Quella retorica sui principi..che riduce ogni beneficio sui valori...
di vincenzo cacopardo
Non
pare perdere occasione il cugino Domenico nell'esprimere tutto il
suo entusiasmo a beneficio di una politica governativa..osannando in
un crescendo rossiniano...il falso cambiamento voluto dal giovane
premier. Domenico Cacopardo accenna ad un braccio di ferro come spinto da una parte della popolazione e non, al contrario,
stimolato di proposito dal capo del governo in una sfida sulla sua
personale figura. In
realtà.. di recente.. non sembra vi siano state consultazioni simili
che abbiano superato su base nazionale il 50% e quando si parla
del 32,15% dei votanti per un quesito per molti versi secondario, non
si può restare apatici circa la rappresentanza di coloro che si sono
diretti alle urne.
Mi pare del tutto risibile leggere su questo
articolo di Domenico Cacopardo di “una corrente principale che
corre nell'alveo riformista”: Se questo è quello che viene
definito il vento del riformismo..siamo davvero messi bene!
Apprezzo
la scrittura dei romanzi di Domenico, ma da tempo non riesco a
comprendere come si possano affrontare questi temi con lo spirito
delle uniche logiche di un sistema che guarda solo e semplicemente ai
profitti.. in dispregio ad ogni principio di democrazia.. e
dimenticando ogni altro valore che la società dovrebbe costruirvi
attorno. La sua maniera assai pragmatica di scrivere di politica..ricca di una
reale visione ai limiti del cinismo è proprio ciò che oggi si vuole
combattere per definire al meglio un cambiamento che guardi
all'equità ed ai suoi valori connessi: E' proprio il grande difetto
di anteporre ogni principio (tra l'altro vecchio) per poi contrapporlo a
qualsiasi valore utile alla definizione di un vivere comune più
armonico!
Il
caso del referendum sulle trivelle (dall'esito
di certo scontato) ha però dimostrato come oltre tredici milioni di
persone che hanno votato SI..non possano non contare nulla! Inoltre
vorrei fare notare ai tanti che non sono andati al voto.. che questo
referendum avrebbe potuto avere una sua logica se considerato per
regioni...Insomma..se una regione è invasa dalle trivelle mentre
un'altra non le ha..è chiaro che la consultazione assume un
carattere diverso per il riscontro stesso di un quorum. Vi è poi il
problema riguardante le royaltys..che ..come si è detto.. in parte
vanno alla regione di pertinenza..e questo sposta automaticamente
l'interesse sul relativo territorio!
La
battaglia politica finisce col divenire in realtà anche una
battaglia per la tutela di interessi economici.
Non è dunque esattamente spiegabile la ragione per tutelare gli
interessi delle compagnie.. evitando di immedesimarsi anche a
difendere gli interessi degli enti locali che concedono i loro
territori alle compagnie. Si entra inevitabilmente sull'argomento
del guadagno dello Stato, delle Regioni e dei Comuni dalle attività
di estrazione di gas e di petrolio. (Per l’Italia siamo ad
un’aliquota del 7% per le estrazioni di petrolio in mare e del 10%
per l’estrazione di gas che vengono però pagati solo se la
produzione annuale supera le 50.000 tonnellate per il petrolio e gli
80.000 metri cubi per il gas). Grazie a queste franchigie impianti
“poco produttivi” diventano convenienti perché poi la società
produttrice può rivendere il prodotto “a prezzo pieno” La
Stampa, a tal proposito, ha scritto che,
“nel
2015 su un totale di 26 concessioni produttive solo 5 di quelle a gas
e 4 a petrolio, hanno pagato le royalties. Tutte le altre hanno
estratto quantitativi tali da rimanere sotto la franchigia e quindi
non versare il pagamento a Stato, Regioni e
Comuni”.Gli
eventuali proventi delle royalties vengono quindi ripartiti..
facendoci capire come le pretese delle diverse Regioni di avere una
voce in capitolo non sia del tutto infondata, anche perché lo
Sblocca Italia prevede che le Regioni che autorizzano attività di
ricerca ed estrazione di idrocarburi vengano in parte esentate
dal patto di stabilità.
