6 ago 2014

un commento alla nuova interessante critica di Domenico Cacopardo



LE PETIT NAPOLEON di domenico Cacopardo

I primi sei mesi di governo hanno conferito un’aura di invincibilità al nostro premier, paragonato spesso, per l’avvio folgorante, e noi per primi, al Napoleone degli esordi, della Convenzione e della Campagna d’Italia. Sono molti i meriti che Renzi ha acquisito dal giorno in cui ha conquistato il Pd, l’8 dicembre del 2013.

Il primo è di avere rimesso al centro la politica, riesumando, anche qui, la tecnica bonapartista della conquista della posizione centrale. Dopo la vittoria nel partito, ha rovesciato il tavolo stringendo un patto (che oggi possiamo dire di ferro) con l’odiato (e invidiato) nemico del popolo, Silvio Berlusconi. Si è costruito così due maggioranze intercambiabili e prone ai suoi desideri: quella della coalizione al governo e quella delle riforme istituzionali, più ampia.

Ha avuto fortuna. È stato aiutato dagli sciocchi errori di Grillo e della sua improbabile armata: il comico genovese, che dall’entrata in politica lucra i dividendi di un blog largamente usato dai pubblicitari, aveva avuto in mano per qualche settimana il Paese. Il segretario del Pd, Bersani, gli aveva porto in un piatto d’argento e in diretta streaming l’azione governativa, secondo le sue contraddittorie, inconsistenti e spesso sciocche proposte.

Ebro dell’inaspettato successo elettorale, Grillo aveva rifiutato, ridicolizzando l’interlocutore (Bersani stesso).

Gli autobus, nella storia, passano una sola volta e lui l’aveva perduto.

Ed è stato aiutato dall’algida signorilità di Enrico Letta, rimosso come un qualunque impiegato del comune di Firenze.

Dunque, occorre riconoscergli anche l’archiviazione degli eredi del Pci e l’avvio di una stagione di trasformazioni epocali. Per il Senato siamo agli sgoccioli ed è lecito immaginare che questa settimana la prima lettura di Palazzo Madama sarà compiuta. 

Il resto, cioè le riforme annunciate e in via di approvazione, sono al 90% aria fritta, nel senso che la loro funzione non è quella di trasformare la burocrazia, la giustizia, il mercato del lavoro, le pensioni, ma solo quella di permettere al capo e ai suoi evanescenti collaboratori di annunciarle come compiute. Un’operazione immagine (un tempo si chiamava propaganda).

Nella cavalcata di questi mesi sono, però, già visibili i limiti della politica del premier e il suo orizzonte.

La trasformazione dell’Italia costituzionale in una Repubblica monocamerale con preponderanza dell’esecutivo e del suo presidente, si presenta come una serie di successive battaglie parlamentari, tutte da vincere. Siamo appena agli inizi e il percorso sarà accidentato. 

Certo, come disse Mao Tse Dong, «La lunga marcia cominciò con un passo.» Nel caso di Renzi, tutto è legato al modello di governo, accentrato e ben lontano da quello definito dai padri costituenti proprio per evitare il pericolo rappresentato da gente come lui. L’altro elemento critico è e sarà l’economia, scienza che non si può addomesticare con le parole.

Infine, il giovanotto fiorentino ha accoppiato a rovinose cadute diplomatiche, alcune iniziative che ci fanno ritenere che possegga un buon intuito. La visita ad al-Sīsī, presidente egiziano, è un passo importante verso il fronte islamico moderato (l’unico che può determinare la pace in Medio Oriente) e per una politica attiva verso la Libia. E, a proposito di Libia, l’avere tenuto sino a ora le posizioni con il mantenimento in vita della nostra ambasciata (la sola tra quelle occidentali) ci può restituire il ruolo perduto per la sconsiderata iniziativa di Sarkozy e delle truppe francesi nel 2011.

Insomma, per tornare al confronto bonapartista, la campagna di Russia è ancora lontana e Renzi può felicemente godere della gloria che arride agli audaci, ai fortunati, ai furbi e, perché no, ai capaci.



IL PREGIUDICATO E... LO SPREGIUDICATO

Una critica equilibrata e ricca di argomenti che Domenico Cacopardo esprime al meglio e con chiara scrittura. Il paragone con la figura di Napoleone sembra opportuno...ed il patto con l'odiato nemico del popolo.. pare rinforzarsi. 

Si..è vero!..il Premier è stato persino fortunato... aiutato dagli errori commessi da altri e messi in evidenza nella critica di Domenico, ma la sua sete di ambizione lo condannerà poiché appare totalmente privo di umiltà nell'affrontare le immense problematiche.

Tuttavia non è strano in un Paese come il nostro (dove tutto pare possibile) vedere insieme un pregiudicato ed uno spregiudicato (divisi da una sola s) dettare il programma e le regole della futura politica...ed è sempre il popolo, in parte ingannato ed in gran parte ignorante, a volere tutto ciò. 

In quanto all'intuito, lo stesso cugino Domenico, potrebbe insegnarci che... se non posto per un buon fine e solo per usi fin troppo grandiosi e personali, non potrà mai ottenere i risultati che si vorrebbero. I gufi sembrano quasi scomparsi dall'immaginario del premier...ma penso che ben presto arriveranno le volpi.. (compagnie spesso presenti nella compagine del suo alleato per le riforme).

Il Paese sembra proiettato verso lo sconquasso economico...ed il popolo.. testardo quanto mai....invece di ponderare con equilibrio ed una maggiore conoscenza i programmi....continua a nutrire speranze verso queste figure comunicative capaci di incantare.
vincenzo cacopardo

5 ago 2014

un commento ad un nuovo articolo di Domenico Cacopardo



Hic et nunc  di domenico Cacopardo

Ormai la questione è di vita o di morte per Renzi, il suo governo, il suo partito e, in qualche modo, l’Italia.

Lo scontro sulla riforma del Senato è di quelli che definiscono vinti e vincitori per i prossimi anni. La ratio appare evidente: semplificare i meccanismi decisionali dello Stato eliminando la facoltà di ricatto consegnata dalla Costituzione più bella del mondo (dichiarazione del noto costituzionalista e pensatore Roberto Benigni) ai gruppi organizzati. 

