23 giu 2015

La voce di MGO sulla Sicilia


La parola al presidente del movimento nazionale gente onesta
                                                                                


IN SICILIA SI PARLA SEMPRE AL FUTURO, MA NON SI RALIZZA ALCUN FUTURO”

Nell'isola proseguiamo da soli ma non ci opponiamo a priori alla possibilità di legarci a nuove forze politiche locali che la pensino come noi..Siamo aperti al dialogo con altri Movimenti con i quali portare insieme quella ventata d'aria fresca indispensabile per il cambiamento di una politica locale che pare far soccombere la bella Trinacria”


Non sembra esservi alcuna strategia politica nella conduzione della politica siciliana del governo Crocetta; questa è la nostra lettura:
Mentre si rimane in attesa di un ennesimo vertice di maggioranza in una, quanto mai, lacerata coalizione che sostiene il governo Crocetta, non si è in grado di dare forza alle essenziali riforme e leggi. Nella Sicilia politica si parla sempre al futuro dando continue speranze ..ma mai utili progetti, intuendosi come ormai anche l'attuale maggioranza risulti più che mai debole e priva di poter procedere: Una ulteriore legislatura fallimentare nel percorso politico di un governo che Crocetta ha sempre imposto malgrado le difficoltà pur di dimostrare che una amministrazione esiste.
Abbiamo assistito a veritieri fenomeni di vendite di voti attraverso particolari favoritismi con dossier ancora in mano alla magistratura che indaga sui personaggi politici coinvolti...abbiamo potuto constatare come l'attuale presidente di una Regione a pezzi continui indefesso ad operare con una governabilità approssimativa ed approssimata.. pur non avendo mai una solida maggioranza... ed infine, ancor peggio, abbiamo la sicurezza di percepire che non si ha la voglia di far decadere l'attuale presidente per questioni chiaramente legate a comodi interessi di poltrone.
Nei giorni a seguire è probabile che avremo da assistere ad altre sceneggiate..e la Sicilia appare proprio il terreno adatto per un'opera teatrale che non sembra aver mai fine. MGO.. con il suo innato senso di integrità.. si prepara ad intervenire nella realtà politica siciliana anche cercando giuste alleanza e riscontri verso chi sente il dovere di intervenire a favore di una società civile ormai quasi sottomessa all'arroganza di una politica. 
G.Prete 
presidente e fondatore MGO



20 giu 2015

un' osservazione su un articolo di Domenico Cacopardo

Ho sempre sostenuto l'ingegnosità che ha accompagnato nel passato la nostra Nazione e ciò che sorprende è proprio il fatto che il nostro Paese non riesca più a metterla in luce!
Non si avvisa più un impegno di ricerca verso la genialità e le idee, ma si continua a perseverare succubi di una esterofilia e di un pragmatismo economico oltre ogni limite: Questo è.. in buona parte..ciò che impedisce da diversi anni il cammino in salita del nostro Paese.
La riflessione di Domenico Cacopardo è, perciò, fin troppo giusta e tocca un tema troppe volte affrontato:- Senza ingegno non c'è qualità.. e senza qualità sparisce l'essenziale energia che dà forza al nostro Paese ..

Non bisogna farsi dirigere da un'economia..ma guidare l'economia..non bisogna sottomettersi ad un regime di fiscalità.. ma indirizzare in modo equilibrato il fisco! L'uomo politico capace dovrebbe imporsi e reagire e.. non rimanere succube ed incollato al barroccio di un sistema senza condurne la guida: non è proprio di determinismo che si ha bisogno, ma di carattere, forza d'animo e volontà!

Quello a cui abbiamo assistito in questi ultimi anni è stato, oltre ad una vera incapacità di far politica di chi non ha saputo leggere in lungimiranza, la sottomissione oltre limite a parametri economici e principi fiscali che hanno completamente offuscato ogni altro cammino in direzione di una crescita qualitativa. 

Mi permetto di far osservare al cugino consigliere Cacopardo che questo è avvenuto anche nel campo delle riforme politiche.. dove si è pensato stoltamente che, riducendo al massimo e semplificando ogni problematica, si potesse risolvere il nodo dell'andazzo politico-istituzionale. Ricordiamoci che tutto il nostro sistema sociale parte dalla politica e che... se il metodo rimane quello di semplificare come principio comune, non ci possiamo poi aspettare... nessun risultato qualitativo.

Ma è soprattutto quello che Domenico scrive in riferimento ai "ruoli" che attira la mia attenzione: “Nella ricostruzione di cui avremmo necessità, l’imprenditore dovrebbe fare l’imprenditore, lo Stato lo Stato e il pubblico ministero svolgere le inchieste necessarie per consegnare al giudice elementi di giudizio”.Un dialogo già diverse volte affrontato dal sottoscritto che dovrebbe spingere alla ricerca di un più ragionevole processo sulle differenti funzioni istituzionali: Una più distinta differenziazione dei ruoli in politica...rimane la base di partenza di un principio per mettere meglio a fuoco gli aspetti qualitativi e far eccellere chi nel campo merita.
Vincenzo cacopardo



