11 mag 2014

Evangelii Gaudium: la nuova esortazione apostolica di Papa Francesco


LA GIOIA DEL VANGELO 
una nota di vincenzo cacopardo

Non un messaggio comune, ma un forte richiamo al pensiero cristiano del nuovo Papa Francesco che esorta ad una società con più equilibrio e maggior cura verso il prossimo.

"Una enciclica con spunti di lungimiranza"

E’ una  esortazione apostolica quella che Papa Francesco ha consegnato alla Chiesa con le parole che richiamano al Vangelo per riempire i cuori di coloro che si ritrovano in sintonia col messaggio  del figlio di Dio.
Il rilievo di un simile documento sottolinea con forza il messaggio energico del cammino della Chiesa che il Pastore accompagna in un nuovo stile dettato principalmente dall’umiltà. Un cuore aperto vicino alla gente che più soffre. Una Chiesa che vuole andare alla ricerca di nuove strade, uscendo dalla sua immobilità per annunciare e diffondere la misericordia attraverso le parole di Cristo. Un documento lucido che mette in evidenza l’importanza della trasformazione di una Chiesa per denunciare quelle tentazioni a cui l’uomo, in seno alla società, è soggetto.
Non è la prima volta che Papa Francesco si pone con messaggi in direzione di una politica societaria più sana ed equilibrata. Le note in tal senso sono chiare: "No ad un'economia dell'esclusione; No al pessimismo sterile; Sì alle relazioni concepite da Cristo"
Il suo è un richiamo alla società organizzata verso una evangelizzazione che possa mettere al centro dell’attenzione la figura dell’uomo e non i propri interessi che degenerano di giorno in giorno. Il Pontefice richiama alla pace riaffermando la forza della fede unita alla ragione, richiama l’importanza di un dialogo tra Chiesa e società..ed in questo modo riaccende gli animi con la speranza di ridare forza e motivazione al mondo intero.
Ancora una volta il messaggio di Cristo prevale rispetto al più enigmatico credo assoluto…Francesco intende richiamare l’attenzione verso la Chiesa usando la via umile e discreta che fu nel messaggio di una figura tanto umile, saggia ed equilibrata..quanto misericordiosa ed umana.. mettendo meno in evidenza (per le circostanze attuali insite nel mondo)la figura centrale del creatore. Potendosi conquistare.. in tal modo.. persino  una buona parte di auscultazione e l’interesse dei non credenti.  Con ciò egli invia ancora una volta..un messaggio che è anche sociale oltre che religioso.   

Leggendo i lunghi capitoli di questa profonda Enciclica con l’introduzione e la guida alla lettura di mons. Marcello Semeraro e gli indici tematici a cura di Giuliano Vigini ..ed avendo ormai già compreso il percorso del nuovo Pontefice, non possiamo più rimanerne sorpresi: Il suo è un desiderio di indirizzarsi verso i fedeli per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata dalla gioia.. indicando le vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni.
Prima dei capitoli, il Pontefice descrive in 8 punti  la Gioia che si rinnova e si vuole comunicare esprimendo il pericoloso rischio di una società che marcia verso il consumismo più sfrenato e quello di una opprimente offerta che sembra non arrestarsi.. contribuendo.. così.. ad un forte individualismo che tende a separarci più che a comprenderci. Da qui l’invito ad un incontro con la figura di Gesù Cristo ammettendo l’inganno e le proprie responsabilità che hanno indotto a fuggire dal suo amore.

Malgrado i riferimenti  ai libri dell’Antico Testamento, il suo richiamo continuo al Vangelo ed alla parola di Cristo rimane prevalente: L’appello è indirizzato ad una propria dignità ed al fatto che nessuno potrà togliercela.. poichè conferisce con l’amore infinito e incrollabile di Gesù, ci permette di alzare la testa e ricominciare, attraverso quella "tenerezza" che mai può deluderci e che può sempre restituirci la gioia. Il Pontefice esorta quindi gli uomini a non darsi mai per vinti, accada quel che accada. “Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!”
Proseguendo Francesco ci esorta con entusiasmo ad interpretare la gloriosa Croce di Cristo come un invito insistente alla "gioia": un messaggio difficile da esprimere, crudo e forte, ma sicuramente incoraggiante per rinnovare la speranza. 
Il Papa ci informa che la gioia cristiana scaturisce dalla fonte del cuore traboccante di Cristo che promette ai discepoli: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia»

“Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua” sostiene il Pontefice, non dimenticando certe circostanze della vita che impongono scelte assai dure. Non bisogna però dimenticare di amare ed essere amati, vivendo nella fiducia e nella speranza del suo perdono malgrado ogni tentazione appaia oggi sotto forma di scuse e recriminazioni... A questo punto Francesco, con un preciso riferimento ad una società tecnologica che ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, muove un appunto sostenendo che, questa, difficilmente potrà riuscire a procurare una vera gioia, asserendo che le gioie più belle e spontanee da lui viste nel corso della vita.. sono quelle di persone molto povere che hanno poco a cui aggrapparsi: “Ricordo la gioia genuina di coloro che, anche in mezzo a grandi impegni professionali, hanno saputo conservare un cuore credente, generoso e semplice.”


In conclusione la missiva di Papa Francesco è chiara e rimane tanto profonda.. quanto profondo resta il suo attaccamento agli umili gesti che lo distinguono.
Il Pontefice ci trasmette la poca importanza che certe gioie terrene possono avere se esse non attingono al sentimento dell’amore promosso da Cristo, un amore verso il prossimo che deve manifestarsi con gioia al di là di ogni ricerca del benessere. Egli lo  stigmatizza con una frase precisa e coraggiosa «All'inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva»


Non rimane che leggere con attenzione i 5 Capitoli per rendersi conto di quanto rivoluzionaria rimane questa sua opera e la missiva esortazione che contiene. Un messaggio che pur restando  di azione evangelica, contiene di sicuro un pensiero sociale che (a parer mio) fu anche nella mente illuminata del Cristo uomo. Poichè nel suo cammino tra gli uomini ed il suo predicare, oltre ad infondere un messaggio religioso di fede, ha certamente cambiato anche una mentalità sociale.  

