L'analisi
di Domenico Cacopardo è corretta.. tuttavia, per dirla in tono
pragmatico come il consigliere spesso usa fare...una sentenza è
stata emessa e, nel bene o nel male, bisogna prenderne atto.
L'art
81 sembra chiaro, ma tutti sappiamo come assai meno chiaro è apparso
il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22
dicembre 2011, n. 214, con il quale il governo Monti aveva disposto
il congelamento del meccanismo di perequazione automatica delle
pensioni, in relazione all’andamento dell’inflazione. Perchè mai
si è andato a toccare un sacro diritto di una fascia di lavoratori
che avevano con fatica lavorato per anni e la cui pensione non poteva
certo dirsi d'oro? Perchè mai di fronte a lla spropositata dicotomia
di certi vitalizi ancora vigenti? Purtroppo, senza un preciso
concetto di equità(tanto propagandisticamente declamato dallo stesso
governo Monti) saremo sempre costretti a fare i conti con le evidenti
difformità.
Non
sarebbe il caso di riaprire una polemica su certi diritti acquisiti,
ma risulta anomalo che di fronte a tutto ciò.. venga oggi
distribuito un bonus di 80 euro mensili ad una fascia di lavoratori
dipendenti ..quando vi sono una serie di pensionati che ne avrebbero
più bisogno. Quelle che più impressionano sono la lunga serie di
anomalie generate da un sistema politico che pare non trovare mai le
strade più eque nella ricerca delle soluzioni.
Se
Domenico non può avere torto su certi articoli della Costituzione
che offrono maggior chiarezza in proposito, non può di certo non far
caso alle sperequazioni continue che tendono costantemente a
penalizzare i più deboli. In questo contesto dovrebbe differenziarsi una più logica ed equilibrata funzione della politica...e non attraverso
il costante criterio di normative che sembrano quasi studiate per
generare assurde disuguaglianze!
La forza di certi valori finisce sempre col prevalere sulla prepotenza di certe anomalie!
vincenzo cacopardo
L’art.
81 della Costituzione italiana, come modificato con legge 20 aprile
2012, n. 1, stabilisce: «Lo Stato assicura l'equilibrio tra le
entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi
avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso
all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli
effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere
adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al
verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o
maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.»
C’è
da chiedersi come si colloca la Corte costituzionale rispetto al
principio riportato.
Andiamo
con ordine.
La
sentenza 10 marzo 2015, n. 70, della Corte costituzionale ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale del decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22
dicembre 2011, n. 214, con il quale il mai compianto governo Monti
aveva disposto il congelamento del meccanismo di perequazione
automatica delle pensioni, in relazione all’andamento
dell’inflazione.
Vista
la natura «finale» del giudizio della Corte costituzionale, è ben
legittimo esercitare, nelle forme garbate che si pretendono dalle
persone investite di potere giudicante, il diritto di critica.
Prima
di entrare nel merito di questa sorprendente sentenza, assunta
(secondo attendibili indiscrezioni) con il voto determinante
del presidente Alessandro Criscuolo (Napoli 1937), non si può non
rilevare lo sciacallismo delle opposizioni esibitesi nella richiesta
di un’applicazione integrale della sentenza, con la conseguente
uscita aggiuntiva di circa 18 miliardi dalle casse dello Stato. Una
richiesta, in questa fase di delicata ricostruzione di credibilità
finanziaria, devastante e autodistruttiva.
Un
problema dello stesso genere, a dire il vero, se lo sarebbero dovuti
porre i giudici della Corte costituzionale prima di adottare una
sentenza che, potenzialmente, avrebbe scassato il bilancio del loro
Paese, i cui interessi complessivi non possono risiedere in una
visione formale e, a parere di chi scrive, discutibile sotto il
profilo logico e della ragionevolezza. Non a caso, abbiamo ricordato
all’inizio l’art. 81 della Costituzione che impone un vincolo cui
tutti debbono uniformarsi, compresa la Corte costituzionale che, in
realtà, con la sentenza in questione, non prende in considerazione
la rottura del vincolo di bilancio e di quello, preesistente, di
copertura finanziaria.
Con le sue decisioni, infatti, la Corte
assume il rango di legislatore, invero del tutto immune da un
giudizio terzo, dell’elettorato o del Parlamento.
Prendiamo
la questione sotto il profilo della logica giuridica, non lontana dal
buonsenso e dalla logica comune, in modo che i lettori, nostri
giudici iniziali e finali, possano farsi un’opinione non viziata da
pregiudizi. Preciso che chi scrive, come molti componenti della Corte
costituzionale, era teorico beneficiario della sentenza di cui
discutiamo.
Veniamo
al dunque. La norma caducata è il comma 25 dell’art. 24 del
decreto-legge: «In considerazione della contingente situazione
finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti
pensionistici … è riconosciuta esclusivamente ai trattamenti
pensionistici di importo complessivo fino a due volte il
trattamento minimo Inps …»
La
Corte ha così ragionato: «… la
perequazione automatica … è uno strumento di natura tecnica, volto
a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui
all’art. 38, secondo comma, Cost. … si presta … a innervare il
principio di sufficienza della retribuzione di cui all’art. 36
Cost. … la tecnica della
perequazione si impone … sulle scelte discrezionali del legislatore
… (che) … deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli
artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. … (e) …
consente di predisporre e perseguire un progetto di eguaglianza
sostanziale, conforme al dettato dell’art. 3, secondo comma, Cost.
così da evitare disparità di trattamento in danno dei destinatari
dei trattamenti pensionistici ... la
disposizione concernente l’azzeramento del meccanismo perequativo,
contenuta nel comma 24 dell’art. 25 del d.l. 201 del 2011, come
convertito, si limita a richiamare genericamente la «contingente
situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la
necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto
di bilanciamento … il diritto a
una prestazione previdenziale adeguata … risulta irragionevolmente
sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in
dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali
connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili
parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di
quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo
comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.)»
Gli
stralci della sentenza ci conducono sul sentiero dell’inaccettabilità
dei principi evocati: l’art. 36 (il lavoratore ha diritto a una
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e
in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia
un'esistenza libera e dignitosa) esplicita un principio che non è
assoluto ma che va storicizzato e, quindi, non può conferire ad
alcun giudice il diritto di stabilire l’astratta congruità del
compenso, slegata dall’equilibrio produttivo, economico e civile.
L’art. 38 (i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed
assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di …
vecchiaia …) ha anch’esso contenuti da contestualizzare, giacché
nel sistema ormai adottato (il contributivo) i mezzi sono erogati in
ragione di quanto versato durante il periodo lavorativo.
In
definitiva, sembra ragionevole ritenere che la lettura della Corte
costituzionale difetti, appunto, di logicità e di ragionevolezza
proprio in ragione della mancata storicizzazione all’attualità.
Anche per l’evidente sottovalutazione della situazione
economico-finanziaria e del valore invalicabile (per motivi interni
ed internazionali invalicabili) dell’art. 81 della Costituzione.
Ps.
La decisione del governo di erogare un acconto (un errore grave
chiamarlo «bonus») è venata di buonismo preelettorale, ma,
comunque, corretta. Dare di più nuocerebbe proprio a quei pensionati
che «vantano» il credito sancito dalla Corte.
Domenico
Cacopardo