E' uno schema sicuramente
convincente quello che ci propone Domenico Cacopardo in questa
puntuale analisi che chiarisce i vari punti di questa contesa
islamica mediorientale.
Puntualizzare il
fallimento dei mille bombardamenti su Raqqa e sulle posizioni
dell’Isis è opportuno. Bombe che non potranno cancellare il
dolore dei Francesi per la strage del 13 Novembre e che mettono in
luce questo gesto come un estremo atto del presidente Hollande, il
quale, avendo perso consenso politico nel proprio Paese, pare voler
usare volutamente la forza per smorzare l'avanzata politica della
LePen, Come suggerisce Domenico... un atto napoleonico di chi non
appare per nulla un vero Napoleone.
Giusta
ed appropriata anche la considerazione sullo stato d’assedio per
l’arresto di quattro o cinque sospetti, nella città di Bruxelles
che è davvero apparsa una retata al buio, realizzata secondo metodi
da Seconda guerra mondiale. Da un'altro lato risulta logico anche il
superamento di ogni ghettizzazione e la presa di una posizione più
decisa da parte di tutti quei musulmani propensi ad accettare le
regole di una società occidentale al fine di poterne accettare i
principi liberali della democrazia, tra cui l'indispensabile
tolleranza.. a cui Domenico Cacopardo fa riferimento.
La
mia convinzione è che la divisione sunniti-sciiti
non
potrà mai spiegare in toto la tremenda realtà di tutto quello che
sta avvenendo in in Medio Oriente. Credo sia semplificativo ridurre
il tutto in questa ottica. Nel passato le comunità orientali hanno
alternato momenti di convivenza più o meno stabile a periodi di
forte contrapposizione e questo è avvenuto persino in funzione del
mutare delle differenti condizioni politiche. Mi domando quindi se
per
disarmare il conflitto religioso tra sunniti e sciiti sia necessario
privarlo della sua componente politica. Se.. in tal modo..si possa
rinunciare a quell’identificazione tra la sfera secolare religiosa
e quella dell’Islam politico.
vincenzo cacopardo
Mano a mano che passano i giorni e le
informazioni si completano, va formandosi un’idea meno nebulosa di quanto
è successo, compresa l’ultima strage di Tunisi.
La azzardo.
Ci sono due realtà autonome che, di solito,
operano in sintonia, nel senso che ciò che combina quella esterna fa
comodo all’interna. La realtà che ho definito «interna» è il
sedicente Stato islamico,intorno al quale gli interessi sono fluidi e i
sostegni variabili.
Questa entità nasce sullo scontento dei
sunniti per la scelta sciita degli americani riesce, in modo inatteso, a
combinare la realtàiraqena e quella siriana.
In Siria, come in
Iraq, i sunniti,
maggioranza, sono ai margini del potere
politico e militare e
subiscono anche i danni economici derivanti dal
privilegio altrui.
A favore dell’Isis sono di sicuro l’Arabia
saudita,
gli emirati e laTurchia che, dall’intervento USA in Iraq
(Seconda guerra del golfo)
ha subito una perdita netta di influenza.
Ricordo che, in questo
conflitto, i turchi rifiutarono agli americani
il passaggio di truppe
dal loro territorio. Anche gli Stati Uniti non
hanno in realtà una
posizione netta: fa loro comodo la presenza
dell’Isis nello
scacchiere perché è di contenimento alla
crescita sciita e perché,
per converso, rende necessaria agli equilibri
locali la presenza
americana.
L’arrivo dei russi ha sparigliato: ogni
settimana
rendeva più vicina la fine di Assad e una
nuova sistemazione
politica della zona, mentre con l’arrivo dei
militari dell’Armata che
fu rossa, il progetto è andato in fumo.
All’inizio, i francesi erano
andati solo per non lasciare agli USA il
monopolio della lotta
contro Assad (e, dopo, contro l’Isis), visto
che (pochi lo ricordano)
la Siria è stata per diversi decenni sotto
amministrazione francese.
Successivamente, consumatosi il 13 novembre,
nella cieca furia
guerresca di Hollande (Napoleone il
piccolissimo), si sono
presentati in forze per contribuire a una
battaglia nella quale non
potranno incidere più di tanto.