Un referendum definito male e senza una logica che ha finito col
testare un chiaro malumore verso il governo...Un' errore quello di
averlo ridotto in una lotta pro o contro Renzi!..Una lotta
sicuramente voluta dal premier e non come afferma Domenico, sostenuta
dai tanti giornalisti che, per spirito di servizio, hanno messo in
luce le distonie di un sistema ricco di conflitti ed anomalie.
Non
si può ridurre la questione attraverso il titolo di “Una
dura sconfitta per le regioni”
poiché si continua a
ripetere il solito errore della incongruente antitesi senza entrare
nel merito di una discussione che invade mille problematiche come
quelle ambientali, di salute e di vera resa economica dei territori.
Se c'è qualcuno che ha sempre inteso porre la questione come un
braccio di ferro è stato proprio il nostro Premier Renzi che, con la
solita determinazione e la saccenteria che lo accompagna, continua
costruire muri di separazione nel proprio Paese che occludono ogni
scambio politico più fattivo.
Ma
si resta più impressionati dalle tante figure di intellettuali che
gli vanno appresso per un assurdo principio pragmatico e per porre
ostacolo contro chi nel merito e nel metodo chiede maggior equilibrio
e più attenzione verso il futuro della società e che con disprezzo viene anche definito detrattore. Tutto ciò si nota
nel tono di questo articolo di Domenico che... con forte carica di
astio..(di certo immotivata)... si accanisce contro Mentana,
Travaglio, Scansi, Casaleggio ed Emiliano. Con chi.. per un verso od
in un altro.. ha tutto il diritto di rappresentare meglio i contorni non volutamente definiri della questione e di esprimere la sua posizione in proposito.
Una
dura sconfitta per le regioni
"Sempre
impegnate contro tutte le iniziative produttive"
di domenico Cacopardo
L'Italia
è un bel Paese nel quale le istituzioni hanno toccato il punto più
basso della loro storia. La Banca d'Italia non solo è esautorata,
ma, con la perdita di prestigio, paga anche una situazione bancaria
nella quale, evidentemente, la vigilanza non è riuscita a impedire i
disastri e le malversazioni di cui siamo stati attoniti spettatori.
La
magistratura è ai limiti della considerazione dei cittadini italiani
e rialza leggermente il basso gradimento di cui gode solo quando
affronta, a torto o a ragione, il mondo della politica.
La
situazione è tanto deteriorata che, rinunciando al senso della
storia e a essere partecipi del processo di trasformazione innescato
nella società che, di sicuro, toccherà i privilegi e i
privilegiati, i magistrati hanno eletto alla presidenza della loro
associazione Pier Camillo Davigo per un impossibile ritorno al
passato. Tanto che questo magistrato al culmine della carriera invece
di prospettare una strada per dare ai processi tempistiche europee,
si è scagliato contro la prescrizione, ipotizzando in modo implicito
procedimenti che possano durare ancora di più di quanto durano
adesso. Un modo inaccettabile di tenere sotto scacco la società
civile.
Ci
domandiamo perché l'economia non riparte e perché la crisi
continua, senza osservare il ruolo devastante delle regioni che, con
normative restrittive e ricattatorie, pongono ostacoli ad attività
ovunque favorite e promosse. La stessa protervia di Michele Emiliano
(un magistrato regalato alla politica) che, ignorando lo stato dei
depuratori pugliesi, se l'è presa con le piattaforme che danno un
modesto contributo alla nostra bolletta energetica, dimostra come un
vecchio modo di fare politica, legato ai privilegi delle vecchie
Nomenklature continui a pretendere un ruolo cancellato dalla Storia.
Emiliano, la cui ostensione e le cui prestazioni televisive hanno
sfavorito la causa referendaria, non vede il «game out» e rifiuta
di ammettere la sconfitta, immaginando fantascientifici scenari di
rivincita
Ma
gli sconfitti più sconfitti sono gli esponenti del Movimento 5
Stelle la cui attrattiva crolla nel momento in cui sembrava avessero
raggiunto il massimo splendore, tanto da farli definire dai
sondaggisti delle parrocchiette televisive (antiRenzi) possibili
antagonisti di Renzi nel ballottaggio che dovrebbe esserci dopo la
prima fase delle elezioni politiche. Il 28/29% di cui erano stati,
falsamente, accreditati si sfarina all'interno della sconfitta
referendaria. Non impareranno la lezione, vittime come sono di un
sistema fondato su un dittatore indiscusso, Grillo, e sul suo braccio
destro (o principale decisore?) scomparso in questi giorni e
surrogato per via ereditaria (gli affari della ditta di famiglia) da
Davide Casaleggio. Fanno una figura barbina gente come Travaglio e lo
speciale protetto della zarina de La7 (che, per ovvi motivi, non
nomino) Scanzi: probabilmente abbracciando la causa NoTriv hanno
rallentato per qualche giorno l'inesorabile caduta del loro giornale.