A parte le vedove della prima Repubblica, capeggiate da Rodotà e Zagrebelsky, non c’è una lacrima da versare sulla fine di quel potere di ricatto che tanto è costato a tutti noi. E penso ai danni procurati al Paese, per esempio, dai Verdi, pronti a tutte le battaglie e a tutti i cedimenti in relazione ai rapporti ufficiali e ufficiosi con il governo di turno.

Tuttavia, le cose non sono così semplici. Mentre disinnesca i partitini e i gruppetti, Renzi consegna un altro enorme potere di ricatto alle regioni, centri di spesa al di fuori di ogni controllo: il nuovo Senato, infatti, sarà composto di rappresentanti regionali, che voteranno poche cose, ma cruciali come la legge di bilancio e le riforme costituzionali. 

La legge di bilancio è la norma fondamentale dello Stato: sottoporla al voto di rappresentanti regionali fa cadere tutti gli aspetti positivi della riforma del Senato e dimostra la pochezza di Renzi e del suo disegno (se così si può chiamare una macchia di colori che compone un quadro astratto di difficile interpretazione).

Certo, è possibile che il premier pensi a un working in progress e, cioè, a successive modifiche dell’assetto istituzionale. E una rettifica dei contenuti che dia alla riforma una coerenza interna non indebolirebbe il supponente ragazzo fiorentino, anzi gli darebbe un briciolo dell’autorevolezza che non ha. 

Non lo farà: circondato da modesti yes-men, da qualche professore trombato, da excomandante di vigili urbani ed exsegretario comunali, ispirato dal prolifico endocrinologo di fiducia, Matteo Renzi insisterà sull’approvazione del suo progetto, cozzando contro l’ostruzionismo delle opposizioni. 

A questo punto, deve farcela. 

Il benaltrismo, di cui s’è fatto portavoce Massimo Mucchetti su questo giornale, non aiuta. Anzi, l’ostruzionismo, concretamente, rinvia ogni decisione sui temi vitali dell’economia e della società, visto che le cosiddette riforme (altre) presentate in Parlamento non sono riforme in senso stretto: solo rimasticature di leggi già approvate e immeritate punizioni di alcune categorie sociali, in gran parte essenziali per il funzionamento dello Stato.

L’esito della battaglia appare oggi scontato a meno di una defezione, sempre possibile, di Berlusconi.

I tempi rimangono nebulosi, consegnati alle indecisioni e all’inesperienza atonica di Grasso, uso più ai corridoi ovattati delle procure che alle calde battaglie parlamentari.

Dopo, verranno i problemi veri. È appena uscita una classifica Ocse sulla pressione fiscale: nei paesi del panel che ci pone al primo posto come pressione fiscale, compresa l’economia nera e criminale. I dati del Pil in vari paesi dell’Unione, a cominciare dalla Spagna e dalla Grecia, sono stupefacenti: superiori all’1,5% dimostrano che le riforme non fatte dal fallimentare Monti (mercato del lavoro, prima di tutto) funzionano e danno speranze per il futuro.

E poi, la nuova legge di stabilità, che si dovrà far carico di una situazione peggiore del 2011, quella che portò al golpe bianco di Bce e Bankitalia: un premier normale, non un’anatra zoppa come Berlusconi, avrebbe dovuto immediatamente rimuovere n governatore che s’era permesso di firmare un ultimatum al governo del suo Paese.

Oggi, però, proprio la Bce che ci aveva condannato, ci sostiene nonostante il peggioramento del rapporto debito pubblico/Pil (al 135%). 

Nonostante gli aiutini, non credo che, nel cruciale autunno 2014, questo governo sarà capace di affrontare con efficacia l’appuntamento con le riforme vere.

Mi rendo conto che il discorso sembra contraddittorio: ma a nessuno conviene che la prova di forza in corso veda soccombente la compagine ministeriale. Il disastro che cerchiamo di rinviare e di evitare sarebbe immediato.



"Hic et nunc"...ossia "qui e subito"..senza alcun differimento nello spazio e nel tempo..Non si potrebbe meglio rappresentare un simile lavoro (vago ed sbrigativo) condotto oggi dal premier Renzi.

Persino ogni forma di "working in progress" del sindaco d'Italia è pensata ad hoc per il funzionamento di un governo più forte e deciso..per fornire allo stesso.. quella autorevolezza che tende a dare forza ad un decisionismo senza limiti.

Domenico Cacoapardo sottolinea le indecisioni e l’inesperienza atonica di Grasso... e su questo non gli si può dare torto. Evidenzia il benaltrismo di cui si è fatto portavoce Muchetti e l’esito di questa battaglia che appare oggi scontato a meno di una defezione di Berlusconi. Rimangono sempre in piedi i veri problemi strutturali di questa Nazione: ..la mancanza di una vera crescita..un forte peso fiscale che opprime le aziende..una legge di stabilità che tiene lo stesso Paese nell' insidia costante.

Al di là di come possa pensarla l'esperto cugino Domenico..che da un lato incoraggia lo stesso governo e dall'altro riscontra le enormi problematiche in arrivo per il prossimo anno...io penso che Matteo Renzi si sia soffermato con piglio sulla legge del Senato per dimostrare all'unione europea la propria capacità di determinazione, ma ancora di più... per poter costruire una base futura di governabilità più forte e comoda che possa rendergli maggior forza e sicurezza. Per far questo, persino incoraggiato e protetto dal muro del silenzio offerto dalla maggioranza del proprio Partito, sta mettendo a rischio ogni forma di democrazia. 

Il suo scopo è quello di poter governare tranquillo con una forza parlamentare di una sola Camera determinata da un sistema bipartitico che metterà a tacere definitivamente la restante gran parte soccombente. Vuole poter governare con la forza di un falso sistema di democrazia che purtroppo sembra piacere al popolo che continua a sostenerlo.