Riflettendo sui nostri giorni, appare evidente che stiamo vivendo il dopoguerra di una guerra ancora in corso. Una guerra perduta, naturalmente, visto il regresso del Pil e il deperimento del Paese certificato dai fondamentali dopo sette anni di crisi.
In fondo, c’è anche stato un 25 luglio (1943 caduta di Mussolini e del fascismo) e si è verificato tra il luglio e il novembre 2011, tra la stretta dell’Unione nei nostri confronti, la dichiarazione golpista del duo Trichet-Draghi, le dimissioni di Berlusconi e la nomina di un «commissario straordinario» gradito ad Angela Merkel, Mario Monti. L’unica fondamentale differenza tra il «dopo 25 luglio» e il «dopo novembre 2011» sta nel fatto che il partito rimosso dal governo, il Popolo della libertà, ha partecipato alla maggioranza parlamentare che ha sostenuto il gabinetto Monti.
Come se, dopo il 25 luglio 1943, il governo Badoglio fosse stato sostenuto anche dal partito nazionale fascista e avesse avuto, al suo interno, ministri indicati da Mussolini.
Questo sostanziale continuismo, dispetto dell’austerità di Monti e delle sue leggi ispirate dall’Unione europea, segna, invece, una indiscutibile similitudine col continuismo post-fascista. L’epurazione (una barzelletta) e l’amnistia voluta da Palmiro Togliatti consentirono al personale della pubblica Amministrazione forgiatosi nel deprecato ventennio di continuare a gestire la cosa pubblica con le leggi e i comportamenti del passato. Ovviamente, mano a mano che si andava avanti, la legislazione veniva aggiornata alle esigenze dell’impianto costituzionale democratico e venivano introdotti istituti che presidiavano in modo irreversibile la nuova condizione civile e politica. Innanzi tutto, il Consiglio superiore della magistratura che, da organo consultivo del governo, costituitosi nel 1907, diventa nel 1958 organo di autogoverno, garanzia dell’indipendenza dell’istituzione e dei suoi singoli componenti. E, subito dopo, la controversa (ormai) realizzazione delle regioni (1970).
Ora, se stiamo uscendo da una guerra (perduta), occorrerebbero governi e governanti consapevoli della situazione e votati all’avvio di una legislazione di emergenza per la ricostruzione.
Già, la ricostruzione.
Si trattò di una grande operazione pubblica e privata nella quale milioni di italiani furono impegnati per un decennio, riuscendo non solo a restituire al Paese le strutture fisiche ed economiche di prima della guerra ma a mettere anche le basi di quello che nel 1960 fu definito il «miracolo economico italiano», anticipatore di quello tedesco. In diversi campi, l’Italietta del dopo guerra seppe mettere le vele al vento e correre insieme alle nazioni più avanzate. Pensiamo alla rete autostradale, costruita ben prima di quella francese, pensiamo all’energia nucleare, per la quale con il Cnen, presieduto da uno scienziato di chiara fama internazionale come il prof. Felice Ippolito, ci insediammo all’avanguardia, pensiamo alla cantieristica, alla siderurgia con il terzo centro (Taranto) con la progettazione di un quarto (Gioia Tauro) e l’idea di un quinto (Belice). Pensiamo al business energetico dell’Eni dello spregiudicato capitano d’industria Enrico Mattei, e all’aeronautica, in collaborazione con le aziende americane e per merito degli elicotteri Agusta.
Un fervore generale accompagnò, quindi, la visione dei governanti trasformando quegli anni in una specie di corsa all’oro del West, liberi da lacci e lacciuoli, capaci di esprimere tutte le potenzialità che l’ingegno italiano aveva in sé da sempre. Tanto che la meccanica italiana era diventata un plus in tutti i mercati internazionali, giacché coniugava costi contenuti, manutenzioni facili e prestazioni eccellenti.
Su questo punto, oggi, non ci sono somiglianze, anzi viviamo l’emergenza e il percorso di ripresa in modo completamente opposto.
Un solo esempio per tutti: il decreto legislativo 8 giugno 2001 n° 231, che ha stabilito le responsabilità da attribuire agli amministratori di società private ed enti per i reati commessi dagli amministratori. Da allora, al ritmo di uno o due reati l’anno, tutto lo scibile penale è finito nel medesimo calderone, aggravando il peso e il costo di una gestione burocratica degli eventi delittuosi che possono coinvolgere gli amministratori medesimi.
In sostanza, lo Stato italiano s’è comportato nella materia dei reati in modo simile alla fiscalità. Per il fisco, il datore di lavoro è un sostituto d’imposta, nel senso che deve applicare in ritenuta la tassazione del dipendente. Dalla 231 in poi, lo Stato è andato imponendo all’imprenditoria italiana una serie di cautele, di comportamenti, di procedure volti a sostituire l’impresa allo Stato nella puntuale prevenzione di fatti di rilevanza penale.
I costi dell’operazione sono significativi e molto.
Anche perché il sistema introdotto ha stabilito, di fatto, un’inversione dell’obbligo di prova, trasferendolo dal pubblico ministero all’impresa un componente della quale sia indagato. Un’operazione chiaramente incostituzionale.
Il paradosso è che è stata proprio la Confindustria di questo quindicennio a sostenere, con l’aiuto di uno sterminato corpo di consulenti, l’allargamento costante degli ambiti della 231, nell’illusoria presunzione che questo sistema possa attenuare l’attenzione e la perseguibilità delle fattispecie di reato che fossero, anche inconsapevolmente, poste in essere.
Nella ricostruzione di cui avremmo necessità, invece, l’imprenditore dovrebbe fare l’imprenditore, lo Stato lo Stato e il pubblico ministero svolgere le inchieste necessarie per consegnare al giudice elementi di giudizio.
La confusione dei ruoli, insieme a una caotica congerie di norme statali, regionali e comunali, gestite da cacicchi e «gauleiter» ottusi o corrotti, spesso ottusi e corrotti, si frappone a quello slancio che, latente, potrebbe animare la ripresa dell’Italia.
Domenico Cacopardo


18 giu 2015

Troppa rigidità e poca eufonia.. nello sviluppo di un'Europa in crisi


di vincenzo cacopardo

Per comprendere meglio i poteri della Commissione Europea dobbiamo fare un piccolo escursus storico: Sappiamo che essa, trae origine dalla Commissione della Comunità Economica Europea che nacquè nel 1957 . Il primo presidente Hallstein, si impegnò per affermare l'autorità della Commissione e la sua autonomia dagli stati membri.

E' importante sottolineare che negli anni Settanta la Commissione e i suoi presidenti furono protagonisti in vari progetti di integrazione, tra cui quello dell'unione monetaria e della cooperazione politica. Ma malgrado dei piccoli successi, negli anni settanta, si dimostrò un relativo affievolimento sul precedente entusiasmo per il progetto europeo

Il progetto che comprendeva i governi europei venne, però, rafforzato dal riconoscimento di un nuovo “Consiglio d'Europa”

Nel 1985... il veto britannico portò alla nomina di Jacques Delors. Delors svolse tre mandati come presidente ed è sicuramente ricordato come uno dei più incisivi e carismatici presidenti dell'istituzione. Con Delors si riacquista quel prestigio un po' perso, ma anche la centralità ed il potere offerto alla Commissione europea. Si pensa che Delors, con agevolazione dello stesso Parlamento europeo, seppe risvegliare in certo entusiasmo per il progetto europeo dirigendo i passaggi cruciali dell'integrazione, anche con la creazione del mercato unico ai negoziati e dell'unione aconomica monetaria, affermando un modello di presidente come leader indiscusso della Commissione.

Da lì ad oggi.. con il trattato di Maastricht ..si potè assegnare allo stesso Parlamento un ruolo per la nomina sia della Commissione che del suo presidente: In quell'occasione si stabilì anche che il mandato quinquennale della Commissione dovesse cominciare entro sei mesi dallo svolgimento delle elezioni europee, legandolo, così, a quello del Parlamento.


Successivamente alla fine degli anni novanta, il trattato di Amsterdam diede nuovi poteri al presidente della Commissione, come quello di assegnare liberamente i portafogli ai commissari e di potere costringere i commissari alle dimissioni. E fu proprio Prodi il primo presidente della Commissione nominato dopo tali modifiche.
Vi fu poi all'inizio del duemila il trattato di Nizza che modificò le modalità di nomina del presidente della Commissione, richiedendo solo una maggioranza qualificata, rafforzando, in tal modo, lo stesso profilo politico del presidente della Commissione.
Nel 2009 il trattato di Lisbona obbliga per il Consiglio alla responsabilità del risultato delle elezioni europee per la nomina del presidente della Commissione: Da quell'anno si "elegge", e non si approva soltanto, un presidente designato.

Ma cosa fa veramente il presidente della Commissione?..Quali sono i suoi reali poteri?
Poteri fortissimi: Definisce gli orientamenti della Commissione; -decide l'organizzazione interna della Commissione per assicurare coerenza, efficacia e collegialità alla sua azione; nomina i vicepresidenti tra i membri della Commissione, (fatta eccezione per l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza) Inoltre...su sua richiesta... un membro della Commissione deve rassegnare le dimissioni.

