopardo
Se un arbitro deve agire senza condizionamenti..un garante può muoversi a protezione di ciò che non risulta sicuro ed a salvaguardia dei fondamentali principi.

Le prime esternazioni del Presidente Mattarella rimangono fondamentali e danno una sorta di scossone al metodo odierno con il quale la politica si muove..Mattarella ha parlato di lungimiranza e questo argomento ..già diverse volte trattato nel mio blog..dovrebbe essere di sicuro un monito per una classe politica che fino ad oggi non ha saputo leggere nel futuro. Ma se leggere significa muoversi attraverso la fretta e la semplificazione...come usa fare il nostro Premier..l'argomentazione del capo dello Stato non trova alcuno sfogo, poiché la fretta..unita ad una certa superficialità.. non possono appartenere a chi si deve muovere guardando lontano.

Malgrado i bei discorsi...il Presidente Mattarella..a mio modestissimo parere..non riesce a definire bene il proprio ruolo..nel contesto di una politica odierna..soprattutto quando tende a dirimerlo solo come “arbitro”..dato che prima ancora egli dovrebbe essere un “garante” della Costituzione. Questo fa sì che la sua posizione finisce col mettere in discussione persino il fine ed i valori della Costituzione stessa.. quando questi vengono scherniti o svalutati.. attraverso principi che a tutti i costi pretendono di determinare una governabilità come scopo e non come valore definito. In realtà: credo che possa e debba spettare al capo dello Stato un giudizio come garante (più che come arbitro) per la garanzia stessa di una democrazia..dato che oggi persino il raccordo tra Parlamento e Governo risulta incrinato o addirittura compromesso.

Per quanto attiene alle riforme..trattandosi di un considerevole numero di riforme tendenti a stravolgere l'impianto istituzionale voluto dai padri costituenti (esperti..oltre che fortemente istruiti in materia) risulterebbe utile muoversi in termini di un metodo più appropriato.. Pur lasciando da parte ogni riferimento al merito di queste riforme (che, invero, potrebbero anche portare danni peggiori nel futuro politico del Paese), avrebbe sicuramente fatto piacere un intervento in proposito... ascoltando le osservazioni di metodo da parte del nuovo Capo dello Stato. Considerazioni che in realtà gli appartengono in qualità di garante di un sistema di democrazia che dovrebbe vedere nel parlamento il punto centrale di tutta la politica istituzionale.Se è vero che “la mancata attribuzione dei poteri di indirizzo politico al Presidente della Repubblica, fa sì che tali poteri vengano accentrati nel raccordo Parlamento – Governo”.. è persino evidente che questo raccordo oggi si sia intaccato e dovrebbe destare serie preoccupazioni per la garanzia dello stesso principio di democrazia: i due ruoli (Parlamento – Governo) non riescono più ad operare in condizioni di indipendenza e, pur nella loro distinzione funzionale, risultano condizionati da un pressante potere partitico che li sottomette al proprio interesse...Nel passato non era così e quindi il raccordo non veniva compromesso..ma oggi le cose sembrano del tutto cambiate! 

Renzi oggi rappresenta l'evidenza di questo problema.. e quella tendenza equilibratrice che si voleva tramite il “raccordo”, non pare più possibile. La centralità del Parlamento non determina più la sua vera fondamentale funzione ed ogni azione governativa finisce sempre col prevalere e condizionare pragmaticamente su ogni indispensabile percorso politico parlamentare..Credo..perciò.. che in questo terreno sia indispensabile un ruolo di vero garante da parte del nostro Capo dello Stato.



Al Sud muore ogni speranza...


IL RAPPORTO SVIMEZ SULL'ECONOMIA DEL MERIDIONE
di vincenzo cacopardo
Da quanto lo scriviamo in questo Blog?..Da quanto mettiamo in evidenza l'importanza di un piano per il Sud? Da quanto critichiamo la mancanza di una vera politica per la crescita di questo terrirorio che necessita di infrastrutture per legarla ad uno sviluppo più consono al proprio territorio?