In questa storia quello che poco convince è il ruolo di un Partito come il PD che invece di proteggere un paradigma di vera democrazia.. offre il fianco ( forse solo per opportunità e voglia di potere) ad un sistema ipocrita che inganna quella gran parte del Paese che ancora ignora le regole democratiche ed il vero fine di un a governabilità. 
vincenzo cacopardo

4 ago 2014

Un richiamo al governo del sindaco d'Italia


Il commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli, ha richiamato il governo, avvisando di non continuare a dirottare altrove risorse, al fine di non rendere impossibile ridurre il peso fiscale. Nei fatti Cottarelli e la stessa Ragioneria hanno messo in avviso il governo sulla impossibilità di utilizzare il risparmio per ridurre una possibile tassazione sul lavoro.
Quelle della Ragioneria e del commissario sono state delle autentiche critiche nei confronti di un modo di governare non esattemente nella logica di una crescita ..Un richiamo alla stessa Ministra Madia che sembra essersi affrettata a rivedere il Decreto legge PA, la quale ha subito dichiarato che verranno presentati dallo stesso governo alcuni emendamenti soppressivi per correggere qualche punto al fine di sbloccare i pensionamenti per l'istruzione. Si cambieranno alcune soglie, ma non per tutti i dipendenti pubblici.
Continua dunque con una certa improvvisazione il lavoro di un governo che sembra innanzitutto aver premura di chiudere di gran fretta la riforma del Senato e pare dimenticare che il Paese continua a navigare con un carico fiscale del 53% .


Il nuovo Senato sembra ormai correre verso un traguardo che lo vedrà pieno di contraddizioni e con i nuovi rappresentanti che potranno votare la legge di bilancio con una ulteriore capacità di ricatto. Un governo che sembra in grado di voler e poter far tutto... con risultati precari che ancora non siamo in grado di valutare. La figura ed il determinismo del giovane sindaco d'Italia piace al nostro popolo che rimane sempre affascinato dal giovane boy scout fiorentino ...ma tra le improvvisazioni di alcune sue Ministre e le chiacchiere continue...sembra che Renzi continui una ricerca più verso i gufi che lo contrastano...che verso un preciso obiettivo..... le sue magie non sembrano ancora venir fuori!    

vincenzo cacopardo

UNA INTERESSANTE NOTA DI SARO NEIL VIZZINI IN ARMONIA CON IL PENSIERO E LO STUDIO DEL FORUM

"Lo Stato asociale" di saro neil vizzini


Intendiamoci subito facendo una distinzione fondamentale, che seppur prevista dalla Costituzione italiana è ampiamente passata di moda: una cosa è lo Stato, altra i partiti politici. Lo Stato di per sé non è nemico del cittadino. È stata la partitocrazia e il consociativismo a renderlo tale.

«Siamo entrati in una fase pre-Montesquieu», spiegava Leonardo Sciascia citando. La Costituzione di carta di Mario D’Antonio (Giuffrè Editore), «i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario,ndr), che dovrebbero restare indipendenti, si sono riunificati nella partitocrazia. Cioè i partiti fanno le leggi, le fanno eseguire e le fanno giudicare. Quando c’è questo una democrazia non esiste più».
In parlamento, prosegue Sciascia nel video assemblato per YouTube, siedono 600 anime morte. Gente che non è mai intervenuta. E che forse neanche ha un punto di vista suo personale su quello che vota. Siamo dunque di fronte a una casta e ai suoi fantocci. La situazione peggiore per delegare loro una riforma istituzionale, ammesso e non concesso che questa sia cruciale per uscire dalla palude della crisi dove sempre loro ci hanno relegato e ci costringono a restare.
E la contingenza è delle peggiori. «La crisi incide sugli assetti sociali della popolazione e sul welfare pubblico. Il ceto medio risulta sempre più fragile, la disoccupazione giovanile ha assunto proporzioni insostenibili e le fasce più anziane della popolazione, vuoi per il prolungarsi della vita media, vuoi per la carenza delle strutture di supporto e per l’impossibilità di molte famiglie di farsene carico, necessitano di assistenza e protezione».
È il quadro, quanto mai preoccupante che emerge dal Rapporto “Un neo-welfare per l’Italia. Autoprotezione, mutualità e cooperazione”, edito da FrancoAngeli (240 pagine), e commissionato dalla società cooperativa assicurativa Assimoco a Ermeneia, Studi & Strategie di Sistema. Rapporto presentato lo scorso 14 maggio presso la Biblioteca della Camera dei Deputati nella Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto a Roma. E che vuole essere uno strumento scientifico utile a chi desidera trovare risposte concrete per intraprendere un percorso che porti a un rinnovamento della fiducia e a nuove soluzioni di protezione sul piano sociale ed economico.
Il grande tema dunque, più di qualsiasi riforma elettorale o costituzionale, è la crisi dello Stato sociale. Ridotto in passivo dall’azione congiunta della corruzione e della speculazione sul debito degli Stati sovrani. Chi scrive, ad esempio, a 42 anni sapeva già che non avrà mai una pensione.
Un altro dato messo in luce dall’indagine e relativo al fatto che «esiste un doppio livello di consapevolezza nella popolazione che, da un lato, riconosce i segnali di un cambiamento profondo del ciclo di convivenza e, dall’altro, sottolinea la necessità di assumere maggiore responsabilità in tema di autoprotezione individuale, familiare e collettiva».
Il campione di popolazione intervistato (2000 questionari validi, raccolti attraverso un panel telematico, costituto da circa 1000 famiglie italiane, nel cui ambito hanno risposto i singoli individui da i 18 anni in su) registra in maniera significativa il passaggio di coesistenza che oggi stiamo vivendo e ciò emerge soprattutto considerando tre aspetti.
«Il primo riguarda i mutamenti profondi di ciclo che la crisi ha bruscamente accentuato: il 63,4% degli intervistati riconosce l’inversione di tendenza rispetto alle aspettative sociali, ossia è consapevole del fatto che il ciclo precedente si presentava all’insegna della crescita sempre e comunque (più lavoro, più reddito, più welfare pubblico), mentre quello attuale suscita aspettative contrarie (meno lavoro, meno reddito, meno welfare pubblico). Il secondo aspetto riguarda la diffusa necessità di porre maggiore attenzione agli aspetti relazionali e alla solidarietà delle persone (49,5% di consensi), mentre il mood relativo al precedente ciclo vedeva il prevalere di spinte individualistiche. Il terzo aspetto è relativo a quel 54% degli intervistati che ammette che l’attuale situazione economica problematica ricorda come ogni generazione debba affrontare la discontinuità  delle condizioni  di vita rispetto alle  generazioni precedenti e questo deve servire a trovare modalità diverse di vivere che sfidano il modo di pensare degli italiani, il modo di agire e di fare progetti per il futuro».
E se in Italia la questione è particolarmente sentita, per entrambi i motivi che l’hanno determinata, anche all’estero non è da meno. Il Rapporto infatti analizza la situazione in Germania, dove di recente è stata abbassata l’età pensionabile. Mentre negli Stati Uniti d’America fa ancora discute il passaggio dalla sanità privata a quella pubblica con il programma Obamacare.
Tante le domande e i dubbi che assillano cittadini, tecnici e politici attenti ai mutamenti sociali (invero pochi): lo Stato è ancora in grado di sopportare i costi di un welfare organizzato ancora come ai tempi della rivoluzione industriale? Quale modello adottare invece? E ancora: ci si può fidare delle imprese private nell’espletamento di questi servizi pubblici? O si rischia ancora un darwinismo sociale come quello determinato dalle assicurazioni sanitarie private in America?
Proprio il Rapporto Assimoco sottolinea come «un’organizzazione economica moderna non può più operare senza la consapevolezza di trovarsi di fronte a un consumatore che è al contempo un cittadino e che chiede a voce sempre più alta un’impresa che sia economica, ma anche civica».
Un fenomeno che esiste già e che è chiamato Corporate Social Responsibility (responsabilità sociale d’impresa), in forza dei cui principi di solidarietà molte aziende, di ogni settore merceologico, che finanziano progetti sociali d’ogni genere (scuola, ambiente, assistenza, sanità, ecc.). E se i più critici dicono che lo fanno solo per un fatto d’immagine e reputazione e per lo stesso motivo che funzionano.
Ma una cosa è un progetto filantropico altro gestire la previdenza o l’assistenza infortuni di un’intera nazione. Per cui è necessario coniugare al meglio profitto e responsabilità sociale. Ed è qui che entra in gioco un patrimonio tutto italiano: le cooperative. Tema a cui dovrebbe essere sensibile l’attuale Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che proprio da quel mondo arriva.
Il Governo italiano sostiene però che per uscire dalla crisi è necessario modificare la Costituzione, rendere il Senato non elettivo e introdurre una legge elettorale identica a quella bocciata dalla Corte Costituzionale solo sei mesi fa. Strano che in quell’America che tanto piace ai democratici italiani in quasi 250 anni non hanno mai pensato di cambiare la Costituzione, eppure di crisi ce ne sono state.
s.n. Vizzini