Il presidente della Commissione ha dunque una posizione di supremazia all'interno dell'istituzione, dato che la Commissione agisce nel quadro degli orientamenti di cui lui ne controlla l'agenda politica. Per questa ragione e per i poteri della Commissione, il presidente della Commissione è in assoluto una delle personalità più influenti e potenti all'interno della casa politica Europea.

Il 28 giugno 2014 è stato designato da 26 capi di Stato e di Governo dei 28 Paesi membri dell'Unione europea come nuovo presidente della Commissione: È la prima volta che il presidente della Commissione viene scelto a maggioranza qualificata e non all'unanimità.

Questa piccola analisi storica riesce a farci comprendere quali enormi poteri vengono resi al presidente dell'attuale Commissione: Gli ampi poteri offerti a Jean Claude Juncker per la ripartizione delle competenze, l'assegnazione dei portafogli ai vari commissari ed il poter costringere i singoli commissari alle dimissioni... gli rendono una forza smisurata rispetto alla necessità di equilibrio..da costruirsi con giusti contrappesi.. di cui la politica Europea avrebbe bisogno.

Non v'è dubbio che oggi rimangono fin troppo rigide le posizioni della Commissione europea rispetto alle proposte avanzate dalla Grecia per il proprio piano di risanamento economico. La Commissione resta ferma in una granitica posizione che non promette nulla di buono ed invece di ricercare vie diverse in direzione di un risanamento graduale per i Paesi in stato di evidente difficoltà.. che studiano al loro interno una più logica via di crescita, non sembra promuovere aperture di maggior respiro: basterebbe guardare il viso implacabile di Juncker e di alcuni componenti..per rendersi conto di quanto, simili personaggi, rimangano inflessibili.. non assicurando altre propensioni nella lettura politica economica in un'ottica diversa..più in lungimiranza... proiettata a favore e per lo sviluppo di certi Paesi ormai costretti..che in realtà non possono avere altre alternative.

Al di là di una vera mancanza di una fattiva politica di integrazione che avrebbe dovuto seguire di pari passo la logica stessa dello sviluppo economico di tutti i Paesi in seno alla Comunità...(Paesi mai valutati per peculiarità storiche, culturali e specifica territorietà), la politica economica Europea, non può più assumere caratteristiche così rigide e severe, poiché ciò si rivolterà contro se stessa in diniego agli stessi principi sui quali avrebbe dovuto svilupparsi. Al contrario ..la sua politica dovrebbe esprimere una visione più aperta e larga..al fine di saper distinguere..differenziale ..discernere ed interpretare, con maggior armonia, le peculiarità territoriali dei Paesi che ne vogliono far parte.






17 giu 2015

Un commento su una interessante nota di Domenico Cacopardo

Questa nota di Domenico Cacopardo è chiara e condivisibile ed esprime il chiaro dramma di un esodo che sembrerebbe impossibile frenare.

Per dare maggior forza a ciò che ha messo in evidenza il cugino Domenico ripropongo la lettura di una parte di un mio argomento tratto da “Studio e Analisi” postato in questo blog già da tre anni.. dal titolo:
LO STATO, GLI EFFETTI SOCIALI DELLA MODERNIZZAZIONE E LA SICUREZZA

"Una giusta politica europea avrebbe dovuto tener conto dell’aspetto etnico culturale e delle diversità dei Paesi entrati in Comunità. Sembra scontato che solo in questi termini una vera Europa avrebbe potuto avere migliori opportunità di crescita più armonica e sicura.
Gli argomenti politici internazionali di grande attualità nel prossimo futuro saranno quelli legati all’ambiente ed al sovrabbondante numero di immigrati extracomunitari che tenderanno ad invadere con maggior forza i territori dei Paesi economicamente avanzati. Ovviamente i due problemi sono fortemente collegati tra di loro ed al tema di una sicurezza. Tutti sappiamo ormai che il nostro pianeta, oltre a subire un mutamento atmosferico condizionato dal progresso delle civiltà più evolute, deve affrontare questo forzato processo di coabitazione.  Sono problemi ormai conosciuti dei quali si discute abbondantemente e che coinvolgono da vicino il nostro Paese, ma anche in questo caso, ogni soluzione rimarrà ancorata a scelte di natura politica. Non valutati con attenzione nel passato ed adesso moltiplicati e sempre più difficili da risolvere, questi problemi, oggi quasi insormontabili, vedranno un mondo politico doversi esprimere in termini sempre più severi.
Può, come già avvenuto, una singola comunità più dell’altra impegnarsi ad accogliere una moltitudine di immigrati per lo più clandestini, senza avere le capacità recettive ed una adeguata assistenza igienica sanitaria? Può, questo evento, coinvolgere una singola parte del nostro territorio e non impegnare globalmente la nostra politica internazionale?
In qualunque caso, al nostro Paese è venuta a mancare un’azione preventiva che avrebbe dovuto tenere in considerazione già da tempo questo fenomeno in espansione ponendovi rimedi  attraverso atti prodromici mirati, sia in direzione di una politica di sicurezza territoriale, coinvolgendo anche l’Europa, che in direzione di un’utile politica di assistenza sanitaria
Chiari esempi di come sia venuta a mancare un’azione preventiva di studio politico e di come si sono voluti chiudere gli occhi di fronte ai difficili problemi della sicurezza che ne sarebbero scaturiti."