Si parla di desertificazione industriale, io la chiamerei più opportunamente totale desertificazione di idee e di risorse politiche più adatte: Non potrà mai esservi uno sviluppo imprenditoriale se non si esercita una adeguata politica che lo stimoli negli investimenti e che lo preservi da una sicurezza in un territorio da sempre abbandonato da uno Stato.. che sembra solo essersi dedicato a farlo prosperare attraverso risorse poco utili. In realtà non esiste questa prosperità..se non nelle comode poltrone delle regioni e delle amministrazioni locali dedite ad assumere per ottenere consensi in uno accrescimento di una politica guasta ed inconcludente. Come si poteva pensare che su questo piano il nostro Sud non avrebbe potuto battere persino la Grecia?

Il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2015 è chiaro e perentorio "Dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto del 13% la metà della Grecia che ha segnato +24%: oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell'Europa a 28 (+53,6%)". Lo Svimez sottolinea anche che, nel periodo, l'Italia nel suo complesso è stato il Paese con meno crescita dell'area euro a 18 con il +20,6% a fronte di una media del 37,3%. Il Sud sconta inoltre un forte calo dei consumi interni e degli investimenti industriali. Come era chiaro prevedere e come risulta ormai superato in questa nostra Nazione... dove nessun politico riesce a leggere in lungimiranza..il meridione sta per crollare definitivamente nel più buio dei baratri.. spinto dall'inettitudine di ogni governo centrale e dai governi regionali locali condotti attraverso un criterio politico illogico che nella regione Sicilia vede solo continue deboli manovre di rimpasto di figure del tutto improprie.

Il Paese è già da tempo diviso in due e la politica non riesce nemmeno a scorgere questa differenza tanto è dedita a salvare le proprie poltrone ed i propri centri di potere. A livello nazionale, il Pil è stato di 26.585 euro, risultante dalla media tra i 31.586 euro del Centro-Nord e i 16.976 del Mezzogiorno... ma poco conta per i cittadini un PIL..quando la forbice tra ricchezza e povertà continua ad allargarsi al Sud in modo spropositato: Nessuna ricchezza potrà mai permettersi di fare investimenti in un territorio dove mancano le essenziali infrastrutture per renderla competitiva.. e nessuna sicurezza locale potrà bastare se lo Stato non si fa promotore di un piano di prevenzione adatto per salvaguardarla dal malaffare.. un malaffare che prospera proprio lì dove lo Stato resta assente e dove cresce la povertà spinta da una mancanza di iniziative valide.

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studio per una nuova iniziativa



30 lug 2015

Il caso Azzollini sancisce l' ipocrisia del PD e del suo segretario


Si salvano le figure ..si affondano i principi
di vincenzo cacopardo
Il caso del senatore Azzollini..si dimostra un'altra di quelle enormi contraddizioni procurate da una politica ricca di anomalie ed alterazioni alla quale non si vuole di proposito mettere ordine. Una politica che sopravvive solo attraverso interessi e convenienze.

Non potendo entrare nel merito dell'inchieta ..ci soffermiamo ad analizzare il metodo espresso con tale disinvoltura e sfacciataggine nel suo percorso istituzionale.
  
Sul senatore del Nuovo Centrodestra pesa una richiesta d'arresto da parte della procura di Trani... accusato di bancarotta fraudolenta e l’associazione a delinquere nell’inchiesta sul crac della casa di cura Divina Provvidenza. A tal proposito la Giunta per le autorizzazioni aveva votato a favore della istanza di arresto. Con il voto segreto, Palazzo Madama, ha invece respinto la richiesta contrariamente al voto espresso dalla commissione. Questo abnorme equivoco si inserisce in un contesto più grande che vede oggi la politica... oltre a fronteggiare con sfregio ed ostitlità le posizioni di un ordine della magistratura, una totale incoerenza nel proprio percorso isituzionale.

