Matteo
Renzi e il suo governo, peraltro come i governi che li hanno
preceduti, stanno gravemente sottovalutando il fenomeno in corso
della trasmigrazione di decine di migliaia di uomini e donne dal Sud
del mondo all’Italia. Una trasmigrazione che comprende due
categorie di persone, abilmente indicate come «migranti» per
confondere le idee della pubblica opinione: coloro che abbandonano
situazioni di guerra o regimi dittatoriali e coloro che fuggono dalla
fame.
Ora, gli
obblighi internazionale liberamente sottoscritti dallo Stato italiano
ci impongono di identificare tutti coloro che entrano nel territorio
nazionale non avendone diritto. Coloro che si dichiarano rifugiati
politici debbono essere sottoposti a uno specifico procedimento per
la verifica di tale qualità (rifugiati politici) alla fine del quale
coloro che saranno riconosciuti «rifugiati politici» saranno
ammessi nel territorio italiano e, quindi, europeo.
Tutti gli
altri, cioè migranti non politici, debbono essere «respinti»:
anche perché esiste, per loro, un altro specifico procedimento che
passa attraverso le sedi consolari italiane, che consente l’emissione
di un visto (di lavoro) per coloro che presentano un valido
contratto. Non c’è nessun’altra possibilità legale.
Questo è
lo stato della legge. Certo, le dimensioni degli arrivi sono tali da
rendere difficile la sua applicazione, ma questo non giustifica la
scelta compiuta dal governo: chiudere gli occhi, non identificare la
maggioranza degli arrivati, ospitarli nei centri di raccolta e,
infine, stimolarli disperdersi nel territorio nazionale e,
sperabilmente, in quello europeo.
Sostiene
l’amministrazione dell’interno, a propria giustificazione, che è
difficile l’identificazione di questi poveri esseri umani.
L’affermazione è deviante. Infatti, se il migrante rifiuta di dare
le proprie generalità o le dà false, occorre renderlo
identificabile mediante le impronte digitali, possibilmente il Dna,
le foto segnaletiche e da ultimo il conferimento di una sigla
alfanumerica.
Quindi,
l’identificazione che si deve effettuare è rivolta al presente e
al futuro in Italia e in Europa e non riguarda un non accertabile
passato.
Perciò
l’Unione europea è fortemente restia a darci una mano nella
gestione di questa povera gente ed è tutta colpa nostra, dei nostri
governanti, dei funzionari del ministero degli interni e delle
sedicenti (non tutte, ma molte, sempre troppe) organizzazioni
umanitarie che spendono le risorse di cui dispongono soprattutto per
se stesse e per i propri operatori.
Questo
atteggiamento «mite», in realtà corrivo, irresponsabile e fellone,
spinge i nuovi arrivati ad avanzare pretese inaccettabili e a
manifestare clamorosamente, come è accaduto a Lampedusa, a bruciare
i materassi del centro di accoglienza. Operazioni, queste, attivate e
coordinate da connazionali particolarmente noti alle autorità di
pubblica sicurezza, impedite a intervenire dal timore di ritorsioni
giudiziarie e politiche.
Se ci
riflettiamo, chi arriva senza averne diritto compie una illegale e
non ammessa invasione del territorio nazionale. Un fenomeno che
dovrebbe essere ostacolato a termini di Costituzione.
Ma questa è
cronaca di questi anni, insieme alla retorica ammannita dai media in
una catena di Sant’Antonio volta a difendere e a promuovere il
lucro personale dei soliti disonesti.
Un discorso
diverso meritano coloro che operano sulle imbarcazioni, militari
italiani e di altri paesi d’Europa, che applicano le norme sul
soccorso in mare.
Però, la
missione militare annunciata con enfasi ed entusiasmo dalla Mogherini
e dalla Pinotti, sembra arenata prima di iniziare.
Il
contrappasso di questo modo incosciente di governare l’Italia è la
paura.
Non il
razzismo, ma la paura.
La
paura di tutto ciò che turba il normale tran-tran delle nostre
comunità, già sottoposto a inattesi stress dalla massa di immigrati
orientali che si sono insediati e vivono in Italia, nella stragrande
maggioranza, onesti lavoratori.
Ma la paura
di questi nuovi arrivi deriva da un complesso di ragioni e come tutti
i sentimenti (irrazionali per definizione) deve essere rispettato
dallo Stato, il cui compito costituzionale è quello di difendere i
cittadini e di rassicurarli, in modo da allontanare proprio le paure
ancestrali e attuali che li aggrediscono.
Invece, la
paura viene trasformata in razzismo: ovunque la paura si manifesti là
c’è un’accusa di razzismo che colpisce chi dimostra la propria
paura e, pacificamente, protesta.
Non è
questa la strada. Sul futuro roseo e vincente rappresentato, a
parole, da Matteo Renzi pesa come un macigno questo problema.
Sarebbe
molto più giusto spiegare le difficoltà e i limiti dell’azione di
governo. Sarebbe molto più giusto che i pubblici ministeri, i Ros e
le altre forze di Polizia indagassero sugli italiani che speculano
sull’accoglienza. Sarebbe molto più giusto che il ministero
dell’interno si organizzasse per dare una risposta ai richiedenti
l’asilo politico entro due mesi (durante i quali gli aspiranti
debbono essere ospitati in apposite strutture. Negli Stati Uniti in
luoghi di detenzione amministrativa) invece che dopo due anni.
Insomma,
l’unica risposta accettabile è il dialogo con i cittadini e il
miglioramento dell’attività amministrativa.
Invece, le
solite fonti bene informate rivelano una svolta: i problema
dell’accoglienza dei migranti sarà affidato ai sindaci e tolto ai
prefetti.
Un avviso
di disastro annunciato, la sublimazione di «Nimby» (Not in my
back-yard), la fine dell’unitarietà ontologica dello Stato per il
ritorno alla penisola dei comuni e delle signorie.
La crescita
di Grillo e di Salvini, quindi, è effetto soprattutto
dell’incapacità del governo di maneggiare la questione.
Senza dubbi
né speranze per l’immediato futuro.
Vincerà la
paura e l’irrazionalità con effetti devastanti: abbiamo già
ricordato il 1922.
Domenico
Cacopardo