 di vincenzo cacopardo
settembre 2012

C’è un elemento che corrode alle fondamenta la posizione italiana sul tema immigrazione. Si tratta della colossale omissione di atti d’ufficio posta in essere dal ministro Alfano e dai suoi uffici.
Mi spiego. Le leggi in vigore, le leggi di questo Stato, non di altri paesi europei, fanno obbligo alle autorità doganali, di frontiera, di pubblica sicurezza di impedire l’accesso nel territorio nazionale a chi non ha diritto di entrarvi, essendo privo cioè di un valido passaporto, di un visto di ingresso quando necessario, o di un permesso di lavoro rilasciato, secondo le norme, da un’autorità diplomatica italiana all’estero, o, infine, di una ragione riconosciuta come l’asilo politico.
Partiamo dal fondo: per decidere se un tizio ha diritto o meno all’asilo, l’amministrazione dell’interno ci mette un anno e mezzo. L’analoga autorità tedesca due mesi.
Nell’attesa della decisione, di fatto, i richiedenti l’asilo politico sono liberi di muoversi nel territorio italiano, e visto che sono identificati, in quello comunitario.
Ovviamente, quasi tutti si disperdono e non se ne ha più notizia.
Dopo un anno e mezzo, se l’asilo politico viene concesso non c’è alcun problema tranne quello che avremmo un’altra bocca da sfamare e, visto che il lavoro è ancora merce rara, da assistere.
Se la decisione è negativa i casi sono due: se il richiedente viene «trovato» gli viene consegnato un provvedimento che gli impone di lasciare il territorio italiano entro sessanta giorni. Fine della pratica. Quasi. Se la persona è nel giro giusto, gli viene dato il nominativo di un avvocato che presenterà un ricorso al Tar. Questo si comporterà non come il tribunale di una nazione europea, ma come il tribunale dell’«isola che non c’è» e ci metterà non meno di due anni per assumere una decisione. Ovviamente inutile. Visto che un anno e mezzo di attesa del responso del ministero dell’interno e due anni di Tar fanno tre anni e mezzo, quando basta per fare perdere definitivamente le proprie tracce.
Quindi, in caso di bocciatura dall’asilo politico, il tizio scompare e, senza alcun titolo per rimanere in Europa, vaga al suo interno allargando l’area del lavoro nero o di quello illegale (legato cioè ad attività criminali).
In tutti gli altri casi, l’Italia ha l’obbligo, derivante dal diritto interno e da quello europeo, sancito varie volte a Dublino, di prendere gli illegali e «buttarli fuori dal territorio».
È, quindi, evidente che l’Italia opera in violazione di legge e non c’è una ragione che è una perché un qualsiasi «partner» spenda i soldi dei suoi contribuenti per sopperire alle incapacità, alle inefficienze e, diciamolo, alle ruberie italiane.
Sulla cruda realtà dei fatti e del diritto che li disciplina, è stato steso un largo velo di disinformazione. Non si chiarisce mai nelle cronache televisive anche Rai, la distinzione tra immigrati illegali e (aspiranti) rifugiati, in modo da indurre gli italiani a ritenere che le decine di migliaia di ingressi siano riferibili a situazioni di guerra o di persecuzione politica.
Certo, ripugna a un cittadino medio l’idea di non poter soccorrere persone che fuggono dalla fame. Ma, certamente, ognuno pensa che sarebbe meglio mandare cibo laddove manca, nei paesi dell’esodo, piuttosto che elargire un completo mantenimento da noi. Un mantenimento all’interno del quale ci sarebbe una sorta di diritto al lavoro, teorizzato anche da papa Francesco, che non indica, però, chi ha il dovere di fornirlo, il lavoro.
Peraltro, ripugna altrettanto questa non pacifica invasione del proprio Paese, alle prese con un problema dalle dimensioni bibliche. Le cronache di ogni giorno raccontano che gli immigrati (illegali o richiedenti asilo politico) hanno un’idea sbagliata dei loro presunti diritti. Mi correggo: hanno un’idea giusta del lassismo italiano, delle forze di polizia con le mani legate, incapaci di intervenire in qualche modo (vedi caso Ventimiglia). E questo, a dire il vero, non è imputabile al ministro dell’interno, ma a un sistema giudiziario pregiudizialmente avverso alle forze dell’ordine, normalmente sul banco degli imputati per ogni intervento «forzoso».
Ora, detto ciò che è da imputarsi al governo, occorre ricordare ciò di cui non abbiamo colpe dirette: mi riferisco alla Libia, alla Siria e alla nascita dell’Isis. Un complesso di disastri direttamente attribuibili a Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Rispetto a essi, è mancata a livello internazionale l’azione politica del nostro Paese, intimidito e succubo nel suo imberbe «leader» e, perciò, incapace di utilizzare tutti gli argomenti (legali) di cui disponeva e dispone.
Certo, siamo giunti al limite, alla soglia che non si può varcare. Le recenti elezioni hanno dato un chiaro segnale al Pd e al suo leader.
Il momento è duro e ci vorrebbero uomini forti, capaci di paralizzare a tempo indeterminato l’attività dell’Unione sui tanti dossier in corso.
Il pessimismo è, però, d’obbligo e non tanto per l’inesistenza del personale politico scelto da Renzi e inviato in giro per i ministeri e per l’Europa, quanto perché scegliendo degli ectoplasmi, il premier ha dimostrato platealmente di non comprendere la natura e la complessità delle questioni loro affidate.
Poiché si tratta di un giovane supponente, sarà difficile che riconosca l’errore e che vi ponga riparo.
Domenico Cacopardo







16 giu 2015

Una nota al nuovo commento di Domenico Cacopardo "ci vorrebbe Bruto"

Francamente..e con tutto il rispetto dovuto .. non so come si possa definire la Boschi capace e con un complesso di doti...se non sicuramente quelle estetiche. Quella che ho definito una "addormentata fra i Boschi" più che una studiosa di principi innovativi ..non è mai parso.. abbia centrato il vero problema della politica di oggi proseguendo in un monotono dialogo: Non credo che abbia mai espresso un suo preciso pensiero al di là delle scarse idee costruite prevalentemente su un monolitico e vacilloso sistema bipolare forzato..tra l'altro.. da una serie di fiducie imposte. Quali in realtà appaiono le sue idee circa il rinnovamento dei Partiti..l'importanza sul delicato conflitto dei ruoli..i rapporti tra le istituzioni...non è dato ancora sapere...Infine si esprime sempre monocorde ..ripetendo volutamente un pensiero dettato dal suo sommo leader: per queste stesse ragioni.. sarebbe impossibile poterla vedere capace di un'azione alla Bruto!

Quello che sicuramente dà rabbia e fa dubitare..mettendo in crisi il sistema della politica... è il continuo ricercare la “figura capace” . E' il fatto che non si possa uscire da questa logica dell'”unico”...

Renzi rappresenta.. oggi.. l'icona di questo modo di pensare ..e le conseguenze non potevano che essere tali risultati! E' stato il risvolto annunciato di chi continua a dare forza alle figure rispetto al dialogo, alla ricerca, ai programmi, alle idee e ad ogni logica funzionale propedeutica.

La politica di oggi non può più soggiacere alla ricerca di un'unica figura..ma alla ricognizione delle iniziative attraverso la guida e la collaborazione di tanti in seno agli stessi Partiti, i quali dovrebbero divenire veri e propri luoghi per la ricerca di nuove idee: una riforma che assieme alla separazione dei ruoli...(proprio per le incapacità di chi non ha saputo leggere in prospettiva).. avrebbe dovuto essere prodromica a tutte le altre.

Non è un Bruto che serve!..ma, di sicuro, un nuovo modo di pensare ad una diversa politica ed al metodo di interpretarla..