8 mag 2014

Il "merito" di Renzi

di vincenzo cacopardo
Quando si critica l’operato di Matteo Renzi, non lo si vuole fare per partito preso o per finire con l’essere assimilati a quei gufi di cui lui stesso parla. Mentre in tanti lo contestano su un operato ancora da vedere e sulle sue possibilità di reperire risorse per raggiungere lo scopo, le mie osservazioni sono più profonde e legate soprattutto al merito.
Quello che oggi colpisce è il fatto di non poter opporsi alla sua figura senza esser presi come coloro che contrastano un cambiamento o addirittura che aspirano alla palude. In merito a ciò.. il sottoscritto ha già dimostrato abbondantemente (già dal lontano 99) la propria predisposizione verso quella metamorfosi di un modo lungimirante di vedere la funzione politica.

In tanti hanno aspettato il programma di sviluppo del lavoro del nuovo Premier.. che in sé rappresenterebbe uno dei principali punti di partenza per la crescita. Ma il suo “Job-Act” si basa prevalentemente su nuove regole da apportare nel lavoro, sebbene quello che oggi manca più delle stesse regole.. è proprio il  lavoro: Malgrado si possano costruire regole a difesa di un lavoro meno vincolato da condizionamenti, Renzi dovrebbe procurarsi le idee per far si che il lavoro cresca e che fioriscano nuove iniziative soprattutto giovanili. Molte delle risorse oggi destinate ai tanto decantati ottanta euro, sarebbero stati più utili per contribuire alla crescita del lavoro.
Questa è una valutazione sul merito!

Passiamo agli 80 euro mensili per aiutare chi lavora e percepisce stipendi dalla soglia minima degli ottomila ai venticinquemila annui. Al di là di ogni valutazione circa le risorse occorrenti per questa caratteristica riforma (che dovrebbe teoricamente intendersi strutturale), l’attenzione si concentra tutta su quella parte dei molti che oggi vivono al di sotto di tale soglia, ai lavoratori autonomi (alcuni dei quali, pagando tasse, contribuiscono alla busta paga dei favoriti) e soprattutto ai tanti pensionati che dispongono di risorse minime. Premesso che anche loro.. avendo ottanta euro al mese in più…con maggior ragione li spenderebbero, non si capisce la logica per la quale non si debbano favorire gli svantaggiati, ma solo una precisa classe lavoratrice… se non per un sicuro e preciso  ritorno di un consenso.
Anche questa resta una valutazione sul merito!

Ma non possiamo dimenticare la riforma istituzionale inerente il sistema elettorale dal nome tanto caratteristico come il suo “italicum”  e le altre riforme costituzionali del Senato e delle amministrazioni provinciali.  Anche qui.. assai meno possono interessare i fumosi risparmi (ormai del tutto opinabili) ricercati in modo troppo assiduo dal Sindaco d’Italia…quando quello che più interessa a chi vorrebbe vedere la politica più funzionale, è la ricerca di un sistema che possa convincere e legare dinamicamente con un principio di vera democrazia. Quale risultato potrà mai portare una simile legge elettorale che taglia pesantemente la rappresentanza dei piccoli e che si prefigge di sostenere una governabilità con un simile ricco premio di maggioranza? Quali illogici compiti potrà mai avere un Senato rappresentato da amministratori locali?...  Perché in assoluto l’unico principio di Renzi.. rimane solo quello di voler negare ogni contribuzione ai suoi rappresentanti?
Quest’altra è ancora una valutazione sul merito!

Renzi pare procedere come una falciatrice e tagliando tagliando...avanza noncurante di una precisa logica che si deve al funzionamento di un’attività politica. Per quanto si possa criticarlo nel metodo, quelle che colpiscono... a chi guarda la politica in senso più costruttivo, restano le sue “scelte” che continuano a non avere un riscontro con la logica della funzionalità, dei valori e di una qualità democratica.



Un teatro esilarante..in un quadro assai triste...


di vincenzo cacopardo 
Genni a' carogna che decide le partite di calcio in uno Stadio…di uno Stato in perenne assenza di azioni preventive…Il Cavaliere che propone nuovi spettacoli ai servizi sociali,…Renzi che corre qua e là con i suoi cappottini ristretti proponendo riforme rigide ed assolute col solito sorriso un pò beffardo ed un pò sornione …….Grillo che urla contro l’Europa…Salvini e la sua Lega che insorgono contro l’euro…il sindaco Fassino che alza il dito medio contro i cittadini…truffe e taglieggiamenti sugli appalti all'ordine del giorno.... ineffabili figure politiche che sotto sotto lavorano per riforme di proprio comodo..un fisco che si accanisce senza sosta su chi non ha più un lavoro ed un reddito…Bersani che un pò gufa ed un pò no .. continue inchieste della magistratura su figure politiche ambigue e poco corrette, ma sempre disposte a compromessi…… Il ridicolo si unisce al tragico, lo stravagante al drammatico… in un percorso che sembra non avere mai fine. Ci sono tutti gli ingredienti per la solita commedia all’italiana alla Totò e Peppino, ma con epiloghi spesso inquietanti e funesti.
L’Italia si rende sempre più ridicola e si predispone quasi volontariamente a questi scenari da commedia tragicomica: scene ormai congenite nello spirito di chi non percepisce l’importanza di una politica utile… di chi continua a non rispettare i propri cittadini… di chi sembra aver perso il dono dell’equilibrio e del rispetto, di chi continua a lavorare senza un metodo di ricerca funzionale in favore della società.

Doni essenziali per la politica odierna che non può più attendere, né pretendere di perseverare dando spazio a figure improvvisate per immagine o per ostentata comunicazione. Mai come oggi serve l’equilibrio..mai come oggi il nostro Paese deve rendersi più serio attraverso i valori del rispetto e della collaborazione reciproca. Mai come oggi gli stessi cittadini devono riflettere se dare un voto o no ed a chi.. Quando si perde l’equilibrio..si perde ogni considerazione verso gli altri, si perde il senso del sociale e verso noi stessi, si perde la fiducia e con essa ogni speranza: il nostro Paese ne è un chiaro esempio!

