di domenico cacopardo
Nel momento in cui il magistrato Raffaele Cantone sta per assumere il ruolo di supervisore anticorruzione dell’Expo di Milano, ci sembra utile fornirgli un breve pro-memoria.
Nel momento in cui il magistrato Raffaele Cantone sta per assumere il ruolo di supervisore anticorruzione dell’Expo di Milano, ci sembra utile fornirgli un breve pro-memoria.
Le fasi critiche dell’appalto pubblico
sono due: l’affidamento e la gestione. L’affidamento avviene dopo una procedura
complessa, stabilita dalla legge in attuazione di normative comunitarie. Non si
tratta di qualcosa di inattaccabile come si vuol fare credere. Si tratta,
invece, di un modo raffinato per consentire accordi tra imprese (turbativa
d’asta) con o senza la collaborazione della burocrazia. L’unico rimedio è
adottare anche in Italia il sistema in uso nelle gare internazionali: i
partecipanti debbono dimostrare prima di tutto la capacità finanziaria
prestando cauzione per il valore dell’intera opera. Da noi non si fa così: la
garanzia viene prestata su una frazione di opera, calcolata sull’importo di uno
stato di avanzamento o su una percentuale modesta dell’intero importo. Questo
significa che se io posso garantire complessivamente 100 milioni di euro, col
nostro sistema posso concorrere ed assumere, per esempio, 10 appalti da 100
milioni di euro prestando 10 cauzioni da 10 milioni (10% di ogni appalto). È
evidente l’interesse a partecipare a più gare assumendo un impegno di garanzia
modesto per negoziare con i concorrenti spartizioni illegali di lavori. C’è un
modo per impedire la truffa: aggiudicare al massimo ribasso. Si dice: “Ma c’è
il pericolo che il vincitore non realizzi i lavori conquistati con un ribasso
eccessivo.” La risposta è semplice: il vincitore, appunto, deve garantire tutta
l’opera (del resto se a una ferrovia manca un metro, un solo metro, se ne rende
impossibile l’utilizzo).
Così l’aborrito (e si capisce il perché)
massimo ribasso diventa una scelta prima che amministrativa, morale.
In sede di affidamento dei lavori c’è
un'altra via per sfuggire alla legge: aspettare. Aspettare sino a quando
l’urgenza diventa tale da impedire una regolare gara d’appalto, costringendo la stazione appaltante alla
trattativa privata o a procedure abbreviate, naturalmente
opache.
È inutile illudersi: il Parlamento,
quando si è occupato di questi problemi, ha subito volentieri le pressioni
delle varie categorie industriali coinvolte, tutte terrorizzate dall’idea che
il mercato degli appalti pubblici sia effettivamente liberalizzato e preda,
quindi, della libera concorrenza.
La gestione dell’esecuzione dei lavori è
un percorso pieno di trabocchetti per lo Stato: non per le imprese e per i
funzionari pubblici infedeli. Per essi è una miniera di opportunità: varianti
in corso d’opera; varianti suppletive; riserve; revisioni dei prezzi;
impossibilità sopravvenute (per esempio la cava indicata nel capitolato
improvvisamente si esaurisce).
Tutta una casistica raffinata che viene
immaginata durante la fase progettuale in modo che i capitolati contengano, a
presunta tutela delle amministrazioni, quelle clausole che, poi, diventeranno la
sorgente di incrementi di prezzo gestiti dalla burocrazia.
La questione è di sistema: con l’entrata
in scena delle regioni e l’abolizione del Genio civile, non ci sono più
capacità progettuali dirette nei vari settori pubblici. Ci si dovrebbe
rivolgere, perciò, a liberi professionisti, molto costosi. Di fatto, si
preferisce rivolgersi all’impresa A che provvede con i suoi tecnici a fornire
un progetto su cui il funzionario responsabile appone la propria firma
dichiarandolo frutto del proprio ingegno. Come ci si disobbliga? Truccando la
gara in modo che la ditta A che ha fornito il progetto (nel quale sono inserite
tutte le magagne che diventeranno soldi contanti) si ristori delle spese
sostenute.
Qui una soluzione s’era trovata,
introducendo, con la legge finanziaria del 1986, il “prezzo chiuso”, che
rendeva impossibile ogni variazione di costo.
Ma i pubblici poteri si rifiutarono di
adottarlo, ottenendo, addirittura, pareri e decisioni di organi costituzionali
sulla sua inapplicabilità.
Il dottor Cantone, che è magistrato e,
quindi, sa di legge, avrà dinanzi a sé un compito difficile, ma non
impossibile.
A condizione che non soccomba all’urgenza
che gli sarà rappresentata in ogni istante.
Con prontezza, professionalità e
competenza, Domenico ci dà un quadro esatto sulla materia degli appalti, stimolando il magistrato
preposto a non soccombere alle possibili problematiche di urgenza. Il cugino,
con altrettanta lucidità, espone le due fasi critiche dell’appalto
pubblico…ossia quella dell’affidamento e quella della gestione.
In riferimento alla prima, stabilita
dalla legge in attuazione di normative comunitarie, mette in evidenza
l’insensata illogicità delle garanzie per le cauzioni da prestare ..le quali,
fin troppo basse, contribuiscono anche al gioco delle spartizioni illegali dei
lavori. Per quanto riguarda la gestione, è fin troppo
evidente che la teoria del ribasso eccessivo, non potrà che continuare ad
arrecare problemi per la stessa qualità del lavoro da eseguire, favorendo ugualmente
altrettanti pasticci e turbative .
Non essendo il sottoscritto competente in
materia quanto può invece esserlo il cugino Domenico, mi domando però.. perché si sia abbandonata la formula
dell’appalto concorso che.. nel merito.. per l’entità e la stessa
qualità di alcuni lavori.. potrebbe essere ripresa e riadattata.
In una visione più equilibrata, anche al fine di abolire imbrogli e turbative molto
diffuse, si potrebbe ricorrere all’appalto concorso.. ricercando ulteriori nuove
formule in grado di separare la fase tecnica dell’engeenering da quella
prettamente esecutiva: Una ditta che vince l’appalto potrà garantire la fase tecnica ingegnerisitica di propria competenza, ma affidare precisi sub appalti a ditte specializzate
(elettriche- idrauliche-opere civili..etc)
Separazione di competenze per una maggiore
qualità, ma anche gare competitive che potrebbe garantire progetti attraverso una
maggiore idoneità e più idee.
vincenzo cacopardo