Per quanto riguarda Berlusconi..non si riesce a comprendere come ancora si possa pensare ad una sua possibile ripresa in politica, quando... sapendo ben leggere i risultati delle elezioni.. rimane più che logico intuire che la sua tenuta a galla derivi esclusivamente dalla crescita di Matteo Salvini.
vincenzo cacopardo




Domenica sera, a tavola, davanti a un piatto particolarmente invitante, il mio amico se ne uscì con questa frase: «Ho letto Scalfari: ci vorrebbe Bruto.»
Intendeva dire che, per accantonare il boy-scout fiorentino, ci vorrebbe qualcuno che lo rimuovesse dalla scena politica. Quindi, un Bruto.
Gli risposi che, nella realtà del Parlamento costruito nella maggioranza da quel Metternich che è Bersani, non c’è persona che possa assumere l’onere e l’onore di determinare la chiusura dell’avventura Renzi e di rimettere in modo la politica nazionale.
«Solo Maria Elena», concluse pensieroso il mio amico, mentre affondava la forchetta.
Si riferiva, naturalmente, a Maria Elena Boschi l’unica persona emersa dalla palude renziana con un complesso di doti che la mostrano migliore del suo scopritore e mentore.
E, in effetti, guardandosi in giro, il mio amico non aveva torto.
Certo la Boschi, difficilmente, sarà Bruto e Bruto è un soggetto storico e letterario senza alcuna attualità.
Se non c’è Bruto, dobbiamo tenerci il piccolo Cesare di Firenze, talmente impari al compito che s’è assunto da indurre gli osservatori benevoli, anche i più benevoli, ad allargare le braccia.
L’abbiamo scritto tempo fa, che Matteo Renzi era condannato a vincere. Il risultato negativo delle regionali (con il successo di gente come Emiliano, nemico giurato del premier e di De Luca, non ascrivibile al nuovo corso) e quello molto deludente dei ballottaggi comunali ci danno la misura della crescente zoppia del giovane leader.
Una conferma viene dalle improvvise difficoltà del senatore Verdini di formare un gruppo di amici del «premier», allargando (e consolidando nei confronti dei mal di pancia degli Ncd) la sua maggioranza: s’era parlato di almeno 30 parlamentari, oggi sembra che non raggiungano i 10. È il combinato disposto della perdita di credibilità di Renzi e dell’imprevisto recupero di Berlusconi, attestato sul 10% e nient’affatto fuori dal gioco politico. Ne deriva altresì che l’armata Brancaleone dei renziani risulta oggi molto meno solida di ieri e pronta, in numeri importanti, a rivolgere altrove le proprie attenzioni.
Se in Italia, la comunicazione di Palazzo Chigi mostra la corda e rappresenta un leader sempre più arrotolato nella propria vuota affabulazione, figuriamo cosa è accaduto a Bruxelles e a Washington.
Insomma, l’idea che il governo sia presieduto da un cialtrone che ha esaurito la propria dote di panzane è talmente diffusa da renderlo immobile, di fronte a problemi più grandi delle capacità del gabinetto di maneggiarli.
Ora, Renzi annuncia, sull’immigrazione, un piano B e, immediatamente, i notisti dei «talk-show» lo irridono e irridono alla sua annunciata e provvisoria riservatezza.
Poi, sono filtrate le immancabili indiscrezioni: si tratterebbe del blocco dei pagamenti all’Unione europea e della denuncia unilaterale dell’«embargo» nei confronti della Russia.
Due grosse sparate, poco credibili a Roma, a Milano e all’estero.
Infatti, in un anno e mezzo (quasi) Renzi ha avuto 100 occasioni per rivendicare la propria autonomia, mettendosi di traverso a decisioni comunitarie spiacevoli per il nostro Paese. Non l’ha fatto. La sua inesperienza e la sua immaturità lo hanno indotto a baciare sempre la mano che lo picchiava, quella di Angela Merkel, e a scodinzolare davanti a Francoise Hollande, anche quando, rompendo il galateo entrambi si vedevano e decidevano lasciando vuota la nostra sedia.
Ci sono state 100 occasioni nelle quali un primo ministro degno di questo nome avrebbe potuto bloccare i processi in corso e rivendicare un ruolo determinante per la politica dell’Unione.
Così sul dossier Russia. L’ultima occasione è stato il, G7 tedesco, nel corso del quale la voce dell’Italia non s‘è affatto sentita.
Certo, se il piano B è quello di cui parlano le indiscrezioni, vanno valutati spietatamente gli aspetti positivi e quelli negativi.
Matteo Renzi che non è giocatore di poker, al massimo di briscoletta ai tavoli della sua parrocchia, deve riflettere molto bene, prima di decidere.
Personalmente, non mi dispiacerebbe vederlo rompere il fronte occidentale, ritirare i nostri aerei «stricker» dai confini con l’orso moscovita e annunciare la riapertura degli scambi commerciali con Putin. Certo dovrebbe avere davanti ai propri occhi un quadro di certezze e questo glielo può fornire solo lo zar dagli occhi a mandorla.
Insomma, una decisione di questo genere non si può improvvisare come s’è sempre improvvisata ogni decisione del gabinetto che ci governa.
Poiché penso che l’«embargo» è destinato a cessare abbastanza presto (e amici americani mi inducono a ritenere che l’«escalation», 1200 carri armati e 5000 uomini sui confini sia proprio nell’ottica reaganiana di ottenere un passo significativo dall’avversario in modo da regalare un decente motivo di revoca delle sanzioni) credo che un autonomo passo italiano non sarebbe il detonatore di un aggravamento della crisi, ma un disinnesco della stessa.
Ma, di fondo, rimane le sciocca supponenza di Matteo Renzi, talché qualsiasi iniziativa venga immaginata o annunziata soffre «ab origine» della scarsa credibilità del proponente.
Perciò, la svolta, quando ci sarà, non sarà di Renzi, leoncino nelle stanzette del Nazareno, coniglio fuori da cortile di casa.
«Ci vorrebbe Bruto …»


Domenico Cacopardo

La promozione populistica che invade l'Europa

di vincenzo cacopardo
Il reddito di cittadinanza di cui si fa promotore Podemos in Spagna.. potrebbe avere il costo esorbitante di circa 150 miliardi di Euro. Possiamo, quindi, pensare che in un momento in cui la BCE ha dettato le sue limitazioni, sia impossibile l'attuazione di una simile proposta in ogni altro paese della comunità europea..come del resto appare impossibile anche per l'Italia. 
Ma quello che non si riesce a capire è il fatto di continuare a chiamarlo “reddito” dato che ogni reddito, nella realtà, dovrebbe intendersi come il frutto di una risorsa che matura, ma che in questo caso non esiste.
Podemos, dunque, come il Movimento 5S..pare aver impostato su questo un programma che è tutto l’opposto di quello delle istituzioni europee.
Per il fenomeno dei 5Stelle, il problema rimane fermo ad una costante critica sul sistema (critica sicuramente condivisibile) ma sempre priva di reali soluzioni alternative..tranne che la costante azione minuziosa di controllo ( da perniciosi ragionieri) sulle entrate e le uscite e gli stipendi di chi intrattiene una carriera politica...Mai vere proposte innovative sul sistema della politica e della salvaguardia di una democrazia! 
Prima di distruggere ed elevarsi a purificatori di un sistema..bisognerebbe ricercare le alternative con maggior impegno e più equilibrio... non inventandosi una quanto mai assurda democrazia diretta per compiacere la cittadinanza che ignora:- Lo stesso Grillo sa bene che... nella logica di un Paese in cui avrebbero diritto di voto milioni e milioni di cittadini, una fantomatica democrazia diretta sarebbe un assurdo modo di guidare il consenso che condurrebbe dritti verso l'assolutismo di chi è più astuto e capace nel manovrare..
Salvini..oggi.. appare il più apprezzabile per la logica dei suoi interventi..portandosi un consenso dovuto ad uno scontento palpabile sul fenomeno dell'immigrazione, difettando comunque anch'egli di quelle necessarie idee per le complicate e risolutive soluzioni...Una via sempre più facile.. quella del leader della Lega.. che trascina un popolo verso una sorta di liberazione da un impegno che per natura e realtà incombe nel nostro territorio. Un problema trascurato per l'ignoranza della tante forze politiche del passato che non sono state in grado di leggere in lungimiranza questo fenomeno che prima o dopo sarebbe esploso.
Vi è un nesso percettibile tra la politica espressa da Podemos, quella dei 5Stelle e quella della Lega di Salvini. Il nesso si identifica in quella chi io definirei una più che facile “Promozione Pubblicitaria Populistica” che questi Movimenti e Partiti sostengono per annebbiare la testa dei cittadini..azzardando successivamente.. proposte persino fantasiose, ma di effetto.
Tanti Movimenti e Partiti oggi nascenti... sembrano leggere la politica solo da questa angolatura, adattandosi alla logica più facile di una critica spinta dalle figure dei loro leaders capaci di conquistare l'animo degli accoliti attraverso una facile promozione populista.