A poco valgono le parole di Luigi Zanda, capogruppo del PD.. che ha contestato la modalità di voto segreto come arma politica strumentale. In questa faccenda il PD ha dimostrato di essere più ipocrita del suo stesso segretario, il quale, insistendo nella posizione anomala di segretario del partito di maggioranza e Capo del Governo ...continua imperterrito in un percorso irto di conflittualità: Chi ci dice che Renzi non possa aver costruito la difesa di Azzolini su suggerimento di Alfano per la tenuta stessa del governo?..Sono congetture, ma supportate e convalidate proprio dal conflitto sopra esposto. Diverso sarebbe..e meno sospettabile.. se Renzi non assumesse contemporaneamente i due incarichi!..

Le lacrime di coccodrillo del suo intero Partito valgono assai poco di fronte al muro che questa politica continua a costruire per contrastare un malcostume messo in evidenza dalle procure. Rimane ridicola persino la dichiarazione di Debora Serracchiani, vicesegretaria del PD...sentitasi persino arrabbiata per l'errore commesso. Ma come si può chiamare errore una simile disattenzione..che in realtà finirà col non premiare per nulla il suo stesso Partito? A poco valgono le sue scuse quando con ciò dimostra di non essere in grado di gestire un Partito..pretendendo anch'essa di poter assumere contemporaneamente un'altra carica di presidente di una regione.

Si sa bene che quando si dichiara di votare per coscienza nascono giochi di interessi che sovrastano ogni spirito politico. Lo spirito del Partito nella fattispecie non poteva, né doveva.. prendere libere strade di coscienza attraverso un voto segreto...Non si trattava di regole riguardanti normative e leggi, non si trattava di valutare principi di natura civile o di regolamentazione fiscale...Si doveva metter un punto fisso su una richiesta avanzata dalla magistratura e convalidata dalla Giunta per le autorizzazioni.

Più che ridicolo..questo quadro.. appare assai ipocrita e triste!





29 lug 2015

una nota all'analisi del consigliere Cacopardo

Perchè meravigliarsi?

Da quanto scriviamo dello sfacelo del nostro Paese?...e non certo per voler apparire gufi, ma per l'evidente situazione politica che non muove passi avanti se non nell'orbita di una abnorme comunicazione di un premier saccente e presuntuoso che continua ad imporre una visione estranea ad ogni realtà.
Per quanto concerne la sicurezza (argomento toccato in modo puntuale da Domenico) la ragione stà anche nel fatto di considerare la nostra democrazia un punto sul quale tutto viene affidato alla libera interpretazione dei cittadini, non tenendo più conto di un indispensabile impegno da parte dello Stato su un necessario controllo preventivo.

Su tutto ciò si muove una giustizia assai lenta, a volte troppo indulgente che finisce col premiare i farabutti. Ma perchè questo nostro Paese ..rimane coperto e seppellito dalla miriade norme fin troppo buoniste ed inidonee che fomentano in qualche modo il crimine?

Uno sforzo fondamentale dovrebbe essere fatto dalla politica per guidare un processo evolutivo moderno più spedito, meno farraginoso... anche verso un coordinamento più utile tra giustizia e sicurezza per meglio avvicinare lo Stato ai cittadini. Quando si parla di sicurezza, in un sistema come il nostro, non si può trascurare l’impegno degli organi dello Stato che, nell’attuare regole a protezione del cittadino, sono spesso costretti a barcamenarsi in un nugolo di cavilli burocratici costruiti proprio in difesa delle libertà: Magistrati, forze dell’ordine e quanti altri preposti alla garanzia della nostra sicurezza, sembrano agire con l’uso di procedure ormai vecchie e con una metodologia poco risolutiva.

La risposta sta nel fatto che non si è ancora provveduto ad una vera riforma che possa rendere equilibrio al sistema di sicurezza dell'ordine pubblico..cioè ..nel Paese in cui regna di continuo il “troppo” in contrasto con il “poco” ... una certa inettitudine delle forze politiche procede pensando che ogni concetto di prevenzione sia un optional nel contesto di un sistema di libera democrazia.

Tagli e sacrifici imposti dall'Europa hanno infine dato il colpo di grazia a questo indispensabile servizio in favore della collettività.