Breve commento sulla interessante nota del consigliere Cacopardo


IL RUOLO DEL COVIT di domenico cacopardo
C’è un gran rumore nei corridoi del ministero dell’economia e in quello del lavoro: il tema è lo scippo che sarebbe stato immaginato dal think tank (si fa per dire) di palazzo Chigi nei confronti dei fondi accantonati per forme pensioni complementari. La vigilanza su di essi (e la tutela) è affidata dalla legge alla Covip (l’Autorità specifica) che deve occuparsi della coerenza d’ogni investimento con le finalità previdenziali e della prudente composizione degli investimenti stessi.
I fondi interessati sono 536, gestiscono 116 miliardi di risparmio previdenziale di 6.200.000 lavoratori, in costante crescita (a dispetto della crisi). A essi si aggiungono 20 casse professionali di previdenza obbligatoria, quella definita Il primo pilastro, con altri 60 miliardi di risparmio previdenziale obbligatorio che riguardano 1.700.000 liberi professionisti. Insomma la Covip vigila un patrimonio di 176 miliardi di euro, pari a poco meno del 10% del Pil nazionale, sulla base di una scelta compiuta dal legislatore nel 1993: concepire il sistema previdenza integrativa, in coerenza con l’art. 38, comma 2, della Costituzione, come ordinamento capace di garantire l’adeguatezza personalizzata della prestazione pensionistica. Peraltro, anche l’Ocse e la Commissione europea hanno sollecitato il potenziamento degli accantonamenti complementari.
Lo staff presidenziale, capitanato dall’exsegretario comunale di Reggio Emilia e dall’excomandante dei vigili urbani di Firenze, sembra che stia valutando l’ipotesi di trasferire le funzioni della Covip alla Banca d’Italia. Un’idea del genere non può che essere nata aliunde, giacché comporta la consegna del prezioso malloppo nelle mani del sistema bancario, comprendente la Banca d’Italia di recente spogliata dei poteri di vigilanza sulla banche assunto dalla Bce. Occorre dire che i risultati ottenuti in passato dalla Vigilanza di Bankitalia non sono stati particolarmente brillanti, visti i casi Banca popolare italiana, Banca popolare di Milano, Carige, Monte Paschi e via dicendo.
C’è di che essere spaventati dalla prospettiva, che aprirebbe l’uso di questi ingenti risorse (in costante crescita annuale) a utilizzazioni non nell’interesse dei beneficiari, bensì di quel sistema bancario nazionale che tante risorse ha bruciato nella gestione del credito.
C’è da credere che i beneficiari del sistema sarebbero nettamente contrari a questa vera e propria distrazione di fondi: i due settori economici interessati (risparmio previdenziale e credito) sono in fisiologico conflitto, potendosi verificare che la ricerca della stabilità del settore bancario sia perseguita a danno del risparmio previdenziale, della sua profittabilità e affidabilità.
Raccontiamo questo back-stage governativo come conferma dell’inattesa deriva politica di Renzi e dei suoi seguaci più votati a tassare che a tagliare le spese, più attenti alle esigenze di alcuni poteri nazionali che alle necessità collettive, sia che si tratti di banche che di Sorgenia. Poiché il ministro dell’economia Padoan è persona estranea alle parrocchie in auge sino a qualche mese fa (in particolare a quella di Draghi) e con lui sono fuori da questo genere di suggestioni anche Poletti e Franceschini, c’è da credere che il caso dei fondi previdenziali sia frutto esclusivo della fantasia di palazzo Chigi, cioè Renzi & Delrio e collaboratori stretti.
Ci vuole molta attenzione sui loro –spesso sconsiderati- passi, proprio per evitare di trovarci, anche in questo delicatissimo settore, con un pugno di mosche in mano.


Anche questa è un’ulteriore angoscia per i  tanti cittadini che hanno il diritto di sentirsi protetti nei loro risparmi previdenziali.
Domenico Cacopardo mette in risalto la preoccupante prospettiva di affidare al sistema bancario i fondi previdenziali. Ancor più… dopo la sollecitazione dell’Ocse e della Commissione europea in relazione ad un potenziamento degli accantonamenti complementari….tutto ciò non può che destare maggior apprensione. 
Il prezioso malloppo, come lo definisce giustamente Domenico, nelle mani del sistema bancario, potrebbe costituire il rischio per un fisiologico conflitto, potendosi verificare un’ulteriore anomalia perseguita a danno dei pensionati ed in favore della gestione del credito.
Se davvero questa ulteriore singolare anomalia è frutto delle idee del nuovo sindaco d’Italia e del suo sconclusionato staff di dilettanti allo sbaraglio…sempre più attenti a limitare certe spese in barba alla funzionale attività ed alla sicurezza, non c’è proprio da star tranquilli!
vincenzo cacopardo


