Ha
ragione Domenico ..ma sembra addirittura che l'America cerchi un
qualsiasi pretesto per provocare qualche atto di guerra in un
territorio che non gli è mai appartenuto. Non credo che noi italiani
, con tutto il rispetto che si deve per l'aiuto ricevuto nel passato, possiamo ancora
restare legati e vincolati alle teorie imperialiste e spesso assolute degli USA. Che sia Obama la maggiore bufala.. non ci possono
essere più dubbi...come non ci possono essere dubbi sulle azioni di difesa di
Putin di fronte ad una certa arroganza espressa sul caso Ucraina: Problema diplomatico che si sarebbe dovuto affrontare con maggior equilibrio e con la fondatezza di una conoscenza storica territoriale meno approssimativa.
Questa
Europa che si trascina al servilismo di una America tanto lontana dai
veri problemi oggi esistenti, è l'emblema di una Comunità che
rimane incapace di trovare soluzioni diplomatiche più efficaci ed
utili persino a se stessa.
La
verità sull'Ucraina (problema che sembra riaccendersi) è complessa e la responsabilità non può
pesare sulle necessarie tutele operate dalla politica di Putin a
difesa dei terrirori che più gli sono consimili per storia, cultura
ed interessi economici.
Sembrano
comunque volersi volutamente nascondere alcuni fatti essenziali
avvenuti circa un anno fa quando le forze di destra del partito
paranazista Svoboda, hanno militarizzato le difese di Maidan e molti
manifestanti si sono armati di armi nuovissime, fucili e pistole.
Naturalmente qualcuno vorrebbe anche sapere la verità sulla
provenienza di quelle armi dato il fatto che non sia per niente
assicurato che siano di provenienza russa. Vi sono stati
massacri di manifestanti sempre attribuiti ai russi per indurre ad
una indignazione e far sì che i media spingessero a favore
dell'Europa e dell'America.
Di
sicuro in quella data a Kiev gli eventi sono precipitati. Giorni dopo
sembra essersi raggiunto un accordo con il presidente Janukovich e le
forze di opposizione, ma successivamente la notizia fu smentita e poi...
come si è dato sapere... in parlamento si è scatenato l'inferno.
Successivamente... trovato l'accordo tra qualche fischio della
piazza... ci si è apprestati ad una riforma costituzionale, si è
formato un nuovo governo di unità nazionale ed elezioni a breve
termine. In parlamento una quarantina di deputati di Janukovich
passano all’opposizione, si depone il ministro dell’interno e si
delibera la scarcerazione di Julya Timoschenko...infine.. la fuga di
Janukovich.
Appare
certo è che la decisione del destino del paese sia stata concentrata
su una serie di avvenimenti poco chiari... non voluti dallo stesso
popolo ucraino, ma determinati da forze diverse. Avvenimenti che
lasciano senza alcuna chiarezza e che portano al sospetto di
una ulteriore influenza dell'America nei terrirori dell'est.
vincenzo cacopardo
È
Obama la bufala maggiore che ci sia in circolazione, ma gli europei
si sono comportati con lui, al G7 bavarese, come se avessero l’anello
al naso.
Non
c’è nessuno, negli ambienti che contano delle capitali dell’Europa
allargata, che abbia creduto alle notizie diffuse dalla Cia, il
servizio segreto meno credibile del mondo, noto per le bugie
distribuite in giro (le armi chimiche di Saddam, per esempio),
sull’aggravarsi della tensione in Ucraina a opera delle milizie
filorusse. Anche perché lo zar del Cremlino è dotato di un
riconosciuto «esprit de geometrie» che lo induce, anche quando
compie scelte forti e dure, a ragionare sulle situazioni e sulle
mosse da compiere. Non era certo nell’interesse suo e della Russia
venirsene fuori con incidenti sanguinosi alla vigilia del G7,
diventato 7 dopo la sua espulsione.
Interessava
solo al provvisorio ospite della Casa Bianca, ai padroni americani
del business energetico e al loro rappresentante nello scacchiere, il
presidente golpista Poroshenko, presentarsi al vertice accompagnati
dal coro della stampa occidentale che denunciava l’irresponsabile
aggravamento della crisi che inchioda l’Ucraina a un destino non
inatteso, quello del territorio conteso tra Occidente e Oriente.
È
utile ricordare brevemente il succedersi degli eventi.