Per ciò che riguarda l'occupazione e gli investimenti gettati al vento messi in evidenza in questo articolo da Domenico, non possiamo che dare la responsabilità ad una certa politica ed a quel suo “modus pensandi” insito nella classe odierna. Una politica che persevera nel ritardo di una essenziale riforma sulla burocrazia che risulta fatale per ogni possibile crescita del paese.

vincenzo cacopardo



un inarrestabile sfacelo....

La sensazione è precisa: quest’Italia è un Paese allo sfacelo.

Tra giugno e luglio ho percorso per lavoro l’Autostrada del Sole da Parma a Roma almeno otto volte. Non ho mai incontrato una pattuglia della Polizia Stradale. Anzi, nel tratto Bologna-Firenze, da qualche anno si poteva constatare che il divieto di sorpasso di camion e di autotreni era rispettato. Ora non più: poiché gran parte dei mezzi pesanti non hanno targa italiana (è noto che diverse migliaia di padroncini hanno «estero-vestito» i loro mezzi), i conducenti se ne fregano e occupano tranquillamente per chilometri la corsia di sorpasso. Ma l'aspetto più inquietante del caso è la totale assenza della Polizia stradale che, ormai, interviene solo in caso di incidente grave.
Anche la situazione dei furti in appartamento e in villa è peggiorata e di molto. Ora i più specializzati sono i georgiani che, insieme agli zingari, detengono il record anche in materia di efferatezza e di aggressioni inutili. La questione è semplice: attiriamo ladri. E non per carenze delle varie polizie di cui disponiamo: in un numero accettabile di casi i responsabili di questi reati vengono arrestati.
Ma la gestione giudiziaria di essi è molle, indulgente. Invece di tenere i ladri in galera e, possibilmente, buttare la chiave (anche per disincentivare questo genere di immigrazione specializzata), nel giro di una decina di giorni i delinquenti tornano in circolazione pronti a delinquere di nuovo e, avendo minacciato i già rapinati, a dare sfogo alla loro violenza bestiale.
Certo, l’autorità giudiziaria è inefficiente per definizione, ma il complesso delle norme buoniste che governa il crimine è inidoneo a contrastarlo. Anzi, come abbiamo detto, un’analisi comparata di pene e condoni, fa ritenere l’Italia il Paese più indulgente d’Europa.
Di sbieco ricordiamo che questo andazzo è estremamente frustrante per gli operatori della Pubblica sicurezza, sempre sull’orlo di durissimi procedimenti giudiziari, mai sugli scudi di un apprezzamento reale e verificabile da parte di coloro che giudicano i delinquenti che popolano la Nazione.
In questo disastro dei fondamentali dell’ordine pubblico, ci si mette pure il più elevato giudice d’Italia: la Corte costituzionale.
Come si si trattasse di un organismo lontano mille chilometri dalla realtà concreta (che è una realtà di difficile gestione, di risanamento coordinato con le autorità europee, di tagli e sacrifici distribuiti tra lavoratori e imprenditori) senza alcuna specifica attenzione alle conseguenze delle decisioni, la Corte, in questi ultimi mesi, ha inanellato una serie di sentenze che hanno dato un colpo mortale alle finanze pubbliche: i vari regimi di blocco delle crescite retributive sono stati dichiarati in tutto o in parte incostituzionali, senza apprezzamenti giuridici delle conseguenze su precetti costituzionali, della mancanza di inflazione (causa tecnica delle progressioni automatiche), dell’emergenza debito e dell’emergenza di bilancio. Il medesimo blocco dei contratti degli statali è stato giudicato incostituzionale, dimenticando che un contratto è il negozio giuridico che deriva da un libero confronto tra almeno due parti. E, in questo caso, una delle due, lo Stato è stata costretta a definire con la legge di bilancio la propria impossibilità ad aderire a una qualsiasi crescita degli oneri per stipendi della burocrazia.