7 mag 2014

Simpatico appunto di Domenico Cacopardo sull’attività del governo Renzi

Ryan Crocker, numero due del generale David Petraeus in Iraq, teorizzò la pazienza strategica come metodo per superare le difficoltà dell’insorgenza e ricondurre il Paese alla normalità.
Matteo Renzi che, probabilmente, non conosce la differenza tra tattica e strategia, propone all’Italia il metodo opposto, che si potrebbe chiamare dell’impazienza ontologica.
In esso, trova uno spazio privilegiato il neoconformismo populista nel quale il premier spera di aggiudicarsi il primato.
Gran parte delle riforme di cui ha parlato agli italiani come cosa fatta, sono soltanto titoli delle copertine di files in attesa che siano trovati contenuti accettabili, nel senso che non smentiscano platealmente gli annunci e, al contempo, non scassino del tutto la finanza pubblica. Pare che sia andata in questo modo per i mille euro l’anno da dare ai 10.000.000 di italiani sotto i 25.000 euro di retribuzione annua: la dichiarazione di Renzi uscì così, naturalmente, dalla sua bocca, senza che fosse stata concordata con Pier Carlo Padoan e che, soprattutto, ci fosse una pallida idea sul dove trovare le necessarie coperture.
L’indulgenza dei media ha evitato che fosse messo sotto accusa per l’assenza di provvidenze e aiuti a coloro che, essendo sotto gli 8.000 euro annui, non presentano dichiarazione dei redditi e non possono essere beneficiati, anche se ne avrebbero maggiore necessità, degli 80 euro mensili.
La cosiddetta riforma della pubblica Amministrazione, affidata a quella povera sbadata, neo mamma, della Marianna Madia, è, anch’essa una copertina con incerti contenuti. Contiene 44 punti che nessuno dello staff renziano si è preso la briga di controllare: se qualcuno l’avesse fatto, avrebbe scoperto che gran parte di essi è già stato oggetto di leggi approvate dal Parlamento alle quali occorre dare piena attuazione. Un’uscita, questa sull’Amministrazione che assomiglia a ciò che ordinavano gli ammiragli di Franceschiello ai marinai: «Faciti ammuina!» Agitatevi, urlate, ma non sparate un colpo vero.
“Sciocchezzuole da gufi”, direbbe l’exsindaco di Firenze: ma saranno proprio le sciocchezzuole e i gufi a seppellirlo presto se non si renderà conto che amministrare l’Italia è ben diverso dall’amministrare, con tutto il rispetto, Firenze.
Del resto, le continue dichiarazioni di ostilità o di ridimensionamento di questo o quel corpo dello Stato fanno più danni al governo e all’Italia dei concreti provvedimenti che saranno adottati. C’è una vecchia filastrocca romana che ricorda come l’uomo che prometteva all’agnello «Domani  temagno, domani, te magno!» finisse incornato da quel mansuetissimo animale.
Si può dire che questo sia il metodo Renzi. Esso è però diventato il mood (nel senso di disposizione o inclinazione) di tutti i ministri della sua parrocchia, anche di quell’ectoplasma invisibile che è la ministra Mogherini che ha minacciato più volte gli ambasciatori per le retribuzioni complessive che percepiscono. Una via come un’altra per predisporsi a qualche evitabile scivolone, nel momento in cui qualcuno di importante alla Farnesina non le impedirà l’ennesima pessima figura.
L’altro aspetto negativo del mood stesso è l’assenza di garbo personale e politico. Senza rivangare la rottamazione di gente come D’Alema (ma non della Bindi o di Zanda, dai curricula meno prestigiosi ma appartenenti entrambi all’immarcescibile genìa exdemocristiana), va ricordato l’incredibile e inaccettabile trattamento riservato a Staffan de Misturache, dopo una prestigiosa carriera nelle Nazioni Unite (ultimo incarico capo della delegazione in Iraq), accettò di diventare il rappresentante speciale dell’Italia (cioè l’esecutore,  in loco, delle direttive di Roma) in India per la questione dei marò: allontanat o dalla predetta Mogherini senza una parola ufficiale di ringraziamento per far posto a una commissione di esperti ancora da nominare. Per snellirei tempi di decisione suggeriamo (in modo rispettoso): il bidello della scuola elementare di Rignano sull’Arno; il responsabile del “Dialogo interculturale” del comune di Reggio Emilia; l’infermiere capo dell’ospedale di Montecchio nell’Emilia (RE); il veterinario condotto di San Godenzo, ameno villaggio in provincia di Firenze. Un think-tank degno dei premi Nobel che arricchiscono il governo del bel Paese.
Un’ultimo, amichevole, rilievo: Roberta Pinotti, ministra della difesa, ha dichiarato che l’Italia è pronta a fornire truppe a una missione di pace in Ucraina. Al ministero dell’economia nessuno sa niente. Già, ci vorrebbero coperture. Inoltre, con una difesa così sotto stress come la nostra, con la necessità di rivederne il modello e di ridimensionarlo, chi può pensare, a parte qualche militare di stato maggiore, che si possa dare il via a una nuova missione che sarebbe un pugno nell’occhio alla Russia, nostro principale fornitore di olio e gas? Pietà, Pinotti, pietà: «Prima de parlar, tasi!»



6 mag 2014

Un pensiero sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul calcio

di domenico Cacopardo
Dopo i gravi fatti di sabato in occasione della finale di Coppa Italia, se vivessimo in un Paese normale, avremmo già appreso che il questore, Massimo Mazza, e il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, prima di essere rimossi, hanno presentato le loro dimissioni nelle mani del ministro dell’interno Alfano.
È vero che il problema principale non sono loro, ma la Figc, la Federcalcio, diretta da tempo immemorabile da Giancarlo Abete, ex deputato DC, sopravvissuto a tutti i commissariamenti, compreso l’ultimo fugace del professor Guido Rossi. Questa metafora dell’Italia che è il calcio, avrebbe tante spiegazioni da dare agli italiani, mentre è richiuso nel suo bunker autoreferenziale di via Allegri sordo a ogni richiesta di trasparenza e di aggiornamento. Legata in modo indissolubile a quell’altro eletto organismo di galantuomini che è la Lega di Serie A, diretta dal 2009 da Maurizio Beretta exgiornalista Rai, exdirettore generale di Confindustria versione Montezemolo, e dal 2011 in evidente conflitto d’interesse per la nomina a responsabile della struttura Identity and Communications di UniCredit.
La madre di tutte le spiegazioni riguarda il perché le presidenze delle squadre di calcio siano così ambite, quando i bilanci sono dissestati e, formalmente, le perdite si accumulano anno dopo anno.
Dato che né la Lega, né la Federazione si pongono il problema, la questione potrebbe interessare la Guardia di finanza che, con gli  strumenti di cui è fornita, potrebbe esaminare le centinaia di transazioni estero su estero o Italia verso estero che ogni anno le società calcistiche effettuano con gente improbabile (alcuni procuratori) in paesi privi d’ogni trasparenza.
Dovrebbero spiegare il perché di un sottile permanente boicottaggio alla realizzazione di stadi delle società, quando in tutto il mondo sono in prevalenza delle società medesime. Si dice, nella Roma pronta alle dietrologie, che la realizzazione degli stadi privati priverebbe (la ripetizione è voluta) del potere derivante dalla gestione di stadi pubblici, un potere ben esercitato nel 1990 per i campionati mondiali di calcio.
Dovrebbero spiegare perché, nel caso in cui un presidente sia stato condannato per reati significativi (dalla truffa all’evasione fiscale), non vengano applicate le norme statutarie che prevedono il suo allontanamento dagli organi direttivi di Lega e Federazione e dai consigli di amministrazione delle società calcistiche.
Dovrebbero spiegare la totale opacità che riguarda la gestione della classe arbitrale, le scelte degli arbitri, i compensi e i benefici derivanti da attività pubblicitarie.
Dovrebbero spiegare il perché non si affronti con la dovuta severità la gestione della giustizia sportiva e, quindi, i procedimenti per le partite compravendute, eliminando ogni geometria variabile.
Non caveremo una parola di chiarimento da lor signori su questi temi.
Il governo Renzi, con la sua voglia di rinnovamento, avrebbe un terreno fertile sul quale mettere le mani per Cambiare verso.
Detto questo, torna di fronte agli italiani il problema immenso di un sistema di polizie incapace di prevenire, si tratti delle partite, dell’assalto al cantiere Tav della Val di Susa, o delle aggressioni di Roma e Torino per il 1° maggio.
Eppure, nel governo, c’è chi sa dove mettere le mani, soprattutto in materia di intelligence: ci riferiamo al sottosegretario Minniti, uno dei pochissimi professionisti della politica e del ramo presenti in questa compagnia di giro in cerca di regia.