interessante articolo di Domenico Cacopardo sulla Gazzetta di Parma

L’abbiamo sostenuto, credendo che l’impeto riformatore che lo animava bastasse a rimettere in moto il Paese e a risolverne i problemi.
Ci siamo sbagliati. «Hic et nunc», l’Italia deve registrare il fallimento e l’insufficienza del governo e del «premier» rispetto all’emergenza: Europa, immigrazione, Roma.
Dopo il precipizio berlusconiano, anche Renzi deve registrare la propria insignificanza comunitaria per assenza di peso e di idee. L’invio a Bruxelles dell’insistente Mogherini, un irrilevante semestre italiano di presidenza, la statuizione di una diarchia Germania-Francia, quando l’Europa era stata per decenni diretta da vertici triangolari con la nostra partecipazione e, infine, il tragico e inaspettato epilogo del «dossier» immigrazione definiscono il fallimento della politica italiana.
Le frontiere chiuse a Ventimiglia e al Brennero ci dicono che le furbizie (non identificare gli immigrati, in modo che non potessero esserci restituiti, una volta dispersisi per l’Europa, né sottoporli a un vero «screening» sanitario che farebbe emergere la presenza di malattie endemiche da tempo debellate) non hanno pagato e che il mix di inefficienza burocratica (sino a 2 anni per definire una pratica di asilo politico), di famelici sfruttatori del business e di insipienza politica ci ha condotti alla situazione attuale. Non possiamo né sappiamo chiudere le frontiere e dobbiamo quindi assistere il continuo arrivo di povera gente affamata, di cui solo una minima percentuale può essere classificata «rifugiato politico».
Il governo ha anche dimenticato che a Milano c’è un’Expo, che sarebbe dovuta diventare il punto di ritrovo di mezzo mondo e che è già sotto budget, e ha permesso che la stazione Centrale si trasformasse in un grande accampamento di disperati, fermi lì per il blocco alla frontiera austriaca. Come a Roma, alla stazione Tiburtina, quella delle lunghe percorrenze, s’è radunata un’altra massa di immigrati illegali.
Il tutto comporta un enorme problema igienico, dato che questa gente soddisfa alle proprie necessità corporali là dove si trova.
E non è vero che la responsabilità del disastro africano è la nostra, di noi europei. Brutalmente, va ricordato che sinché hanno governato gli europei, l’Africa è stata un continente abbastanza ordinato.
Tutte le parole detteci sull’Unione e sull’Onu sembrano svanire per un leggero colpo di vento. Del resto solo degli incapaci e degli impreparati potevano immaginare che i nostri «partner» avrebbero accettato di dividere con noi la marea che ci sta travolgendo.
E pensare ad azioni militari(incautamente annunciate), con conseguenti spargimenti di sangue, insostenibili per chiunque.
Infine, Roma. Non c’è il coraggio di commissariare il comune sommerso dalla corruzione e dall’inefficienza. Non c’è il coraggio di nominare un vero commissario al Giubileo (improvvidamente deciso in solitudine da papa Francesco), e si designa un coordinatore, in modo che al comando delle operazioni siano in due: uno all’acceleratore e l’altro al freno. Follie.
Continueremo, però, ad assistere a questo indecoroso spettacolo e a scivolare nel peggio. Nessun parlamentare vuole andarsene a casa e, quindi, alla fine, nel modo più sgangherato, Renzi continuerà a sedere a Palazzo Chigi.
Domenico Cacopardo


15 giu 2015

Prosegue l'astensionismo..nella persistente giustificazione dei Partiti


di vincenzo cacopardo
Al di là dei risultati.. è di nuovo l'astensionismo a dominare nei quasi 80 comuni dove si doveva eleggere il primo cittadino. Quando pensiamo che solo un terzo dei cittadini è andato a votare, potremmo facilmente immaginarci quale logica potrà avere un futuro possibile ballottaggio riguardante le politiche. Se solo un terzo andrà al ballottaggio significherà che il partito che “vince”  (per dirla alla Renzi) andrà al governo con poco più di una decina di milioni di consensi su circa quaranta milioni di aventi diritto al voto: Questo risultato, come già previsto dal sottoscritto, è destinato a gettare ombre sul meccanismo di funzionamento dell’Italicum.

In queste elezioni comunali.. l'affluenza più alta si è registrata a Venezia (37,24%)....quella più basa ad Enna (22,80%).   Il turno elettorale ha riguardato oltre due milioni gli italiani: Va comunque sottolineato che era palpabile questo disinteresse per una politica che non riesce più a dare risposte ai cittadini, e che.. pur nell'ammanto di una veste di innovazione.. non convince assolutamente i cittadini.

Naturalmente in seno al PD le varie anime sembrano destinate a riaccendere la tensione: Tra il flop delle elezioni ..le inchieste del Mose e Roma capitale..le problematiche infinite sull'immigrazione, i temi del fisco e la crisi economica ..non c'è da star tranquilli. Renzi ha un bel da fare, ma.. come già ripetuto, non dovrebbe continuare sulla perentoria strada del determinismo eccessivo.. dovendo invece spingersi a mollare la poltrona della segreteria del Partito: Questa sua successiva fase di governo è iniziata con affanno, ma era prevedibile... e dopo il faticoso 5 a 2 delle Regionali, queste amministrative confermano, attraverso l’aumentato astensionismo, una nuova ondata di disinteresse verso la politica. 

Persino la vicesegretaria di Partito Debora Serracchiani (anch'essa in conflitto politico per essere nel contempo presidente della regione Friuli) afferma che è neccessario dare sfogo ad una seria riflessione. «È un calo importante e serve una riflessione” afferma la Serracchiani “La politica non può essere un pezzo del problema». La vicesegretaria del Pd pensa..in proposito.. che abbia pesato eccessivamente il sentimento nazionale sull'immigrazione. Ma quello che sicuramente fa pensare è la persistente giustificazione da parte di un modo di far politica che non può più avere scusante.

