Quello che
non si riesce a sopportare è proprio quel metodo “sottile di
strategie” per ottenere risultati a favore di interessi politici
personalissimi esaltati proprio dalle “scaltrezze” di un gioco
che... in vero... uno svago non dovrebbe mai essere . Le “furberie di
tipo andreottiano” a cui fa riferimento il dotto cugino Domenico in questo articolo, altro non sono che strategie che appartengono ad un passato che ha
rovinato tutto l'andazzo di una politica che si vorrebbe oggi più
nobile e fattiva. Se Freccero non ha mai sostenuto questa politica
ed i metodi di Berlusconi e Renzi è proprio per il fatto che costoro
si sono sempre mossi con atteggiamenti e posizioni da veri
restauratori e meno come effettivi riformatori. Non credo si tratti
di odiare, ma di valutare l'operato assai discutibile di tali
strategie dedite esclusivamente a distribuire il potere con fini di
ottenere consensi, ma quasi mai per ottenere giusti meriti ed
efficienza.
Con estrema
limpidezza ed un po' del solito disinvolto cinismo...Domenico scrive:
Le capacità manovriere e
mistificatrici del primo ministro che, tra polemiche comunque
contenute, ha portato a casa, con tecnica andreottiana, il risultato
desiderato: tempismo, un gioco sottile di accelerazioni e di
rallentamenti, spregiudicatezza, col recupero di un rapporto
sostanziale con Silvio Berlusconi.
Tutto
si definisce quindi nella capacità di saper manovrare, nella spregiudicatezza.. e nell' aver
saputo giocare con astuzia, ma quasi mai si entra nel merito di
queste riforme , esaltandone e mitizzandone gli sterili risultati e le
figure di coloro che.. con una certa spregiudicatezza.. hanno saputo
ottenere risultati attraverso l'uso di metodi andreottiani o
similari.Quello che purtroppo oggi ancora esalta una gran parte di cittadini che analizzano i risultati come successi personali a prescindere... privandosi di considerarli in profondità nel merito!: E' quella "foma mentis" rimasta legata alle strategie di un passato che ci ha reso politicamente deboli e assai poco costruttivi.
Ma,
non so se Domenico percepisce che è proprio questo vecchio concetto
che si vuole cambiare (sia che esso venga sostenuto dalla politica
del nuovo M5S o condotto da altri nuovi movimenti) da parte di una
nuova politica che avanza con fatica... altrimenti quel cambiamento
non potrà mai essere il vero cambiamento.
Questa è la ragione per
la quale si deve contrastare questo metodo della visione cinica e
pragmatica che avanza dirompente a sfavore di una più larga visione
che tenga conto della ricerca e delle teorie di base e che realizzi
ogni fine come utile funzione. Questa logica delle manovre astute (sia che
si tratti di riforma RAI o altre riforme più complesse) porterà
sempre risultati flebili, scomposti e di parte, ma mai a favore di un
cambiamento che si vorrebbe di vera funzionalità. E' facile dare simili meriti ..molto più difficile operare per un cambiamento più serio senza emulare operazioni di strategie andreottiane di alta convenienza personale che si esprimono, poi, in una bassa politica costruttiva.
vincenzo cacopardo
UN'OPERAZIONE
ANDREOTTIANA
Mentre gli
ultimi guerrieri giapponesi, ignari che il mondo è andato oltre
Hiroschima, il Vietnam, il Golfo, Osama Bin Laden, si battevano come
leoni per impedire la riforma della Rai proposta, per conto di Renzi,
da Maria Elena Boschi, il governo concordava con le opposizioni il
rinnovamento del consiglio di amministrazione, presidente e
amministratore delegato secondo la (vigente) legge Gasparri.
All’operazione
ha, inaspettatamente, partecipato il Movimento 5Stelle che, smentendo
l’usanza di consultare il popolo via web, ha indicato come suo
rappresentante Carlo Freccero, il noto e apprezzato professionista
dei media che, per la vecchiaia e nonostante i riconoscimenti
ottenuti, ha scelto il mestiere di odiatore del mondo e, in
particolare, di Berlusconi e di Renzi.
In realtà,
il risultato ottenuto sul tema Rai conferma le capacità manovriere e
mistificatrici del primo ministro che, tra polemiche comunque
contenute, ha portato a casa, con tecnica andreottiana, il risultato
desiderato: tempismo, un gioco sottile di accelerazioni e di
rallentamenti, spregiudicatezza, col recupero di un rapporto
sostanziale con Silvio Berlusconi, mai venuto meno, in verità,
mediato questa volta da sua felpatissima eminenza Gianni Letta, e
cinica gestione degli uomini in campo.
Repubblica
che, da tempo ha abbandonato il campo di Carlo Magno (capo di tutti i
cristiani) per passare a quello di Agramante (capo di tutti i mori),
protesta stizzita con un durissimo fondo di Ezio Mauro: la
sensazione, però, è che la causa sostanziale della stizza derivi da
una incontestabile caduta di peso e di influenza che restringe la sua
area di riferimento politico agli scontenti di sinistra, cioè a
gruppi marginali e ininfluenti, e, tentativamente, alla combriccola
grillesca, peraltro ben più e meglio interpretata dal noto Marco
Travaglio.