Non esiste prevenzione in questo Paese e Domenico Cacopardo, già esperto Consigliere di Stato..dovrebbe saperlo! Tanto meno nella disciplina del maggiore sport oggi esistente. Un’attività sportiva…per modo di dire..in considerazione delle grandi anomalie oggi esistenti: Questo sport pare non aver più nulla a che fare con una vera disciplina da quando, lo squilibrato inquinamento del denaro, lo ha compromesso con il potere.
Non a caso.. anche quando l’economia reale di un Paese è in declino, l’azienda calcio (che assorbe risorse da quella parte non del tutto attiva…legata alla pubblicità) continua incoerentemente il suo percorso, come restasse assente da un contesto sociale di una crisi.
E’ comunque vero che la finanza, se anche spinta dallo stesso governo.. avrebbe la possibilità di poter intervenire sui movimenti finanziari degli acquisti e vendite dei giocatori e gli eccentrici bilanci da approfondire attentamente. Ma possiamo davvero credere che possa esistere una tale volontà?
Sembra chiaro che questo gioco, espresso negli enormi anfiteatri dello sport..rappresenta una chiara valvola di sfiato per un popolo che sfoga una buona parte del suo istinto represso. Quando gli stessi Stadi (ossia le arene di una volta)  tendono ad amplificare tali sfoghi in una sorta di sublimata liberazione ….si scaricano   emozioni che fanno comodo al sistema dei potenti che lo guidano.. perchè utili a distrarre dalle problematiche più importanti relative al lavoro, al vivere comune, al sociale e di tutto quel campo di primario interesse politico…
Nulla cambierà mai... nonostante le continue promesse facenti parte del comune modo di esprimere un bisogno di sicurezza negli Stadi e la perenne retorica sulla differenza tra un vero tifoso ed un tifoso violento: Nell’arena… anche il più tranquillo degli uomini spinto dalla aberrante idiozia di una folla delirante… viene colto da impulsi che non gli appartengono. Con ciò non si vuole condannare lo sport ma quello che lo sport è divenuto in mancanza dei valori essenziali.. lontani mille miglia dagli interessi di tutti coloro che oggi vi girano intorno a puro scopo di lucro.

vincenzo cacopardo

Tra Pil e disoccupazione…si trascura il patrimonio del Sud






SI SPEGNE LA POLITICA DEL SUD di vincenzo cacopardo  

Il rapporto debito /Pil in Italia persevera in un peggioramento. Per quest’anno si attesterà al 135,2% e non vi sono nemmeno buone previsioni, se non fievoli, per il 2015 . Il prodotto interno lordo dell’Italia crescerà dell’ 0,6% nel 2014 e non è facile definire come si registrerà nel 2015. Si parla dell’1,2% ma queste previsioni le lasciamo ai tecnici che spesso non l’azzeccano per dirla come Di pietro.
Sta di fatto che una vera crescita è difficile poterla intravedere, malgrado l’ottimismo del nostro ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan il quale afferma che le misure adottate dal governo per l’economia italiana sono giuste e che anche la direzione deve essere quella.
Intanto dalla Commissione Europea arrivano anche stime sulla disoccupazione del nostro Paese che peggiorano portando il tasso del 12,2% del 2013 al 12,8% di quest’anno e stimando approssimativamente nel 12,5% quella relativa al 2015.
Ma quello che si trascura è la differenza con i dati del Mezzogiorno e.. se dovessimo metterli a confronto con quelli nazionali, ci accorgeremmo della smisurata diversità già messa in evidenza nei dati della disoccupazione. Se al Nord si vivacchia al Sud si muore di un immenso sconforto avvalorato da una carenza di vera politica costruttiva, da una mancanza totale di uno Stato noncurante del valore che potrebbe portare al Paese la sua bellezza naturale.
E’ difficile poter comprendere l’inerzia di una linea politica economica di questi ultimi tempi verso il Sud ed ancora più incomprensibile non valutare attentamente uno studio di crescita che il mezzogiorno deve operare attraverso lo Stato ed una Comunità europea nel sostenere un piano infrastrutturale.. senza il quale non solo non crescerà l’intero Paese, ma rischierà di incancrenirsi gran parte dell'intero stivale per la diffusione di una illegalità oltre ogni confine. Manca una politica in favore del Sud, e forse manca anche una figura politica di questo territorio capace di portare avanti un simile messaggio.
La politica fiorentina, un pò boriosa ed un pò distratta, di Renzi.. come quella del recente passato, continua a trascurare l’importanza del mezzogiorno che invece rappresenta il vero volano per la crescita dell’intero Paese. Il Sud merita maggiore considerazione perché proprio dal mezzogiorno potrebbe nascere quell’impulso verso lo sviluppo di tutta la nazione: Le naturali risorse, sono la base principale di un futuro processo economico proseguito dalla fattiva opera di chi poi vi deve lavorare.
Si dovrebbe tenere nel giusto conto il territorio del Sud della nostra nazione che è naturalmente portato per ricevere turismo, per esportare prodotto agricolo ed ittico. Queste voci assieme ad alcuni prodotti tipici artigianali e di manifattura, dovrebbero rappresentare i settori principali da tenere in considerazione e potranno essere gli importanti indirizzi attorno ai quali sarà consequenziale costruire una serie di servizi a supporto che offriranno all’indotto altre occasioni per le più giuste attività. Ma considerata l’eterna mancanza delle adeguate infrastrutture di base adatte a qualsiasi sviluppo, sarebbe obbligo del nostro Governo favorirne la realizzazione attraverso un immediato efficiente piano d’investimenti poiché qualunque incentivo non sarà mai in grado di compensarne la mancanza. (Sarebbero bastati i dieci miliardi che garantiranno 80 euro in più al mese a dieci milioni di lavoratori, per dare impulso ed apertura ad una miriade di cantieri per le infrastrutture del Sud).
Non servono le ricette già sperimentate di leggi che permettono finanziamenti privati diretti verso l’illogica nascita di realtà produttive inutili, ma un intervento pubblico studiato al fine di realizzare infrastrutture adatte e più utili. Il territorio è uno dei fattori su cui maggiormente si misura la competitività di un’area, ed il Sud non avendo adeguate infrastrutture, non potrà mai avere opportunità di sviluppo, trascinando con sé tutta la nazione. Opere di primaria importanza dovrebbero essere studiate attraverso un coordinamento tra le Regioni pertinenti e la Presidenza del Consiglio, ma anche con il controllo della Comunità Europea.