Senza volere esprimere alcun giudizio, constatiamo che questa Corte è presieduta da un magistrato ordinario.
L'autorità giudiziaria, peraltro, usa, come un solerte impiegato delle poste addetto alla timbratura dei francobolli finisce, timbrare tutto ciò che gli capita a tiro, così molte corti si comportano di fronte agli eventi della vita quotidiana, usando il loro potere come un «juke-box» nel quale inserire la fattispecie e dal quale automaticamente fare uscire una sentenza devastante per l’ambiente lavorativo, sociale ed ecologico di riferimento. Occupazione a picco, stabilimenti strategici chiusi, investimenti gettati al vento: nulla importa, solo la cieca applicazione della norma, di norma generica.
C’è una responsabilità della politica in questa situazione: senza parlare della ministra Severino, onusta di glorie professionali e di discutibili decisioni governative, ricordiamo il continuo inserimento nel codice penale di nuovi reati, dalle definizioni, in alcuni casi, così labili da indurre qualche bravo e onesto operatore di giustizia ad acchiappare chi gli capita a tiro, forte di una discrezionalità quasi assoluta. Un ampliamento delle fattispecie attuato con l’inspiegabile consenso di Confindustria, mai scesa sul terreno della contestazione dell’arbitrio fatto legge che regola molte attività umane e imprenditoriali.
Lo sfacelo riguarda, quindi, anche il governo e la politica.
Decine di gruppetti sono in movimento per contestare qualsiasi cosa accada in area di governo. Lo scopo non è quello di impedire qualche scempio, qualche errore, qualche decisione inaccettabile. L’unico scopo che anima le minoranze del Pd, il Movimento5Stelle e gli altri contestatori è uno solo: costringere alla resa Matteo Renzi. Anche se non sanno cosa e come fare dopo, pensano che, come in passato, l’Italia accetterà supinamente ogni nefandezza, ogni radicalismo, ogni ritorno a formule deprecabili.
Abbiamo criticato e critichiamo Renzi: ma consideriamo inaccettabile il metodo delle congiure e delle pregiudiziali, quando è in gioco uno stretto passaggio dal disastro alla sopravvivenza.
Certo, Matteo Renzi non è il politico di cui avevamo bisogno. È, però, l’unico dirigente di partito che ha saputo riporre in soffitta argomenti e uomini del passato, avviando, tra mille contraddizioni, errori e passi indietro, un processo riformista che inciderà su alcune delle rendite di posizione che paralizzano l’Italia.
Più rimarremo ancorati a polemiche senza senso (quella sulla scissione di Forza Italia realizzata da Verdini) meno ci sarà la possibilità di andare avanti con le difficoltà che sappiamo nella riparazione dei tanti sfaceli che si vedono in giro.
E lo scontro politico tra Orfini e Renzi è il caso emblematico della deriva autolesionista che attraversa il Paese e, in esso, il Pd: il prezzo è Roma, la preda uno dei due.
Domenico Cacopardo


