“La componente pragmatica nella politica e nel sociale"
di vincenzo cacopardo
Oggi, l’azione del pragmatismo regna sovrana, tanto da non
potere più essere considerata come espressione di un pensiero filosofico, ma
un’effettiva patologia supportata da un sistema sociale ormai malato. Un
fenomeno sempre in aumento, probabilmente intensificato dall’evidente
difficoltà della vita odierna che costringe ad una visione sempre più pratica e
concreta. Un’ espressione che sembra non risparmiare nessun essere vivente, un
modo di porsi con il quale l’uomo spera di proteggersi dagli odierni eventi
sociali: Egli resta imprigionato da questa forma mentis di concretezza poiché
pensa che non vi potrà mai essere alcuna alternativa per una propria difesa in
seno al freddo incedere del vivere contemporaneo.
Questo fenomeno, per via di paure
ed incertezze definitesi nel tempo, sembra stia chiudendo l’uomo in se stesso,
a tal punto, da costringerlo ad alienarsi dai suoi doni più preziosi:
ideali, creatività, idee e sogni… cioè, da quella parte del mondo fantastico
così importante e determinante per la crescita dell’individuo nella stessa
società.
Se è vero che in alcune manifestazioni artistiche, teatrali,
cinematografiche e letterarie odierne, vengono rappresentati e posti alcuni
valori fantastici e creativi…come fondamentali componenti dell’essere umano…è
anche visibile come,.. nella vita quotidiana di tutti i giorni, ci si imbatta
in un mondo che materializza e razionalizza la qualunque imponendosi persino
nelle fondamentali dottrine sociali.
Anche la politica sembra oggi
imbrigliata in questa mentalità, tanto condizionata da mettere in primo piano
solo un nesso con la realtà e sminuendo ogni riferimento verso ideali ed
inventiva.
-Ma la realtà non è forse una
costruzione tangibile delle idee? La speranza di una crescita senza idee e creatività sembra
essere seriamente compromessa dall’enorme ostacolo posto da una forma mentale
proiettata in direzione di una visione forzatamente realistica delle cose che
si riflette inevitabilmente sui rapporti reciproci, nel lavoro e di conseguenza
anche su una cultura. Potremmo, di conseguenza, affermare che si è andata
costruendo l’opinabile cultura di una concretezza forzata.. non esattamente in
linea con lo spirito dell’essere umano, che per natura resta assai predisposto
ad ogni potenziale creativo.
Quando si insiste in modo forzato e pedissequo nel ricercare
le possibili soluzioni partendo dalla logica realistica del sistema
esistente, non si fa altro che rinviare ed aggravare la problematica di ogni
possibile crescita: bisognerebbe,
invece, domandarsi se questa stessa logica realistica, costruita su un
sistema ormai vecchio, potrà mai essere predisposta ad accettare possibili idee
innovative. Se, altrimenti, un sistema non dovrebbe rinnovarsi e di conseguenza
anche le sue logiche cambiare. Ma come si può cambiare se si è bloccati da una
visione fin troppo pragmatica che frena inevitabilmente ogni possibilità di
rinnovamento?
Ecco che allora.. potrebbe sorgere il ragionevole dubbio se,
questa forma mentale, non può essere voluta e sostenuta da poteri forti che
frenano lo sviluppo ed il cambiamento della società in direzione di vere e
significative innovazioni, per la paura che un mutamento possa stravolgere ogni
stabilità e sicurezza.
Ma possiamo davvero dare un senso
positivo a tale stabilità? possiamo davvero ritenerla sicura e democratica?
Nel campo dell’economia, i grandi
luminari non fanno che dettare il loro programma in una visione che non può che
essere realistica e concreta, in quanto l’economia è una materia che guarda
prettamente ai numeri ed al riscontro con una realtà precisa. A differenza di
loro, la politica non può permettersi di sottostare a qualsiasi programma
economico, ma deve invece analizzarlo ed indirizzarlo verso una società che
reclama una più equa gestione economica al servizio della comunità. Poiché
nella visione di una politica entra il sociale, il lavoro, lo sviluppo, il
welfare etc., non può che essere l’economia al servizio dei principi di una
politica di ogni Paese e non, viceversa:- Se così non fosse, nella nostra
Carta Costituzionale vi sarebbe scritto di un ulteriore potere: quello
dell’economia.
In ogni campo del sociale ed a maggior ragione oggi, una
visione troppo ostentata del pragmatismo, non può mai far sperare in una
crescita, al contrario, trascinerà avanti un popolo al servizio di un sistema
malato. Se, come oggi, ci si adatta lavorando nel proprio campo, senza
l’apporto di una vera e rivoluzionaria ricerca, si rimarrà sempre immobili in
un sistema dal quale si attinge ma, al quale, non sarà mai reso un contributo
per il giusto efficace cambiamento.
Ciò porta ad un inevitabile stallo dove lo stesso sistema si
costringe in un percorso viziato che tenderà sempre a riparare falle senza
innovare mai nulla. In seguito si continuerà ad adattarsi, come oggi si usa, ai
cosiddetti modelli esterofili che nulla possono se non accentuare tali
difficoltà, in quanto non esattamente in linea con la cultura territoriale
e la storia del nostro Paese.
Persino un padre del pragmatismo, W. James, affermava che "vero
è tutto quello che contribuisce ad arricchire la nostra potenzialità creativa".
Questo dovrebbe ispirarci a
comprendere come, un forzato uso del pragmatismo, non potrà agevolare alcuna
innovazione, ma potrebbe continuare a frenare lo sviluppo delle idee! La
politica non può trascurare questo fondamentale aspetto: Nessuna politica può
più pensare di costruire innovazione e sviluppo adattandosi al rigido paradigma
di un sistema che tende a frenare lo sviluppo delle idee.