5 mag 2014

Il punto di Domenico Cacopardo sulle prossime elezioni


di domenico cacopardo

Non mancano che tre settimane alle elezioni europee, ma per le strade del Paese non c’è nessun segno visibile dell’imminente confronto.
Matteo Renzi s’è collocato al centro del ring e, secondo un metodo ampiamente collaudato, dialoga direttamente con i cittadini. Qui, in Emilia Romagna, la sensazione è che il corpaccione storico del Pd, quello che discende dai comunisti di rito bolognese, non sia interessato alla contesa. Anzi, un risultato insoddisfacente riaprirebbe i giochi restituendo un ruolo a gente come Bersani, lo statista di Bettola.
Non si riflette sull’importanza di questo appuntamento, sia per il futuro politico dell’attuale coalizione di governo, sia per il futuro politico dell’Italia nei rapporti con l’Unione europea e chi la dirigerà.
Berlusconi, sempre più spento, tenta di rinserrare le fila dei fedelissimi e può, comunque, contribuire al contenimento di Grillo e dei suoi grillini, evitando di allargare il campo dell’astensione e del voto populista. Tenta di impedire, a livello nazionale, quello che è accaduto nel ballottaggio di Parma, nel quale i berluscones votarono Pizzarotti.
Grillo (Ipsos) è accreditato di un 23,7%, leggermente inferiore all’esito delle politiche.
La partita, però, è in corso e gli indecisi sono talmente tanti da poter frustrare ogni attesa.
L’aspetto più delicato dell’appuntamento del 25 maggio è costituito dall’esito del referendum implicito sull’Europa ch’esso manifesterà. L’astensionismo, oggi, oscilla tra il 30 e il 40%. In esso è compresa parte degli indecisi. Se assumiamo come ipotesi un numero intermedio, il 35%, i dati dei sondaggi si ridimensionano in modo impressionante. Il Pd, attestato sul 34,7%, avrebbe in realtà il 22,55% dell’elettorato. Grillo passerebbe dal 23,7 al 14,4. Berlusconi dal 19,3 al 12,43. Lega, Fratelli d’Italia e Tsipras da un complessivo 12,3 al 7,99.
Un’ulteriore analisi evidenzia i concreti elementi di preoccupazione rispetto al referendum Europa sì Europa no. L’astensionismo appare decisamente indifferente o avverso all’Unione e all’euro. L’abbiamo fissato al 35%. Berlusconi, Grillo e il trio Lega, Fratelli d’Italia e Tsiprastutti più o meno contrari alla moneta unica rappresentano il 35,43%. Quindi, il fronte contrario o tiepido supera, nei sondaggi, il 70%.
Una specie di tragedia nazionale e continentale.
Il rischio che s’è assunto Renzi, correndo in solitaria la regata elettorale risulta, quindi, eccessivo, vista la necessità di ottenere, contro tutti, non solo un successo, ma un successo tale da togliere a una parte dei contrari e dei dubbiosi ogni velleità di contrastare una ragionevole politica comunitaria (il semestre italiano incombe).
Il suo modo di governare, tanti annunci poca sostanza, non è convincente per gli italiani responsabili che conoscono il merito della partita in corso.
Non è troppo tardi per correggere il tiro e dare peso alle parole. Quelle sulla pubblica Amministrazione, enunciate in 44 punti, hanno dimostrato l’insufficienza e la sbadataggine dello staff presidenziale: gran parte delle enunciazioni, infatti, è già oggetto di norme in vigore.

Purtroppo, in questo, come in altri campi gli errori di gioventù non sono ammessi: gli statali votano anch’essi.