Intanto dovrebbero sostenersi con più interesse..da parte di tutti i Partiti.. le iniziative di Fabrizio Barca (alcune delle quali già proposte da diversi anni dal sottoscritto in questo Blog). L'ex ministro montiano, riciclatosi in anima della sinistra dem, pare avere realizzato un proprio "dossier" sullo stato dellle varie segreterie provinciali del PD. Il quadro che ne esce è desolante: Per lui "Il federalismo nel Pd sembra feudalesimo”. Barca chiede anche un ritorno al finanziamento pubblico subordinato al rispetto delle regole di una democrazia interna ed eprime l'importanza di poter bilanciare i poteri attaccando lo stesso segretario Renzi sull'esigenza di separare i ruoli di premier e segretario del Pd. 

Questo primo passo potrebbe essere importante ma dovrebbe andare oltre e suggerire una migliore divisione dei ruoli nelle cariche politiche istituzionali fondamentali.





Marcello Foa descrive la politica di Putin

Il professore Marcello Foa, attraverso un'intervista del Corriere della Sera, ci rappresenta le ragioni per le quali Putin potrebbe non aver torto rispetto al caso Ucraina e lo scenario geostrategico creatosi in questi anni. Un premier politico descritto in buona fede ..che sembra aspettare il momento per chiudere in pace una difficile situazione creatasi con l'ingerenza di una politica filo americana che pare non volere riannettere, nel contesto di una politica internazionale, la federazione Russa come Paese fondamentale per un reale assetto e la pace in tutto il medioriente...

Perché Putin, in fondo, ha ragione  

di Marcello Foa

Nelle relazioni internazionali bisogna saper cogliere innanzitutto il quadro generale; solo avendo ben presente la visione strategica dei Paesi coinvolti è possibile analizzare il dettaglio ovvero i singoli episodi. Riguardo alla Russia le mie idee sono da tempo piuttosto chiare. Premessa: mi sono recato a Mosca regolarmente per 18 anni, dal 1990 al 2008, in qualità di inviato speciale. Ho seguito in prima persona le fasi cruciali di questo Paese, dal crollo dell’Unione sovietica alla crisi finanziaria della fine degli anni Novanta, dall’ascesa di Putin al periodo di Medvedev, inclusi i drammi di Beslan e del teatro Dubrovka.

In questi 18 anni non ho mai dovuto coprire una sola crisi internazionale provocata dal Cremlino. In questi 18 anni ho assistito al progressivo, sovente passivo ridimensionamento di Mosca nello scenario geostrategico a cui è corrisposto, a partire dal Duemila, lo sviluppo di una nuova Russia che, sfruttando il boom dei prezzi petroliferi e delle materie prime, desiderava solo una cosa: continuare ad arricchirsi.
Era una Russia che, in politica estera, chiedeva agli americani solo di essere rispettata nel cortile ci casa ovvero in quel che restava delle proprie zone di influenza, come l’Ucraina e alcune Repubbliche asiatiche. Mai imperiale, mai militaresca. Non cercava guai e continuo a pensarlo oggi.
Della bella intervista rilasciata al neodirettore del Corriere della Sera Luciano Fontana e a Paolo Valentino, vale la pena di rileggere soprattutto due passaggi:
Domanda del Corriere: Parlando di pace signor Presidente, i Paesi dell’ex Patto di Varsavia che oggi sono membri della Nato, come i baltici e la Polonia, si sentono minacciati dalla Russia. L’Alleanza ha deciso di creare una forza dissuasiva di pronto intervento per venire incontro a queste preoccupazioni. Ha ragione l’Occidente a temere di nuovo l’«orso russo»? E perché la Russia assume toni così conflittuali?
Risposta di Putin: «La Russia non parla in tono conflittuale con nessuno e in queste questioni, come diceva Otto von Bismarck, “non sono importanti i discorsi, ma il potenziale”. Cosa dicono i potenziali reali? Le spese militari degli Stati Uniti sono superiori alle spese militari di tutti i Paesi del mondo messi insieme. Quelle complessive della Nato sono 10 volte superiori a quelle della Federazione Russa. La Russia praticamente non ha più basi militari all’estero. La nostra politica non ha un carattere globale, offensivo o aggressivo. Pubblicate sul vostro giornale la mappa del mondo, indicando tutte le basi militari americane e vedrete la differenza. Le faccio degli esempi. A volte mi fanno osservare che i nostri aerei volano fin sopra l’Oceano Atlantico. Il pattugliamento con aerei strategici di zone lontane lo facevano solamente l’URSS e gli USA all’epoca della “guerra fredda”. Ma la nuova Russia, all’inizio degli anni Novanta, lo ha abolito, mentre i nostri amici americani hanno continuato a volare lungo i nostri confini. Per quale ragione? Così alcuni anni fa abbiamo ripristinato questi sorvoli: ci siamo comportati aggressivamente? Vicino alle coste della Norvegia ci sono i sommergibili americani in servizio permanente. Il tempo che ci mette un missile a raggiungere Mosca da questi sottomarini è di 17 minuti. E volete dire che ci comportiamo in modo aggressivo? Lei ha menzionato l’allargamento della Nato a Est. Ma noi non ci muoviamo da nessuna parte, è l’infrastruttura della Nato che si avvicina alle nostre frontiere. E’ la dimostrazione della nostra aggressività?».

Domanda del Corriere: Nega le minacce alla Nato?
Risposta di Putin: «Solo una persona non sana di mente o in sogno può immaginare che la Russia possa un giorno attaccare la Nato. Sostenere quest’idea non ha senso, è del tutto infondata. Forse qualcuno può essere interessato ad alimentare queste paure. Io posso solo supporlo. Ad esempio gli americani non vogliono tanto il ravvicinamento tra la Russia e l’Europa. Non lo affermo, lo dico solo come ipotesi. Supponiamo che gli USA vogliano mantenere la propria leadership nella comunità atlantica. Hanno bisogno di una minaccia esterna, di un nemico per garantirla. E l’Iran chiaramente non è una minaccia in grado di intimidire abbastanza. Con chi mettere paura? Improvvisamente sopraggiunge la crisi ucraina. La Russia è costretta a reagire. Forse tutto è fatto apposta, non lo so. Ma non siamo noi a farlo. Voglio dirvi: non bisogna aver paura della Russia. Il mondo è talmente cambiato, che oggi le persone ragionevoli non possono immaginare un conflitto militare su scala così vasta. Noi abbiamo altre cose da fare, ve lo posso assicurare».
Queste sono parole di un leader che non cerca guai. E’ evidente che Putin non aspetti altro che di poter chiudere la crisi con l’America e di poter tornare ad essere considerato come un partner economico sulla scena globale. Non esiste una nuova Russia imperiale, resta una Russia che chiede solo di essere riammessa nella comunità internazionale e di poter partecipare, di nuovo, al G8. Trovare un accordo sull’Ucraina non è difficile, ma bisogna volerlo. E questo è il problema.
E’ significativo che sull’edizione di ieri del Corriere, persino un atlantista di ferro come l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di fatto abbia certificato la buona fede di Mosca, rilevando come Putin gli avesse formulato il suo pensiero già nel 2013, pensiero che lo stesso Napolitano trasmise a Obama. Inutilmente.
Chi ragiona con onestà intellettuale dovrebbe chiedersi piuttosto quali siano gli obiettivi geostrategici che gli Usa stanno surretiziamente e a mio giudizio pericolosamente perseguendo. E perché Obama abbia deciso di rispondere alla mano tesa Putin minacciando nuove sanzioni economiche e un’escalation missilistica nell’Europa dell’Est.
Non è così che si mette in sicurezza il mondo.