28 lug 2014

il "caos agitato" di Domenico Cacopardo


IL "CAOS AGITATO" del consigliere Domenico Cacopardo

La giornata parlamentare del 24 luglio sarà ricordata per la scomposta agitazione delle minoranze nei confronti di Renzi e della sua ampia maggioranza. Anche la manifestazione davanti al Quirinale va iscritta nell’albo del dilettantismo politico, venato dallo squadrismo riportato alla ribalta dai distintissimi esponenti del M5S. Insomma, un caos agitato che ha portato acqua al mulino del premier e al suo riformismo pop. Chiamiamo pop il cosiddetto riformismo di Renzi perché è privo di un disegno coerente e compiuto e consiste in un «happening» continuo, nel quale il mondo si divide in sodali-dipendenti e nemici.

Il pasticcio nasce nelle insufficienze di Pietro Grasso, presidente del Senato e nel suo comportamento ondivago. L’ammissione del voto segreto su alcuni emendamenti in accettazione dei desideri dei grillini, ma contro la maggioranza, ha poi suscitato il severo richiamo del Quirinale e la decisione della conferenza dei capigruppo di porre il limite dell’8 agosto. È evidente che 8000 emendamenti dovevano, nella mente degli strateghi che hanno scelto questa strada, costringere il governo a desistere o a trattare. 

Ma è altrettanto chiaro che la resa di Renzi sarebbe stata totale, in quanto non c’era una seconda linea di riserva. 

Perciò, la maggioranza non aveva altra strada che indicare una data limite per il dibattito. Altrimenti, il Parlamento sarebbe stato inchiodato per mesi sulla riforma del Senato e del titolo V, dimenticando tutta l’imponente, spesso inutile, produzione legislativa.

La parola «elezioni», pronunciata da Giachetti e dal cerchio magico renziano era un’arma spuntata. Napolitano, nonostante l’impegno anomalo nel sostegno del governo (già manifestato per Monti e Letta, con il finale che s’è visto), non può concedere le elezioni durante il semestre italiano di presidenza. E che la resa di fronte al ricatto degli emendatori, avrebbe cuociuto a fuoco lento il ministero per condurlo presto alla fine (successore designato Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia con funzioni commissariali).

Questo non significa che il futuro della riforma è assicurato. Tutt’altro, viste le incertezze del premier, ignaro delle trappole parlamentari e digiuno di troppi capitoli dell’Abc della politica.

Immaginate che la fascinosa Boschi, riprendendo le parole di Renzi, per negare un disegno autoritario, ha annunciato un referendum sulla riforma, dimenticando che il referendum è dovuto (non dal governo, ma dal sistema) se le riforme costituzionali non raggiungono la maggioranza assoluta nei due rami del Parlamento. 

Troppi fronti aperti tutti insieme, una specie di palingenesi alla tedesca, nemici a Est, nemici a Ovest, a Nord e a Sud: sappiamo come andò a finire e quali ferite una simile guerra inferse ai tedeschi.



Su questa strada il «boy-scout» fiorentino non andrà lontano. Ma i pericoli che corre, purtroppo, coinvolgono Giorgio Napolitano e la medesima Repubblica, dato che si manifestano in una congiuntura economica che sfiora la tragedia: il messaggio di fiducia di Renzi non è passato; la mossa degli 80 euro inutile; l’economia peggiora; il bilancio anche, visto che si sono decise spese dimenticando i vincoli europei.
Troppo per Renzi, troppo per tutti noi.

nuovo articolo di Domenico Cacopardo sulla crisi internazionale



L'ANARCHIA REGOLA IL MONDO di domenico Cacopardo
Già dalla pace di Westfalia del 1648 s’era imposto un ordine internazionale, poi dissolto da Napoleone I, restaurato dal Congresso di Vienna, dissolto da Napoleone III, varie volte scomparso e restaurato, sino al mondo bipolare Usa-Urss che, in qualche modo, aveva stabilito un sistema di diritto internazionale, fondato sull’equilibrio del terrore, che ha retto per quasi cinquant’anni. Poi, è accaduto che l’America monopolizzasse i rapporti tra gli stati, diventando, per mano di Bush padre e di Bush figlio il gendarme del mondo.