3 mag 2014

Una replica al nuovo appunto di Domenico Cacopardo

POLVERONI di domenico cacopardo
L’ultima sciocchezza a uso del pubblico entusiasta e di tutto il circo mediatico nazionale l’ha ammannita il cantante Pelù accusando Renzi di essere il figlio politico di Gelli.
Probabilmente, Pelù non sa chi era Gelli, quale sia stata la sua vicenda giudiziaria, quale il suo potere reale. Che, insomma, a parte il momento affaristico-golpista della P2 (inizio anni ‘80), Gelli non ha più esercitato alcuna influenza sull’Italia e sulle istituzioni, tornando a essere quello ch’era stato, un piccolo imprenditore aretino con molti problemi di sopravvivenza economica. L’ha evocato per far colpo, per piacere a coloro ch’erano in attesa di chi le sparava più grosse per spellarsi le mani con gli applausi.
Sono, però, certo che la maggioranza di coloro che si assiepavano il 1° maggio a Roma in piazza San Giovanni possiede gli strumenti critici necessari per sceverare il credibile dalle sciocchezze e dalla demagogia. Era lì per partecipare a una festa tradizionale, in un periodo in cui le gite fuori porta sono passate di moda. E per manifestare un’esigenza condivisa, quella che i problemi dei lavoratori rimangano al primo punto all’ordine del giorno.
Non è con le frasi alla Pelù che si fanno passi avanti.
Non siamo pro-Renzi né anti-Renzi: sappiamo che la rischiosa scommessa –un premier giovanissimo con grande comunicativa, ma dalla consistenza ancora sconosciuta-, dà all’Italia un’opportunità di cambiamento come non si era mai verificata da trent’anni a questa parte, dai tempi del Progetto socialista e del tentativo di avviare una sostanziosa riforma istituzionale.
Purtroppo, un ventennio di seconda Repubblica ha diviso l’Italia in due fazioni che continuano a confrontarsi anche oggi che si sono frantumate e che è entrato in scena il Movimento 5Stelle. E, quindi, qualsiasi discorso riformista viene complicato da problemi di schieramento e di polemica elettorale.
Anche in questi ultimi tempi, la moneta cattiva caccia dalla scena la moneta buona. Il mix di bugie demagogiche, di complottismo, di invenzioni puerili e di constatazioni delle situazioni di fatto, utilizzato in modo spregiudicato da Grillo e  dal suo guru, ha fatto presa tra tante persone giustamente stufe del crescente degrado senza prospettive di miglioramento.
Ma prima di prendersela con Renzi o con il potere bisognerebbe fare i conti con noi stessi e con le nostre scelte.
Assodato che siamo all’interno di una crisi globale dei paesi industrializzati, dovremmo affrontare la crisi specifica italiana che ha condotto migliaia imprese fuori mercato, tanti lavoratori a casa insieme a tantissimi giovani in attesa di primo impiego. Allora, possiamo renderci conto, per esempio, che l’energia costa in Italia molto di più che nelle nazioni concorrenti e che questo è uno dei prezzi che paghiamo al rifiuto del nucleare, sancito da due referendum, uno dei quali promosso proprio dallo strepitante Grillo. Che la difesa dei posti di lavoro compiuta dal sindacato ha anchilosato le aziende conducendole al collasso. Il rifiuto di rendere flessibile il mercato del lavoro nella lotta al precariato ha bloccato un fisiologico ingresso di mano d’opera in fabbrica. Le idee su cui s’è trincerato il mondo del lavoro sono suicide: nel tempo in cui non ci sono opportunità di occupazione, un lavoro precario è sempre meglio che niente. E i negozi aperti il 1° maggio danno una retribuzione, anche modesta, a chi vi è stato impegnato.
Un contributo decisivo al disastro nazionale e alla mistificazione è da attribuire a tanti protagonisti del mondo televisivo votati a fare ascolti esasperando i toni con i casi marginali, mai a compiere vera, dura, impietosa opera di informazione.
Ora a palazzo Chigi, c’è Renzi con la sua improbabile compagnia di personaggi in cerca d’autore (a parte qualcuno). Nonostante ogni perplessità, va sostenuto, anche con la critica spietata, non combattuto con sciocche parole d’ordine e bugie.
Benché molti non se ne rendano conto, siamo nella stessa barca e, per riprendere una decente navigazione dobbiamo tutti darci da fare in spirito di verità.


  
Probabilmente ha ragione Domenico, ma vi è un fatto innegabile che non si può nascondere e che si chiama paura. Paura delle bugie, paura di ritrovarsi di nuovo nelle identiche condizioni, paura di una politica che vive ancora attraverso l’immagine di figure che sembrano dover accampare verità. Non v’è dubbio che Renzi raffigura una di queste figure e tanto più lui si ostina con la sua decisa politica dei fatti …maggiori sono le perplessità che si possono nutrire per la faciloneria con la quale le sottopone. La sua estrema sicurezza da un lato aiuta, ma dall’altro incute timore poiché le sue sono scelte troppo affrettate ed assolute che in corso d’opera mutano in continuazione.
Mentre si festeggiava la festa dei lavoratori(oggi da molti ironicamente chiamata festa dei disoccupati) si stava consumando un’altra tragedia che coinvolgerà quattromila famiglie di dipendenti della “Lucchini”.. i quali potrebbero perdere il proprio lavoro.. paventandosi la chiusura dell’alto forno dell’antica fabbrica di Piombino.
Grillo ha subito espresso, forse in modo troppo accentuato, il suo sdegno per la politica passata (facendo espressamente riferimento al PD) che ..con la sua negligenza ha omesso di preventivare il problema non apportandovi da tempo le giuste soluzioni….Se Grillo può anche avere esagerato…non v’è dubbio che la politica del nostro Paese.. non si è mai preoccupata di studiare piani di lavoro innovativi a beneficio del territorio, né di preordinare analisi in senso di uno sviluppo territoriale più congenito. Ancora oggi nell’opera di cambiamento proposta dal nuovo Premier questa ricerca è assente.
Ora..si fa presto a suggerire che siamo nella stessa barca e dobbiamo tutti insieme riprendere una decente navigazione in spirito di verità. Pur avendo una figura di Premier che annuncia in continuazione il cambiamento (come sembrasse essere inviolabile e solo suo) ogni paura rimane ed è profonda.. poiché tocca il lavoro e cioè quello che la società oggi considera come l’unico vero valore a protezione della propria dignità, e tocca anche e soprattutto il denaro.. che persino quando si è in una barca in mezzo al mare, riesce a condizionare sull’ordine e la sopravvivenza.
Non per difendere l’indifendibile Grillo parlante, ma la sua.. oggi.. rappresenta l’unica voce in grado di sfondare quelle spesse mura di Gerico di un sistema ancora in essere e che con Renzi assume le vesti ostentate di un cambiamento che domani potrebbe presentarsi assai più rischioso.
Ci saranno anche i polveroni..ma restano tante incertezze e paure..