"Roma come Calcutta"... di Domenico Cacopardo



È condannato a governare, Matteo Renzi, nonostante i pasticci quotidiani, le insufficienze di sempre, il sostanziale avventurismo delle sue iniziative, si tratti di scuola o di riforma del Senato. Tutto sull’onda, senza un momento di riflessione, come se il mondo fosse iniziato il giorno in cui lui è entrato a Palazzo Chigi e che, da allora, le sue personali esigenze fossero quelle del Paese.

Basta andare in giro, per rendersi conto che l’Italia è allo sbando e che quel poco di positivo che si vede è frutto del caso che ha inserito nel «job act» idee e proposte del professor Ichino, che ha spinto la Bce al «quantitative easing», che ha mandato Mattarella al Quirinale dopo un incontro segreto Renzi, Amato, Braj andato pessimamente per l’exdottor sottile, gravato dagli anni e da un galleggiamento immeritato.

La cronaca di una giornata romana e le riflessioni che induce può descrivere lo stato in cui ci troviamo.

Cominciamo da Fiumicino: i tassisti non hanno la macchinetta per la carta di credito. Occorre aspettare mezz’ora perché ne appaia uno dotato dell’elementare strumento, necessario per agevolare i 150.000 nuovi arrivati di ogni giorno di questa stagione. A Roma non c’è «Uber» e nemmeno a Milano, per effetto della decisione di un giudice che ha ritenuto «concorrenza sleale» il nuovo servizio, dimenticando gli interessi dei cittadini consumatori e le opportunità che la concorrenza avrebbe indotto nel settore (più occupazione e miglioramento del servizio, attualmente operato da auto vecchie e scassate dalle quali è un’impresa salire e scendere), e trascurando la necessità di assicurare agli stranieri (c’è un’Expo in corso!) un servizio pari a quello assicurato altrove, soprattutto in Usa e in Cina.

A Fiumicino, oggi chiude il Terminal 3. Avevo immaginato che la società Aeroporti di Roma annunciasse che, dopo l’incendio, le maestranze italiane erano state capaci di ricostruire il Terminal, più bello che pria, in quindici giorni. È invece passato più di un mese e, a seguito del sequestro dell’autorità giudiziaria, non è iniziato alcun lavoro. Per carità, la magistratura applica la legge, ma qualcuno si è posto il problema del danno che produce all’Italia la riduzione della capacità di Fiumicino al 60%? Ciò significa che 60.000 persone al giorno saranno dirottate altrove e che imprecando contro l’Italia, difficilmente affronteranno di nuovo il Calvario ch’essa rappresenta. 

Roma è la capitale d’Italia. Mezza giornata in giro per il centro mostra: Piazza Navona in mano a accattoni di tutti i generi, venditori d’ogni cosa, pagliacci, musicanti (dalle facce patibolari) e presunti pittori, tutti arroganti e insultanti coloro che non offrono l’obolo dovuto. Dalle 18 alle 19,30 non un poliziotto, non un carabiniere, non un finanziere. Di vigili urbani manco a parlarne, non esistono. Poco più in là, via della Maddalena, con rissa in corso tra extracomunitari presumibilmente africani per questioni di occupazione del suolo per vendere mercanzia illegale. Anche qui le forze dell’ordine non esistono. Siamo nel cuore della Roma istituzionale. E in via Vittoria Colonna, sulla direttrice di via Tomacelli, un mondezzaio a cielo aperto: tra il bordo del marciapiede e la strada la spazzatura non viene asportata, all’evidenza, da giorni.

Se l’aspetto della capitale è questo, accanto ai gravi problemi del Campidoglio, si pone quello della inefficienza di coloro che lo governano, da Marino ai suoi esimi assessori.

Passiamo da Roma Tiburtina, ormai la stazione principale. Qui, oltre alla solita umanità di zingari organizzati che, in quattro o cinque, assaltano i soggetti adatti, di «home-less», di disperati, vivono alcune centinaia di neoimmigrati illegali, quelli che vengono fatti scappare dai Centri di accoglienza, ancora in mano a chi li gestisce da tempo. Un poliziotto con mascherina sussurra che c’è di tutto: dalla scabbia alla tubercolosi (si vede dagli sputi sanguinolenti in terra), a ogni altra malattia immaginabile. A domanda, precisa: «Ma crede possibile che questi, anche gli ultimi, siano sottoposti ad accertamenti sanitari che durano qualche ora per ognuno?»

Uno spettacolo incivile, tossico, indecoroso offerto a tutte le migliaia di italiani e stranieri che transitano dalla stazione.

E poi, ci chiediamo perché l’Europa ci abbia abbandonati, lasciati soli di fronte alla biblica migrazione, stretti tra i buoni sentimenti di papa Francesco, i pessimi dei finti enti di beneficenza e l’impossibilità di una misura ragionevole, una reazione logica? In definitiva, una politica?

Anche a Milano la stazione centrale (e non da ieri, da mesi distratto sindaco Pisapia) è un accampamento a cielo aperto di un’umanità dolente, portatrice di malattie e di disordine.

Ci vorrebbe un cambio di passo, a Roma, a Milano, nel governo e, in particolare, al Viminale dove siede Angelino Alfano, soprannominato «massima allerta». Non ci sarà. Matteo Renzi continuerà a governare, trovando ogni volta una maggioranza d’accatto, visto che nessuno in Parlamento vuole andare a casa, per effetto di uno scioglimento anticipato.

Continueremo a sprofondare, sapendo ogni giorno di più che il giovane naif alla guida del governo è del tutto insufficiente per affrontare la situazione, che ha sbagliato ovunque, e soprattutto in Europa dove non ha saputo battere i pugni sul tavolo quand’era necessario, e con l’America: invece di affrontare Obama e le sue sciocchezze là dov’era necessario, al G7, gli ha solo tirato un calcio negli stinchi il giorno dopo, ricevendo Putin in Italia.

In altri tempi, ci sono stati presidenti del consiglio che non hanno avuto paura degli Stati Uniti e hanno deciso solo nell’interesse dell’Italia e della sua sovranità. 

Dovremmo rassegnarci. Sarebbe naturale.

Non lo faremo, anche se sappiamo che l’intelligenza politica e la conoscenza dei problemi non si comprano al supermercato, non smetteremo di criticare questo Renzi e il suo modo di governare, nella speranza che un giorno un barlume accenda la sua mente e gli suggerisca di inarcare la schiena e di fare ciò che deve.
Domenico Cacopardo