Le cose si sono rapidamente complicate: la Cina soprattutto ha assunto il ruolo di seconda (o prima) tigre, mentre il mondo islamico ha percepito come un «liberi tutti» l’uscita degli Stati Uniti dall’Iraq e la personale promozione della democrazia operata da Obama a partire dall’Egitto.

Il mondo occidentale, per l’insipienza del presidente americano, ancora più evidente da quando Hillary Clinton è stata sostituita dall’imbarazzante John Kerry al dipartimento di Stato, e per la stupida «Grandeur» di Sarkozy, cui ha tenuto mano il governo di sua maestà britannica, è tornato all’ininfluenza, registrando una serie di gravi sconfitte, e si trova incastrato in una situazione senza vie d’uscita. L’Egitto, per forza propria (della borghesia laica soprattutto), è uscito dalla spirale dell’integralismo medievale dei Fratelli musulmani, ma la Siria è precipitata in una guerra civile nella quale gli alleati dei «nostri» sono gli stessi terroristi che hanno fondato un califfato islamico, nel quale i cristiani sono perseguitati e, con essi, le donne cui è stata imposta l’infibulazione obbligatoria. La Libia è ai materassi. E la cosa non ci dispiace, visto che gli italiani sono stati di fatto estromessi dai francesi che hanno insuperabili difficoltà a stabilizzare la situazione. Non sembra che facciamo parte della medesima comunità che l’ipocrisia degli attuali statisti chiama Unione. 

Sull’Ucraina, il gioco è oscuro e comunque lontano dagli interessi italiani. Dobbiamo realisticamente, poiché non vogliamo estrarre l’olio e il gas dell’Adriatico, né le centrali a combustibile nucleare, prendere atto che senza il gas russo possiamo chiudere quel poco che rimane aperto.

La guerra Israele-Hamas è un altro frutto avvelenato dell’anarchia mondiale. In assenza di un ordine internazionale con riferimenti certi e politiche chiare, è evidente che per Israele –il popolo ebreo ha crediti irredimibili verso l’umanità- era necessario combattere una battaglia di contenimento nei confronti del movimento terroristico di Hamas. Purtroppo i media italiani si alimentano delle informazioni della propaganda islamica e non riescono ad avere un atteggiamento equilibrato nei confronti di una tragedia che si sta consumando dalla Shoa in poi. 

Chi può offrire garanzie a chi? Solo le armi possono garantire una tregua di un paio di anni e poi si ricomincerà. Ricordo che gli israeliani, circa 8.000.000, in un mare arabo, non hanno speranze di sopravvivere se non in un contesto di forzata pacificazione generale. Quindi, Netanyahu sa benissimo, come lo sapevano i maggiorenti del Ghetto di Varsavia, che il suo Paese ha gli anni contati e, di fronte al silenzio generale (incredibile quelli tedesco, americano, francese, italiano e via di questo passo) non può che combattere.



In questa situazione, opera la missione italiana «Mare nostrum»: un impegno umanitario che, però, incentiva oggettivamente l’afflusso di disperati in Italia. E l’Europa, abbia il coraggio di dirlo Alfano, non condivide la politica italiana della «Porta aperta» che disperde nel continente gente di tutte le specie, compresi terroristi, portatrice di malattie endemiche e incontrollabili. Se l’Unione si occuperà del problema, vorrà porre una barriera, del genere di quella costruita dagli spagnoli. Una barriera nel Mediterraneo, significa blocco e respingimento. Con buona pace delle tante anime belle che aprono le braccia degli altri.

25 lug 2014

prove tattiche di un bipartitismo in arrivo



AVANZA UNA POLITICA GOVERNATIVA DI COMODO A DISCAPITO DI UNA CULTURA POLITICA DEL SOCIALE”
di vincenzo cacopardo

Ormai è chiaro che i Partiti di destra si ricompatteranno per sostenersi con forza e creare quella opposizione alla governabilità del sindaco d'Italia Matteo Renzi. Berlusconi è in grado di ricompattare tutta la destra ed è inutile cercare di capire quale sia la sua vera forza.. poichè non può sottovalutarsi la sua autonoma forza economica che gli permette, anche su un piano psicologico, di sottomettere chiunque all'interno del suo Partito. Nel suo percorso politico il cavaliere, ha di fatto individuato nei suoi adepti un servilismo esasperato utile alle sue esigenze. Imbarazza certamente di più quel suo parterre femminile che appare psicologicamente asservito alla figura del capo supremo e che lo osanna costantemente come un semidio.
Quello che è certo è il fatto che Silvio Berlusconi (ai servizi sociali o no) persevererà nel suo percorso politico in forza delle notevoli risorse economiche e spinto da tutti coloro che pensano ancora che col denaro e una  non producente teoria delle contrapposizioni, si possa sopravvivere ad una società che avanza senza sosta verso una sorta di autodistruzione.. non trovando più forza sulla principale risorsa dei valori.

Si ricomincerà..quindi.. con la solita lotta sulle rigide contrapposizioni destra-sinistra.. che in Italia, più che negli altri Paesi, ha già generato scontri con accentuazioni di anomalie senza sosta. Si escluderanno di fatto le forze dei piccoli Partiti portatori di nuove idee ed iniziative e si lavorerà per una politica tendente a concretizzare con la forza di un pragmatismo smisurato che taglierà un dialogo in favore di una vera cultura politica...(d'atronde che ce ne facciamo della cultura?).. e nei momenti di difficoltà si ricorrerà..come di consuetudine..ai soliti compromessi fra le parti...