Ma, a furia di distribuire tossine, la gente si stanca e trova gli
antidoti.
Risalta,
nel panorama, Giorgio Napolitano, un politico non immune da critiche
anche fondate, ma uomo coraggioso che, di fronte alla pusillanimità
di tanti personaggi istituzionali, ha avuto il coraggio di parlare
con chiarezza esprimendo le proprie opinioni. Se ci fate caso, coloro
che non aderivano al fronte referendario erano soggetti a una
generale damnatio, manifestazione contemporanea di intolleranza e di
fascismo.
Due
considerazioni finali sul referendum: la prima è che il fronte
referendario ha perduto la partita. La stragrandissima maggioranza
degli italiani ha mostrato disinteresse e contrarietà, indiscutibile
dato politico.
La
seconda è che questo è un Paese povero, senza risorse naturali, che
ha inventato la propria ricchezza sulla trasformazione. Da molti
anni, hanno avuto voce in capitolo coloro che auspicavano (e hanno
attuato) una legislazione restrittiva, soprattutto le Regioni che
hanno imposto una marea di condizioni e di balzelli (metodo
ricattatorio i cui scopi sono immaginabili) tanto gravi da spingere
coloro che avrebbero voluto investire nella loro Nazione a
espatriare. La crisi occupazionale nella quale versiamo e della quale
non si vede soluzione, si fonda su un clima generale delle
istituzioni pubbliche contrario alle attività produttive. Le ultime
perdite (la più grande ed eclatante, la siderurgia) aggiungono
migliaia di lavoratori all'elenco dei disoccupati senza una
prospettiva di rioccupazione. E lo scandalo maggiore è la bieca
acquiescenza del sindacato votato ad appoggiare una normativa
impeditiva, piuttosto che a sostenere le esigenze dei produttori di
fronte alla mano pubblica votata alla rapina.
In
questo contesto, va ricordato al presidente Mattarella che lui,
proprio lui, deve porsi il problema di uscire dalla mediocrità,
cercando di farsi coraggiosamente interprete del popolo italiano e
delle sue pulsioni riformiste. Cambi squadra e cerchi qualcuno che
sia capace di accendere di passione e di contemporaneità i suoi
discorsi, abbandonando la retorica veterodemocristiana e i toni da
sagrestia per riprendere la strada percorsa da alcuni presidenti del
passato, tra i quali voglio ricordare Saragat, Cossiga e Napolitano.
Non cito Pertini, non per dimenticanza, ma perché lo considero
espressione consunta della peggiore retorica e incapace di
interpretare il suo ruolo per quello che era (il New York Times, in
occasione della sua visita negli Usa lo dipinse allo stesso modo in
cui aveva dipinto Leone: una macchietta). Leggere le memorie di
Antonio Maccanico per comprendere. Gli altri, a parte De Nicola ed
Einaudi che appartengono all'archeologia della Repubblica –personaggi
ammirevoli e disinteressati-, non meritano una citazione essendo
stati mediocri nella vita politica e nell'esercizio delle loro
funzioni istituzionali.
Domenica,
10 regioni hanno voluto giocare a braccio di ferro con gli italiani.
Nelle urne hanno sonoramente perduto. Oggi è un altro giorno, non
piove e si consolida la speranza che il cambiamento prosegua per la
sua impervia via. Grideranno a più non posso i parassiti che sin qui
hanno prosperato. Ma la corrente principale del fiume corre
nell'alveo riformista.
Per
il momento due sole calde richieste al premier Matteo Renzi: parli di
meno e meno a casaccio. Rifletta di più. La seconda: allontani dal
video la signora Serracchiani che fa più danni di Bertoldo a ogni
apparizione. Grazie.