nuovo articolo di Domenico Cacopardo su Marino

Oggi, si capirà qualcosa di più, rispetto a ciò che s’è capito su Roma e sul suo sindaco Ignazio Marino. Un professore universitario che, per ragioni mai esplicitate, ha abbandonato l’ambito ruolo di capo di dipartimento in un centro ospedaliero americano (Philadelphia) per abbracciare la politica e il Pd.
Ma già è emerso abbastanza, soprattutto nell’ultimo week-end.
Infatti, sembra chiaro agli addetti lavori che lo scontro in corso non è tra Renzi e Marino, ma tra Renzi e Orfini, il giovanissimo presidente del Pd, commissario del partito romano.
Quando è esploso il caso Roma, Orfini, capo di una delle frazioni exDS, alleato di Renzi, è stato incaricato di mettere a posto il partito della capitale, investito, come il comune, dalla tempesta denominata «Mafia capitale», consistita in una raffica di arresti, di avvisi di garanzia e di sospensioni dagli incarichi pubblici.
La «ratio» e i limiti della scelta di Orfini come risanatore del partito, risiedeva nel suo essere espressione diretta e (relativamente) nuova della realtà capitolina, dopo esperienze di base compiute nella storica sezione Prati e un’elezione in Parlamento ottenuta proprio a Roma.
I limiti della scelta erano costituiti proprio dalla stretta correlazione tra il commissario e il mondo politico che doveva «normalizzare».
Sostengono molti che Orfini s’è mosso bene, coinvolgendo nell’analisi dei vizi del sistema delle sezioni di Fabrizio Barca, figlio di un importante dirigente comunista, estraneo però al partito e al suo tran-tran romano.
La vicenda ha, però, preso una brutta svolta quando Renzi s’è azzardato a dichiarare –più o meno- che Ignazio Marino era giunto al capolinea.
Orfini ha reagito immediatamente e ha cominciato a spendersi in favore del discusso sindaco, allo scopo dichiarato ed evidente di sostenere l’amministrazione in essere rinviando il più possibile un appuntamento elettorale che per il Pd potrebbe significare una clamorosa sconfitta.
Probabilmente, il primo ministro non s’è subito reso conto che si stava innescando un confronto nel quale la testa in palio non era, appunto, quella di Marino, ma la sua, dato che se le sue imprudenti dichiarazioni non avessero avuto effetto, nell’ircocervo democratico, un po’ exPci, un po’ exDc, la sua autorità e, peggio, la sua autorevolezza avrebbero subito un drastico tracollo. Tale, in definitiva, di riaggregare, intorno a Orfini, tutte le minoranze interne e, soprattutto, la palude degli incerti, accorsi in soccorso del vincitore Renzi, ma pronti a mollarlo se un altro uomo forte, con serie possibilità di «vincere» il partito fosse emerso.
È quindi vitale, per comprendere cosa accadrà in politica nei prossimi sei mesi, osservare quale sarà l’evoluzione del caso Roma e vedere se, col sostegno di Orfini, Marino sopravviverà o altrimenti crollerà, lasciando il campo ai renziani di tutte le ore.
Sullo sfondo, ma non tanto, c’è la figura di Franco Gabrielli, prefetto di Roma e autorità cui competeva tirare le somme di un’inchiesta amministrativa attivata subito dopo il manifestarsi dello scandalo.
Con la cautela del funzionario consumato (e del politico capace di sceverare gli interessi in campo), Gabrielli ha trasmesso al ministro degli interni una relazione che non poteva non contrariare il suo sponsor Renzi.
Se, infatti, quest’ultimo si attendeva un rapporto esplosivo tale da giustificare il commissariamento del comune, si sbagliava. La relazione Gabrielli, pur evidenziando le magagne capitoline, sosteneva che Marino era al di fuori del malgoverno e della corruzione. Del che nessuno, in verità, dubitava.
Ciò che la città imputa al suo sindaco è invece un atteggiamento ondivago, incapace di scegliere cosa fare e con quale urgenza, come disporre e realizzare un’ampia purga della dirigenza, insomma quel cambio di passo che era lecito attendersi dopo la devastante esperienza Alemanno.
Perciò, in questa partita che si gioca su più tavoli contemporanei, occorrerà che l’inchiesta e il rapporto Gabrielli trovino la conclusione politica amministrativa che sembra profilarsi: censure aspre che non investono il sindaco e rendono impossibile il commissiariamento.
Insomma, Gabrielli ha mostrato al presidente del consiglio che la realtà non può essere forzata per aiutarlo a realizzare i propri desideri politici e che la pubblica funzione attribuitagli sarà esercitata «ratio veritatis» non secondo la sua utilità.

Almeno, a oggi, queste sembrano le coordinate con cui si può valutare lo stato dell’arte. Coordinate non felici per la politica (azzardata) di Renzi.
In questo gioco, allo stesso tempo raffinato e cinico, chi ci rimette è Roma. Sono i romani. Alle prese con un’amministrazione inesistente, talmente legata al passato (a dispetto delle affermazioni della relazione Gabrielli) da suggerire all’assessore al bilancio Silvia Scorzese di motivare le proprie dimissioni con (tra l’altro) il permanere dell’andazzo di affidare direttamente, senza gara, forniture e lavori. Infatti, secondo la dimissionaria, gli uffici romani lasciano tranquillamente scadere i termini per avviare le procedure concorsuali, in modo da essere legittimati a disporre la continuazione dei vecchi contratti dei vecchi appaltatori.
C’è un particolare inquietante: se è vero (e non c’è ragione di dubitare) ciò che sostiene la dottoressa Scorzese, avremmo una evidente smentita dell’affermazione che, con Marino, sarebbe cessato il vecchio andazzo.
Insomma, un pasticcio inestricabile, nel quale le furbizie prevalgono sulle esigenze della città.