Con il percorso voluto dalle nuove riforme... imposte dall'alto dal governo del sindaco d'Italia... si tenderà a restringere la politica in un “bipartitismo”.. ancora più assoluto e rigido di ogni “bipolarismo”.
Il monocameralismo.. ed una nuova legge elettorale ad hoc..chiuderanno il cerchio..

La politica tenderà sempre più ad assomigliare ad un gioco di squadre ..si esprimerà come quelle regole che guidano il calcio spettacolo, senza più una vera cultura del sociale.. mortificando di continuo le stesse istituzioni..Ogni piccolo residuo di cultura democratica dovrà lasciare il passo ad esigenze costruite ad arte per rendere più semplificativo il percorso di comodo di ogni governo edificato dall'alto. Questo appare il fatale cammino di una politica condotta da chi vuole che la società resti sottomessa agli schemi di chi un potere lo detiene e che.. con la forza delle propie risorse... tende ad imporre alla stessa politica un percorso obbligato.



Una nota aggiuntiva all'ultimo articolo di Domenico Cacopardo



L'INCOERENZA DI PIETRO GRASSO
Uscito dal logoro cilindro di Pierluigi Bersani, Pietro Grasso, senatore e poi presidente del Senato, ha dato ulteriore dimostrazione di insensibilità istituzionale e politica compiendo una vera e propria giravolta. 

Qualche mese fa, il 27 novembre 2013, dovendosi decidere sulla decadenza di Silvio Berlusconi, aveva ritenuto giustificate le richieste del Pd –che temeva qualche scherzetto dei 5Stelle-, e disposto che la votazione fosse palese, in violazione dell’art. 113, comma 3 del regolamento del Senato («3. Sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni comunque riguardanti persone e le elezioni mediante schede.»). L’«Habeas corpus», un principio generale del diritto delle genti, riconosciuto in tutto il mondo civile, e di cui s’è fatto strame in Italia, veniva quindi pubblicamente stracciato proprio dal presidente del Senato che, in quanto excapo della Procura nazionale antimafia, quindi magistrato apicale, avrebbe dovuto difenderlo con le unghie e con i denti. 

Certo, c’era il pericolo che, nella votazione segreta, alcuni senatori non votassero sulla base delle evidenze documentali, ma si esprimessero, coperti dal segreto, contro la decadenza del cavaliere di Arcore: un’occasione di scandalo nazionale che sarebbe stata utilizzata con la solita cinica spregiudicatezza del comico Grillo e seguaci.

Ma è proprio la libertà di coscienza dei senatori che il regolamento, all’art. 113 intende difendere. Solo rozzi illiberali possono ritenere giusta l’introduzione del vincolo di mandato che impone di votare secondo gli ordini del partito.

Non era la prima volta che i regolamenti parlamentari venivano violati. Ricordo la mozione di sfiducia ad personam ammessa, in spregio al regolamento, nei confronti del ministro della giustizia Filippo Mancuso, magistrato di Cassazione, un uomo scomodo che non si sottomise al vento della maggioranza.

Del resto, non difese le prerogative della Camera dei deputati nemmeno Giorgio Napolitano che, nella difficile stagione di Tangentopoli, consentì alla Guardia di finanza di accedere nell’edificio alla ricerca di documenti, pubblici e pubblicati, sui bilanci dei gruppi parlamentari. Un atto solo dimostrativo, inteso a stabilire il predominio del potere giudiziario su quelli legislativo ed esecutivo.

Chi conosce da tempo Pietro Grasso non si stupì nello scorso novembre e non si è stupito oggi quando il presidente ha accordato (una giravolta di 180°) il voto segreto su alcuni aspetti della riforma costituzionale in discussione in questi giorni. 

È vero che il 4° comma dell’art. 113 prescrive che «A richiesta del prescritto numero di senatori, sono inoltre effettuate a scrutinio segreto le deliberazioni relative alle norme sulle minoranze linguistiche di cui all'articolo 6 della Costituzione; le deliberazioni che attengono ai rapporti civili ed etico-sociali di cui agli articoli 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,21, 22, 24, 25, 26, 27, 29, 30, 31 e 32, secondo comma, della Costituzione; le deliberazioni che concernono le modificazioni al Regolamento del Senato.» Ma è altrettanto vero che nel caso del 3° comma Grasso si era comportato in modo opposto. 

Il tutto sulla base del comma 5 che affida al presidente -sentita, ove lo creda, la Giunta per il Regolamento- la soluzione di un eventuale controversia sulla votazione per le fattispecie del comma 4.

Al Pd, che oggi vorrebbe il voto palese, si può dire «Chi di coltello ferisce, di coltello perisce.»

Ora, mentre scrivo, è in corso una Giunta del regolamento, che, dopo l’intervento di Napolitano (colloquio di mercoledì con Grasso) potrebbe indurre a una marcia indietro.

Ma rimane la considerazione, amara, generale: se in materie delicate come le votazioni del Senato non ci sono certezze, l’incertezza del diritto è confermata. Un’altra grave anomalia nazionale.



la nota di vincenzo cacopardo

ANOMALIE IN AUMENTO E CRESCITA IN RIBASSO

Le anomalie di questo Paese..soprattutto nel percorso politico istituzionale.. restano enormi ed il caso evidenziato da Domenico Cacopardo che coinvolge la figura dell'attuale presidente del Senato Grasso, non fa eccezione. Tuttavia nella fattispecie riguardo alle riforme costituzionali... il fatto che si possa ricorrere al voto segreto.. potrebbe spingere a ponderare col maggior equilibrio le votazioni riguardanti alcuni emendamenti. 

Rimane il fatto che in questa enorme confusione..i peccati di Grasso, pur non giustificati, rimangono inferiori  rispetto a quelli di un PD che resta contratto di fronte ad un segretario (premier) che non permette più un serio dialogo al suo interno in merito a riforme costituzionali di questa fatta.... Rimane minore anche rispetto a quelli di un governo che pretende di battere i tempi di una data quasi per principio o per farsi bello nei confronti di una comunità europea che lo osserva costantemente ...minore dell'inerzia di un Capo dello Stato ormai attonito e quasi confuso nel quadro politico esistente.