Nel merito,
la nuova Rai è interessante. Si rimuovono la presidente Tarantola,
che, a via Mazzini, sembrava l’asino in mezzo ai suoni, provenendo
da Bankitalia e da una discussa esperienza alla Vigilanza, e il
manager Luigi Gubitosi, il cui risultato migliore (la
riorganizzazione dei Tg) è stato lasciato in eredità ai successori.
Si inseriscono al vertice Monica Maggioni, cui si muove l’accusa di
carrierismo, tipica manifestazione di invidia di colleghi interni ed
esterni, mentre nessuno mette in discussione i risultati sempre
ottenuti negli incarichi svolti, compresi quelli più rischiosi, nei
fronti iraqeni e nel palazzo presidenziale di Assad. E, come
direttore generale (e possibile futuro amministratore delegato) un
personaggio interessante, anche se ignoto al grande pubblico: Antonio
Campo dell’Orto. Cinquantunenne, proviene dall’universo Mtv, e
dal consiglio di amministrazione delle Poste, ov’è stato inserito
proprio da Renzi.
Tralasciando
la povertà degli altri, una compagnia di nani (nei quali si intruppa
Freccero, la cui possibilità di incidere sarà pari a zero), nella
quale spicca per «nanità» una certa Rita Borioni, designata da
Matteo Orfini, col quale ha collaborato nella commissione cultura del
Pd, il duo Maggioni-Campo dell’Orto può imprimere una svolta
all’azienda, introducendo un principio ignorato: la terzietà. Sin
qui l’equilibrio dell’informazione era figlio della
lottizzazione: gli utenti riuscivano a ottenere una rappresentazione
dei fatti e delle opinioni (sempre squilibrata a favore del potere
aziendale, monopolizzato dal Pd, frazioni exdemocristiana ed
excomunista) da giornalisti strettamente lottizzati.
Ora,
potrebbe verificarsi il caso che la notizia governi l’informazione
e, quindi, sia essa dotata di quella terzietà da tutti invocata, ma
da nessuno voluta.
Certo una terzietà limitata dalla riconoscenza per Renzi, la cui
misura, però, è nelle mani dei due massimi dirigenti.
Renzi,
nonostante i propositi bellicosi, ha fatto un bagno di realismo: in
fondo, ma non tanto, questo governo è dominato dalla
democristianeria. Una democristianeria giovane e giovanilista, perciò
più gradevole della vecchia, ma in sostanza sempre uguale a se
stessa: cinismo, complicità, spregiudicatezza praticata con misura,
disponibilità a tutto purché il potere sia mantenuto.
Nello
sfondo, si animano i fantasmi di tragici passati. Se questo metodo di
governo sprofonderà, come spesso sembra voglia fare, i movimenti
populisti e nihilisti si rafforzeranno ulteriormente e sfioreranno il
potere
riportando d'attualità i nostri periodi bui, nei quali il vento
dell’antipolitica ha prodotto una dura tirannia.
Certo,
nello scenario manca una forza politica rigidamente democratica e
liberale, radicalmente legata alla forza della legge e dello Stato di
diritto, capace quindi di prospettare agli italiani una soluzione
diversa, nella quale ci dovrebbe essere l’equilibrio dei diritti e
dei doveri e la moralità pubblica non fosse sfiorata dal dubbio.
Questa
forza c’è stata e si chiama Partito radicale: pur con numeri
elettorali risicati è riuscito a imporre le principali riforme
civili che rendono oggi l’Italia omogenea al mondo laico
occidentale. E ha condotto, con esiti alternati, grandi battaglie di
civiltà.
Oggi, un
declinante Marco Pannella non è più percepibile come un leader
capace di dettare l’agenda del prossimo futuro.
Ci manca,
perciò, chi può far risuonare nelle aule parlamentari la voce della
Repubblica democratica, aperta ai giovani e all’innovazione, capace
di essere protagonista nella Penisola e in Europa.
Dobbiamo
quindi arrangiarci.
Mentre
aspettiamo che il destino di Renzi si compia, sia esso la
sopravvivenza, o sia quello di Cesare assassinato da Bruto, dobbiamo
renderci conto che mentre discutiamo e ci sbraniamo sulla Rai,
l’Egitto di Al Sisi inaugura l’ampliamento del Canale di Suez (un
anno di lavori per 8 miliardi di dollari) a dimostrazione
dell’immarcescibile vecchiezza di questo Stato, dei suoi riti,
delle sue cautele cartolari, dei suoi aeroporti di Fiumicino,
bloccati per mesi per l’incendio di un bar, delle sue Ilva di
Taranto, passata dal governo dell’economia al governo dei giudici,
dei suoi cantieri di fama mondiale bloccati sempre dai giudici.
Insomma, se
Renzi, benché democristianuccio (ma non di sagrestia come quelli cui
eravamo abituati, alla prodi), riesce ad arrivare al 2018 con le
riforme approvate, viva Renzi e il renzismo.
Domenico
Cacopardo