Domenico Cacopardo

28 lug 2015

Congetture spropositate in un clima ormai rovente



Il caso Crocetta sembra non essersi concluso ed appare tutt'ora rimasto appeso in aria.. in attesa di riscontri ed altre notizie che possano ofrire più chiarezza all'accaduto. Nessun'altra dichiarazione da parte dell'Espresso..e ciò ha offerto al Presidente della regione Sicilia la libertà di esprimere tutto il suo disaccordo sui metodi usati da una certa stampa. Crocetta ha finito persino col piangere ed autocommiserarsi per la manovra bassa e faziosa studiata al fine di farlo fuori dalla poltrona di governatore del regno siciliano.

Ma sono in molti oggi ad ostentare pettegolezzi e finire con l'esprimere alcune congetture in proposito, poiché la suddeta storia tanto astrusa e quanto mai incomprensibile... non sembra trovare alcuna spiegazione.

Il più stravagante tra i sospetti è quello che gira nei ristretti ambienti in cui il pensiero politico si spinge a legarsi ad eccentriche strategie. Sono teorie che potrebbero anche potersi prendere in considerazione e che non possono che riportarsi de relata: In tutto questo piano si presuppone possa esservi un disegno voluto dallo stesso Governatore al corrente di questa registrazione già secretata da parte della procura. Per porre la sua figura (in fase calante) su un piano di immagine superiore...si pensa che Crocetta possa aver congegnato un piano al fine di costruirsi un alibi vincente...potendo così dimostrare di essere una vittima di un sistema dei Media e ricavandone al contrario maggior consenso. La notizia all'Espresso potrebbe infatti essere stata inviata dalla sua cerchia..non suffragata da prove certe, ma supportata da un ambiente in cui il presidente stesso potrebbe essere stato il vero portatore di palla. Una notizia che successivamente sarebbe stato facile smentire, ma che avrebbe offerto l'assist avvelenato perfetto.. intrappolando il giornale Espresso in una trama dalla quale risulta tutt'ora difficile venir fuori. Ma si sollevano ulteriori incertezze in proposito che lasciano dubbi su questa eccentrica ipotesi.. vista l'amicizia di Crocetta col suo medico Tutino che, in tal modo, sarebbe stata usata a suo discapito. Tutte le congetture in proposito non trovano ancora oggi una motivazione facile da comprendere. Ma se..invece.. esiste questa registrazione telefonica ..perchè non viene fuori?
Naturalmente non si possono sposare in pieno le tante teorie che giornalmente prendono corpo sulla telefonata di Crocetta.. se non vengono sostenute da prove.. Lasciamo, perciò, ai lettori di questo blog la possibilità di pensare e riflettere su ogni altra possibile teoria in proposito su di un fatto tanto inquietante ..quanto strano ed ancora del tutto irrisolto.

Tuttavia.. non possono esservi dubbi che la singolare teoria sopra esposta.. è il risultato dei veleni che si insinuano nel corso di questa tormentata legislatura. Viene fuori dagli ambienti ostili di una politica regionale ormai allo sbando che avanza in modo sregolato nel percorso istituzionale che vede contrapposizioni interne negli stessi partiti e che non potrà più offrire spazio ad un percorso politico più lineare ed utile. Al di là di un probabile prossimo default finanziario, questa regione non può più insistere nell'inseguimento di un percorso così poco felice per paura di nuove elezioni che potrebbero vedere la vittoria del mov 5Stelle.
vincenzo cacopardo