In questa enorme confusione chi riesce a vincerla è sicuramente Renzi..giovandosi dell'ignoranza di una grossa parte del popolo che non riesce a guardare in profondità... attratto solo dalle parole vuote di chi tende ad ingannare con ostinata determinazione....e dei tanti che basano la concezione politica legandola ad un assoluto modello autoritario.

La domanda odierna può essere solo questa: Quale ragione vi è di determinare riforme costituzionali così delicate in tempi strettissimi..quando per il Paese rimane di primaria importanza una crescita economica di cui ancora non si percepisce l'ombra di un solido e costruttivo piano programmatico?




24 lug 2014

La lunga strada delle riforme rallentata dalle logiche del buon senso



LA DEL RIO A CONFRONTO COL DISEGNO DI LEGGE BOSCHI
di vincenzo cacopardo

La nuova legge Delrio definisce le città metropolitane come enti di area vasta che devono curare lo sviluppo strategico del territorio metropolitano, promuovere e gestire in maniera integrata i servizi, le infrastrutture e le reti di comunicazione, curare le relazioni istituzionali afferenti al proprio livello. La legge conferisce il nome di città metropolitana a Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. La Delrio, poi, ricorda che i principi della legge valgono come elementi di riferimento di una grande riforma economica e sociale per la disciplina di città e aree metropolitane da adottare dalla regione Sardegna, dalla Regione siciliana e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, in conformità ai rispettivi statuti.

In Sicilia si era già da tempo portato avanti una riforma in proposito.. attraverso una iniziativa dei comuni, ivi compresi quelli capoluogo delle province limitrofe, per modificare le circoscrizioni provinciali confinanti, e aderire alla città metropolitana.

Sia la norma nazionale che quella regionale prevedono il sindaco metropolitano.

Secondo la legge Del rio si definiscono le funzioni del sindaco il quale convoca e presiede il consiglio metropolitano, sovrintende agli uffici ed al funzionamento dei servizi rappresentandoli in pieno. Il consiglio metropolitano delibera su ogni altro atto ad esso sottoposto dal sindaco metropolitano compresi gli schemi di bilancio .

La Delrio prevede inoltre che il sindaco metropolitano sia di diritto quello del comune capoluogo. La proposta del consiglio comunale deve essere sottoposta a referendum tra tutti i cittadini della città metropolitana.In sostanza la legge prevede che il consiglio metropolitano sia composto dal sindaco metropolitano e da:
1) ventiquattro consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3 milioni di abitanti; 2)diciotto consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 800.000 e inferiore o pari a 3 milioni di abitanti; 3)quattordici consiglieri nelle altre città metropolitane.

Quello che nel caso risulta davvero inconsueto e pregiudizievole è il fatto che, a fronte di tale normativa ed in conseguenza di una richiesta di immunità che sembra considerarsi col favore positivo di una gran parte delle forze partitiche, avremo un numero di consiglieri e sindaci che (entrando in Senato) godranno del beneficio particolare di una franchigia rispetto ad altri. E sappiamo bene quanto inopportuno possa essere per chi amministra direttamente o meno.. un bene pubblico.. beneficiare di un simile giovamento.

Vi è poi... in questo progetto normativo... un evidente costrutto tendente a favorire la forza delle regioni a sfavore di una politica nazionale non del tutto favorevole ad un percorso che, al contrario, dovrebbe ostacolare la costruzione di un potere territoriale edificato.. nel recente passato.. su una illegalità senza precedenti .

Secondo il testo del disegno di legge Boschi ..Il Senato cambierà radicalmente: meno senatori (100 invece di 315), non più eletti dai cittadini ma dai Consigli regionali, con meno poteri nell'esame delle leggi. Continuerà a chiamarsi Senato della Repubblica, ma sarà composto da 95 eletti dai Consigli Regionali, più cinque nominati dal Capo dello Stato e che resteranno in carica per 7 anni. I senatori saranno dunque così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica. Questi ultimi andranno quindi a sostituire i senatori a vita e saranno scelti con gli stessi criteri.
Il disegno di legge prevede per Palazzo Madama molti meno poteri superando il bicameralismo perfetto: innanzitutto non potrà più votare la fiducia ai governi in carica, mentre la sua funzione principale sarà quella di "raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica", che poi sarebbero regioni e comuni (raccordo si..ma in quale modalità?).

Potere di voto vero e proprio invece il Senato lo conserverà solo per riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi elettorali degli enti locali e ratifiche dei trattati internazionali. Potrà chiedere alla Camera la modifica delle leggi ordinarie, ma Montecitorio potrà non tener conto della richiesta (difficile poter comprendere in perchè). Avrà però la possibilità di esprimere proposte di modifica anche sulle leggi che esulano dalle sue competenze, ma sarà costretto a farlo in tempi strettissimi: gli emendamenti vanno consegnati entro 30 giorni, la legge tornerà alla Camera che avrà 20 giorni di tempo per decidere se accogliere o meno i suggerimenti. In questa ottica non è nemmeno chiaro il frutto che se ne ricaverà circa i tempi offeta dall'esperienza di un passato che ha sempre visto nelle stesse istituzioni l'avanzamento di anomalie e pratiche complesse.

Rimane perciò non del tutto definito il ruolo e la sua vera competenza.. premesso che per quanto concerne le leggi che riguardano i poteri delle regioni e degli enti locali, il Senato ne conserverà maggiori, non apparendo espliciti quali e secondo quale prassi...insomma non è ancora definita la vera funzione di un Senato che sembra volersi cambiare per un risparmio che in sé sarà tutto da vedere...Vi è sottolineato (come nelle classiche procedure renziane)  un aspetto amministravo concernente i bilanci, ma manca totalmente quello politico..

Quando si affrontano riforme di simile portata i principi da non sottovalutare sono ..il giusto tempo..le vere funzioni da rendere... e le anomalie che potrebbero derivarne..ma nella fattispecie non ci si può nemmeno esimere dal tener presente il legittimo aspetto di un percorso di corretta efficienza democratica.






Un commento ad una analisi del Consigliere Domenico Cacopardo 24 Luglio 2014



NARRAZIONI E FALSITA' di domenico cacopardo
Con imprudenza, Maria Elena Boschi proclama che la politica non ha bisogno di bugie. Sembra un’affermazione banale, se non smentisse millenni di storia e se non fosse in schiacciante contraddizione con la pratica e la teoria politica del suo leader, Matteo Renzi. 