vincenzo cacopardo 

2 mag 2014

Un commento al nuovo articolo di Domenico Cacopardo del 1°maggio 2014

L'EURO E IL VELOCISTA BOLT
di domenico cacopardo

Secondo l’ultimo sondaggio Ipsos, la percentuale delle astensioni, il 25 maggio,raggiungerà il 40%. Confrontando questo dato con altre valutazioni, la forchetta dell’astensionismo è tra il 32% e il 40%.
Sempre secondo Ipsos il Pd è al 34,7%. Rapportato a un 35% di non votanti, rappresenta il 22,55% degli elettori. Grillo è al 23,7%, quindi al 15,4% degli elettori. Forza Italia è al 19,3% corrispondente a un 12,54%. Lega, Fratelli d’Italia e Tsipras totalizzano un 12,3% che è pari al 7,99%.
La rappresentazione quotidiana messa in scena dai soliti, vecchi e rottamandi conduttori di talk-show trascura il dato e la presa reale dei cinici politicanti in circolazione che annunciano, per esempio, la conquista della maggioranza disponendo di un modesto 15,4%.
Queste elezioni, in effetti, sono sentite, in tutto il continente, come un referendum sull’euro e sullo stato dell’Unione.
Sulla base di questa constatazione, possiamo ritenere che il 35% degli elettori, che, a oggi, non intende votare, è disaffezionato e, quindi, contrario all’euro. A esso va aggiunto il 15,4% di Grillo e il 7,99% degli altri antieuropeisti. Con tutte le riserve che valutazioni del genere impongono, si può dire che, sul totale dell’elettorato,i non sostenitori dell’euro ammontano al 58,39%. Una chiara maggioranza, che rimarrebbe tale anche se l’astensionismo scendesse al 30%.
A Berlino, a Francoforte, a Bruxelles (non a caso ho posto Berlino e Francoforte prima di Bruxelles), a Roma qualcuno dovrebbe interrogarsi su questi numeri e, soprattutto, sul sentiment che non è solo italiano, ma riguarda tutta l’Europa, con particolare gravità nel Sud. È vero che questo Sud, nel quale si addensa la maggior parte dei problemi, non ha né una chiara leadership (la Francia è legata al carro tedesco senza sì e senza ma) né una coerente politica. L’imberbe Renzi dovrà giocarsi un ruolo europeo nei sei mesi di presidenza italiana. Visto il suo approccio nazionale c’è da dubitare che possa conquistare una vera e sostanziosa visibilità, data la scarsa sostanza.
È altrettanto vero che dalla Commissione che verrà occorreranno segnali di maggiore attenzione rispetto alla diversità economiche, sociali e politiche delle nazioni associate. Per dare l’idea, basta un semplice paragone.
Abbiamo un velocista (la Germania) come Bolt che corre i cento metri in 9” e 58 decimi. L’Unione europea e l’autorità monetaria hanno decretato che tutti i paesi corrano alla medesima velocità di Bolt. Insomma, un task impossibile e demenziale.
Tanto è vero che le strettoie di bilancio e di investimento non hanno prodotto altro che il permanere di una recessione deflattiva come non si era mai vista nella storia.
A questo punto, non ci sono molte scelte: l’unica via possibile è la via del realismo, cioè l’abbandono tout-court del Fiscal compact, irresponsabilmente firmato dall’Italia per mano di Mario Monti, la revoca dell’obbligo costituzionale di pareggio del bilancio e la definizione di un percorso ragionevole (comunitario) di risanamento e uscita dalla crisi.
L’alternativa è una sola: il crollo dell’Unione e la fine dell’euro. Le tragiche conseguenze sono ampiamente note, soprattutto per un Paese come l’Italia che deve gestire un immenso debito pubblico.




Credo anch’io che l’uscita dall’euro provocherebbe un vero disastro per la nostra economia e.. non solo per il pesante debito pubblico già stigmatizzato da Domenico, ma anche per una chiara mancanza di materie prime che il nostro Paese non ha: Sappiamo bene che il nostro paese vive soprattutto di manifattura ed altre risorse come il turismo e l’agricoltura e può spingersi solo verso le idee e l’innovazione.
Sarebbe stato più giusto non entrare a far parte di questa moneta.. se non attraverso dei patti più precisi e comunque in relazione ad una comunità europea che avrebbe dovuto affrontare prima ben altri problemi di cui abbiamo ripetutamente scritto. Una volta entrati in questo tunnel rimane quasi impossibile uscirne.
Mi permetto di aggiungere alla metafora del cugino Domenico che oltre a doverci battere contro Bolt, nei terrirori del nostro Sud.. sembriamo dover competere come dei veri paraplegici.    
Ogni forma di progetto Europeo può rimanere utile e funzionale.. se nel contempo si opera un piano strategico che veda un coinvolgimento della Comunità Europea al fine di poter apprestare giuste ed indispensabili infrastrutture per i territori del sud che sono ancora rimasti indietro . Questa strada rende anche necessario il metodo con cui si affronta oggi un sistema di crescita, che non può vedere un’esclusiva applicazione di misure fiscali, ma tenere in considerazione la storia, la cultura e le risorse dei singoli territori.
E’ vero!,,sarebbe il caso di abbandonare le scelte del Fiscal compact e l’obbligo costituzionale di pareggio del bilancio, ma basterà questo a far crescere un paese come il nostro con la palla al piede di un meridione verso cui la politica ha dato risposte solo e sempre inconcludenti?
Non si può non credere ad un’Europa..come non si può ormai più uscire dalla moneta unica, ma la Comunità europea deve potersi esprimere in modo diverso Nazione per Nazione in base alle proprie necessità e valutando a fondo l’importanza della cultura e delle risorse locali.
vincenzo cacopardo