L’Ucraina
viene governata, dopo molti sussulti provocati dai filorussi e dai
filoamericani, da Yanukovich, regolarmente eletto. Un equilibrista,
questo presidente, in bilico tra le contrastanti esigenze dei suoi
cittadini e, comunque, percepito come non ostile a Mosca. La cosa non
va bene a Washington, a Berlino e allo schieramento di stati
exsovietici che nutrono folli sentimenti revanscisti nell’era
atomica (Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia). Perciò si organizza
un golpe, contando sulla forza dei gruppi neonazisti, sorti
nell’ultimo decennio sulle macerie del passato.
Il
golpe ha successo e porta al potere Poroshenko, un ucraino molto
amerikano.
L’idea,
di certo irrealistica, è quella di spostare l’Ucraina nel campo
americano, completando lo schieramento all’Est dell’Europa, dal
Nord finlandese sino alla Crimea.
Che
l’operazione sia stata considerata ostile dalla Russia non è una
sorpresa, solo una logica ineluttabile conseguenza.
Come
ovunque nel mondo, Obama mostra le proprie irreparabili manchevolezze
di visione e di leadership, aprendo fronti che sistematicamente gli
si rivoltano contro.
Anche
dal punto di vista militare, la situazione è grave e insostenibile,
almeno per noi europei: sulla linea che va dal mare Baltico al mar
Nero volano gli «strikers» occidentali (cacciabombiardieri,
all’occorrenza atomici) in missione di sorveglianza e di
prevenzione.
E
allora, ci si sorprende che la Russia abbia dato il via
all’aggiornamento del proprio armamento missilistico a medio
raggio, cioè antieuropeo? Non lo si immaginava?
Nel
concreto la questione, sfrondata dei demenziali progetti strategici
di Obama, è la seguente: il confronto-scontro, trasferitosi sul
terreno economico, significa un drastico azzeramento
dell’interscambio Europa-Russia, stimato, prima della crisi, in 250
miliardi di euro (con una importante quota italiana).
Se si
volesse allentare la tensione in vista di un «appeasement», la
strada giusta sarebbe approfondire e allargare i rapporti economici,
rendendo la Russia sempre più legata all’Unione europea e, quindi,
sulla via di un solido ancoraggio all’Occidente.
La
politica di Obama, passivamente accettata dalla Germania (e
dall’Unione) invece ha provocato lo spostamento dell’asse
politico russo sulla Cina, con la quale è stato definito il più
grande accordo di cooperazione commerciale della storia del mondo.
Ora,
in Baviera, dopo la faccia feroce del presidente americano, sembra
abbia avuto il via una nuova fase di maggiori sanzioni. Una linea
che, in realtà, a questo punto significa solo che il prezzo delle
sanzioni sarà pagato dalle economie di esportazione dell’Unione,
le vere destinatarie dell’embargo.
Quanto
alla questione libica, si potrebbe dire: «Non pervenuta.»
Si
nota, per il contesto Mediterraneo, l’assenza di peso di Matteo
Renzi, incapace di affermare un qualsiasi ruolo dell’Italia, nè
sul fronte «caos libico», né su quello caldissimo delle
migrazioni.
E
dire che il disastro libico è tutto da attribuire agli Stati Uniti e
alla Francia (Sarkozy), all’inseguimento, quest’ultima, della
estromissione italiana e della sua sostituzione.
Non
sarebbero questi due buoni motivi per rifiutare il ruolo di «fedele
amico dell’uomo», quello che riceve il primo calcio in bocca?
No,
non è bastato. Il giovane e inconsapevole primo ministro italiano se
ne è uscito con una breve filippica contro il governo dell’epoca
(Berlusconi) per la partecipazione all’operazione bombardamenti in
Libia, dimenticando che, a quel tempo, l’Italia fu estremamente
riluttante e che l’interventismo autolesionista fu fortemente
caldeggiato dalla sua parte politica e dalla grande stampa, più
attenta agli interessi transalpini che a quelli nazionali.
Sul dossier russo, invece, il nostro
«premier» ha adottato la linea «coraggio con prudenza»: a
Washington aveva detto a Obama che l’Italia non avrebbe rotto la
solidarietà occidentale. In Germania ha, sostanzialmente taciuto,
rinviando il suo discorso a ieri, alla visita di Putin all’Expo, a
Mattarella e a lui medesimo. Nella speranza di ritagliarsi un ruolo
privilegiato nei rapporti con l’ancora potente orso dell’Est e di
ottenere un qualche consenso per le iniziative possibili in Libia.
Uno
spiraglio, anche minimo, di autonomia che si sarebbe potuto ben
altrimenti spendere al G7.
Domenico
Cacopardo