Sin da quando si è affacciato alla ribalta nazionale, subito dopo avere assunto la segreteria del Pd, Renzi ha pronunciato una clamorosa bugia. S’è rivolto al primo ministro Enrico Letta, dicendogli: «Enrico, stai tranquillo!»

Non passava un mese che il «tranquillizzato», nonostante la caduca protezione di Giorgio Napolitano, veniva rimosso e pensionato. Pensionato tanto che, quando in Europa s’è fatto il suo nome per un incarico (anche qui una bugia: «Nessuno ha pronunciato il nome di Letta.»), il premier ha declinato l’ipotesi.
La sensazione, a 152 giorni dall’insediamento, è che la specialità della casa è proprio la bugia, con riferimento alla narrazione di eventi quotidiani che, spesso, non sono accaduti, di riforme che non sono riforme, di accordi che non ci sono stati.
Con questo metodo, Matteo Renzi continua a crescere nel gradimento popolare, nel suo peso parlamentare e consolida le prospettive di aggregazione intorno al suo carro.
Certo, la stampa s’è appiattita e fa finta di non rilevare tutte le allegre sciocchezze che il primo ministro e i suoi sodali ci ammanniscono, ma questo non basta per giustificare il consenso.
C’è dell’altro: in particolare il valore aggiunto della giovane età di Renzi e di gran parte della sua squadra e un linguaggio che mette in soffitta ogni cautela e, pur non essendo rassicurante, dà la sensazione di novità. È la palingenesi che gli italiani si aspettavano dopo il biscichio di Romano Prodi, il consunto parlare di Silvio Berlusconi, le banalità di Veltroni, le stupidaggini di Bersani.
Che a esso non corrisponda un reale cambiamento, anzi celi il reiterarsi del peggiore stile democristiano, lo si capirà all’improvviso, quando un evento, anche banale, denuderà il reuccio mettendolo alla berlina del Paese e dell’Europa.
Ecco, l’Europa è il vero problema. 
Nello sfolgorante luccichio di un linguaggio mistificatore («Chi si oppone a me è un nemico del rinnovamento e dell’Italia»), nella confusione dei tanti disegni di legge che si incrociano tra Camera e Senato, nella maratona parlamentare per la riforma costituzionale, nell’attesa della nuova legge elettorale, il problema dei problemi viene dimenticato, anzi nascosto sotto un letto di parole. 
Sorprende e dispiace che il presidente della Repubblica tanto si sia esposto in aiuto del ragazzo fiorentino: legare la propria figura a quella del premier è un grave rischio per l’istituzione. 
È facile immaginare che il sostegno sia stato espresso per smentire l’ipotesi che circola: un ricorso, come extrema ratio, a Ignazio Visco per un governo tecnico che affronti l’emergenza autunnale e porti il Paese alle elezioni di primavera.

Tutto, però, è nelle mani dei conti: questi non tornano e peggioreranno nelle prossime settimane.

È sbagliato e controproducente porre il focus sul lavoro e non sugli investimenti. Sono questi che debbono vedersi, pubblici (ma non ci sono risorse) e privati, ma non ci sono privati italiani e non disposti a investire in Italia, alle condizioni attuali di giustizia, mercato del lavoro, fisco, impedimenti vari.
E pensare che, per esempio, l’Eni ha rilevato ingenti giacimenti di olio e gas nell’Adriatico e che queste risorse rimarranno là, sepolte in mare, in attesa che compagnie non italiane, fuori dalle nostre acque territoriali le estraggano e le utilizzino. 
Accanto alle bugie c’è il nondetto: l’impossibilità di realizzare i rigassificatori (e la regione Puglia di Vendola ne ha impedito uno vitale), i termovalorizzatori, la guerra alla Tav, tutto concorre a renderci immobili.
Se la voglia di novità di Renzi fosse reale, se a essa corrispondesse un briciolo di pensiero politico, questi nodi dovrebbero essere stati denunciati sin dall’inizio. 
Non l’ha fatto. 
Pensate che questo Bruto («nel senso del figlio adottivo di Cesare», precisazione necessaria visto il livello culturale del premier e dei suoi, nonostante la citazione di Telemaco come antitesi di Edipo. Chissà chi gliel’ha suggerita) sia un uomo d’onore?



Analisi che non posso che condividere questa di Domenico...sia per quanto riguarda l'effetto di quella palingesi..ossia di quel rinnovamento... a cui molti cittadini sono rimasti legati individuandolo nell'unica figura del giovane sindaco d'Italia..sia per ciò che riguarda il linguaggio mistificatore dello stesso che oserei definire più ipocrita e saccente... in favore di una ambizione che non gli permette di guardare al futuro con la dovuta umiltà.

Ma Renzi continua a far finta di nulla asserendo (nel dialogo avuto per la riforma del Senato) : nessuno potrà fermarci..e poi.. la solita irritante retorica :chi vuole fermarci è contro il cambiamento

Sulle “bugie” proclamate dalla Boschi a proposito delle riforme...Domenico Cacopardo ha saputo dare una secca risposta..sottolineando le immense contraddizioni con quella pratica non esistente nell'attuale governo, ma ciò che non può sfuggire di certo è il dover constatare l'atteggiamento quasi disarmato del nostro Capo dello Stato.. il quale, espostosi sicuramente troppo in difesa della figura del giovane Premier, sembra oggi non del tutto persuaso...poichè la convinzione che quello di Renzi possa essere un bluff costruito attraverso una manipolata comunicazione..si fa sempre più visibile...D'altronde anche l'Europa preme e si affida già da tempo all'equilibrio politico di Napolitano....ed il tempo pare non permettere scelte alternative.

Alla prova dei fatti ..al di là delle strampalate proposte di riforme costituzionali messe in mano a debuttanti dell'ultima ora..quello che conterà nel breve futuro sarà sempre la crescita economica del nostro Paese e questa non potrà mai venir fuori senza precise idee...idee che ancora non si scorgono, forse perchè seppellite dalle continue comunicazioni di un Premier che pensa di poter dirigere un governo come fosse un'ammininistrazione comunale. 
vincenzo cacopardo