L’entità «esterna», presente ovunque in
Europa, ma anche negli
Stati Uniti, è costituita da cittadini europei
di seconda o terza
generazione che sono vissuti e stanno vivendo
attraverso il disagio
sociale dei ghetti periferici,
dell’emarginazione e della
disoccupazione endemica e di quella specifica
derivata dalla crisi
del 2008. Si tratta di giovani che hanno
commesso (di frequente)
piccoli reati, che, per sopravvivere, si sono
dedicati allo spaccio e
che odiano la società in cui vivono, non
perché sia cristiana, ma
perché li «tiene» in condizione di
inferiorità strutturale.
Se non ci fosse stato lo Stato islamico ora e,
prima, Al Qaeda a
fornire una piattaforma ideologica, sarebbero
gli eredi delle
Brigate rosse e della Rote armee fraktion.
Hanno invece trovato a disposizione
un’ideologia specifica (il
Corano) che valorizza l’essere islamici e
un’organizzazione di
riferimento: i viaggi e la militanza nelle
forze islamiste, utile per la
guerra in Medio Oriente, ma soprattutto per il
«training» militare
di coloro che hanno poi assunto il nome di
«Foreign fighter». Tutta
gente che ha attraversato l’Europa, la
Turchia arrivando in Siria e
in Iraq senza alcun controllo.
Si potrebbe capire che i servizi di sicurezza dei paesi
europei abbiano lasciato
loro libertà dimovimento per poterli monitorare,
non
altrimenti, come in effetti,
è stato, una libertà di movimento assoluta.
Il vantaggio di questo sistema è che la
«realtà» esterna opera e si
organizza con lo schema della geometria
variabile e della
disponibilità materiale di uomini pronti al
sacrificio.
Intendiamoci, l’ortodossia non è condizione
indispensabile per
operare, come dimostrano la Francia e il
Belgio: gli ultimi
terroristi, infatti, assumevano tranquillamente
alcol e, di fatto,
avevano abitudini occidentali. Basta
l’ideologia (politica) mutuata
dal Corano e dalla sua attuazione integralista.
Certo, le moschee hanno rappresentato e
rappresentano un buon
cancello d’ingresso nel mondo del
fondamentalismo combattente:
offrono conforto materiale ai correligionari,
ragioni per
differenziarsi dalla società in cui vivono e
una visione coranica di
superiorità dei «fedeli» sugli «infedeli»
che sono anche ingiusti,
visto che, nella pratica quotidiana, credono in
valori che i
musulmani aborriscono.
Se questo schema è convincente, si capiscono
tutte le difficoltà
incontrate, tranne una: il clamoroso fallimento
dei sevizi di
«intelligence» francesi (e belgi) presi allo
scoperto per due volte
dall’iniziativa dei gruppi di terroristi che
hanno attaccato Charlie
Ebdo prima e Parigi il 13 novembre.
Un fallimento che mille bombardamenti su Raqqa
e sulle posizioni
dell’Isis non potranno far dimenticare e di
cui i francesi, mano a
mano che l’emozione si sarà placata per
lasciare il passo alla lucida
razionalità, chiederanno conto e addebiteranno
al governo in
carica. Non si capisce nemmeno perché
Bruxelles sia stata messa
in stato d’assedio per l’arresto di quattro
o cinque sospetti, una
retata al buio, realizzata secondo metodi da
Seconda guerra
mondiale.
Certo, tutto questo milita per una maggiore
integrazione europea
in materia di sicurezza e di una risposta
unitaria all’aggressione.
Ma comporterebbe una politica per l’occupazione
e per la casa che
miri alla reale integrazione di coloro che
abbiamo accolto tra di
noi, superando ogni ghettizzazione. E una
condizione3
irrinunciabile: che anche i musulmani accettino
i principi liberali
della democrazia e, tra questi, la tolleranza.
Non sarà facile né rapido: le parole di vuoto
buonismo, genere
Boldrini, non servono a nulla, anzi accentuano
il rancore in chi lo
nutre. Nel 2012, Barak Obama dichiarò alle
Nazioni Unite: «Il
futuro non deve appartenere a chi calunnia il
Profeta …» Quindi
-follia- dovrebbe appartenere a chi va in giro
ad ammazzare i
calunniatori, cioè coloro che hanno il diritto
costituzionale di
criticare il Corano e il suo Profeta.
Intanto, mentre la consapevolezza cresce,
occorre che i servizi
segreti abbiano la possibilità di lavorare
come lavorò Carlo Alberto
Dalla Chiesa: carta bianca per bonificare i
luoghi nei quali si coltiva
e cresce il fondamentalismo terrorista.
Domenico Cacopardo