La
sensazione è che si stiano scrivendo gli ultimi paragrafi del
capitolo che tratterà della crisi dell’Occidente e dell’Europa.
Il panorama
internazionale, infatti, denuncia il verificarsi degli effetti
dell’inesistente «leadership» americana: il deterioramento dei
rapporti Usa-Russia, collegato alla folle idea di trasformare
l’Ucraina nella punta avanzata di uno schieramento ostile allo zar
di Mosca, rimuovendo, con un «putsch»
sostenuto dal movimento neonazista di Kiev, il presidente
–regolarmente eletto- Yanukovich per sostituirlo col filoamericano
Poroshenko; le contraddizioni insanabili della politica
mediorientale, dalla Siria all’Iraq, all’Iran agli Emirati e
all’Arabia Saudita. Su questo punto basta ricordare che in Siria,
gli Stati Uniti (con Francia e Regno Unito) hanno promosso e
sostenuto la rivolta anti-Assad, finanziando, con l’Arabia Saudita
e gli Emirati, gli insorti, compresi quelli legati ad Al Qaeda, poi
confluiti nell’Isis. Alla fine, cioè oggi, s’è creata una
situazione per cui l’America, di fatto sostiene Assad contro i
rivoluzionari, terroristi e tagliagole, tra i quali militano 20.000
combattenti occidentali. In Iraq, l’America s’è appoggiata agli
sciiti, diventando avversaria dei sunniti, amici di Arabia Saudita ed
Emirati. L’esercito iraqeno s’è squagliato, come previsto, e
sono rimasti a combattere sul terreno i miliziani iraniani con
qualche gruppo locale. L’«appeasement» con l’Iran, in dirittura
d’arrivo, aliena le simpatie dell’Islam (sunnita) moderato e
amico dell’Occidente, capeggiato dall’Egitto ed esteso alla
Tunisia che è in gravi difficoltà, vicina com’è alla fornace
libica. Sulla Libia, vogliamo dire qualcosa? Che la colpa, cioè la
responsabilità totale, è di Sarkozy (in procinto di tornare in
sella a Parigi sostituendo l’imbarazzante Hollande) e di Obama, il
primo illuso dall’idea di rimuovere l’Italia e i suoi interessi,
prendendo in mano l’economia del Paese, il secondo in cerca di un
utopico ampliamento del campo democratico?
Quanto
all’Europa, dobbiamo registrarne l’inesistenza politica. Sia
nella gestione dei rapporti con la Russia, con la Germania
autolesionista schierata nel campo «amerikano», stretta tra la
necessità di tenere insieme gli stati satelliti, tutti nemici della
Russia, dalla Polonia alla Lettonia, alla Finlandia (che sembra voler
mobilitare, nell’attesa di un confronto con i russi) e quella di
mantenere una salda «leadership» sull’Unione.
Sia per la
questione profughi, per la quale non è stata in grado di definire in
tempi accettabili una politica comune, senza distinguo e riserve
mentali (nessuno può negare che l’opposizione all’ipotesi in
circolazione dei paesi legati alla Germania è un’operazione
mandataria, nel senso che, non potendo Berlino dire no, per tanti
motivi comprensibili, fa dire no ai suoi amici), subordinate e uscite
imprevedibile come quella di Hollande.
Il
risultato, dicevamo, è l’inesistenza politica europea e americana.
Abbiamo infatti visto come la Russia abbia reagito alle sanzioni
occidentali: firmando uno storico accordo economico con la Cina (il
più grande mai firmato dalle due nazioni), che ha confinato l’Europa
nel ruolo di mesto e impotente spettatore. A margine c’è da
ricordare che l’Ucraina è sull’orlo del «default» e che la sua
unica via d’uscita è un corposo intervento europeo.
Alle
questioni internazionali si aggiungono i problemi interni. Va
certificata la gravità della malattia europea, indotta dalle
politiche sbagliate di Bruxelles, condotte sulla linea imposta da
frau Merkel. È lei il più grande fallimento politico dell’Unione,
per l’egemonia tedesca e per il modo in cui s’è realizzata, con
la colpevole acquiescenza dei governi nazionali, a partire
dall’Italia. Una politica interna (comunitaria) che ha portato
povertà e malcontento, e che non prevede in tempi ragionevoli un
corposo recupero dell’occupazione, a parte, appunto, la Germania e
paesi satelliti. Dobbiamo sapere, per esempio, che ogni problema che
si presenta nell’armatura industriale italiana è un’opportunità
per quella tedesca.
C’è da
dire che anche la Bce meriterebbe una discussione approfondita, senza
esclusione per l’era Draghi, tacciato, forse a ragione, di
esprimere una visione che è utile soltanto per il mondo della
finanza. Le prime indiscrezioni dicono che le banche (anche italiane)
registreranno nel 2015 profitti mai visti, mentre la situazione
sociale delle nazioni degraderà ulteriormente.
In questo
contesto c’è la Grecia che non pagherà le rate del debito in
scadenza e la Spagna, nella quale si affermano alle elezioni i
movimenti antieuropei. Non aggiungo la parola populisti, perché il
clima è proprio cambiato. Una politica europea non equilibrata,
distruttiva, non solo ha aggravato la crisi, approfondendone i
termini, ma ha contribuito a creare la sensazione di un’Europa
oppressiva e persecutrice.
L’esempio
greco dimostra che il cambiamento di linea di Tsipras non ha
funzionato e che, quindi, s’è aperta una voragine, nella quale
precipiterà la Grecia e, con essa, la speranza europea. Se in Spagna
la marcia di Podemos continuerà, nonostante il miglioramento del
Pil, aspettiamoci una rottura insanabile con Bruxelles.
La verità
vera è che se l’Unione non è fertilizzata dal consenso popolare,
è destinata a dissolversi con un tonfo i cui effetti economici e
politici investiranno tutto il secolo.
Sembra un
destino atroce: a cento anni dalla Prima guerra mondiale, l’Europa,
almeno con le persone che, attualmente, la dirigono, si trova davanti
a una crisi irresolubile, occupazionale, economica e di consenso.
Non
ci sono le condizioni per uscirne. Purtroppo, vegeteremo nella
stagnazione: si aggraveranno i contrasti infraeuropei e nelle
nazioni. La tirannia di Bruxelles sta arrivando al capolinea, con
l’Italia impotente e succube.
Domenico
Cacopardo