22 mar 2015

una nota al nuovo articolo del consigliere Domenico Cacopardo

L'indirizzo politico di un premier..

Difficile.. dare atto della gestione intelligente del dossier Lupi da parte del premier Renzi senza comprendere il discapito di non aver messo la dovuta attenzione durante l'anno di governo sul sistema gestionale del suo importante ministero. D'altronde..non compete proprio ad un premier la valutazione di un lavoro di squadra di un governo che si sarebbe dovuto muovere attraverso un programma di rinnovamento e di vera rottamazione?.

Malgrado certi entusiasmi dettati dall'articolo di Domenico in favore del premier, Renzi oggi, pare proteggere alcuni sottosegretari del governo persino indagati e..forse..anche di qualche ministro impelagato in faccende ancora poco chiare..
Il sindaco d'Italia dall'alto della sua supponenza..si esprime dichiarando con scaltrezza che: "Il successore di Lupi sarà bravo, non importa la sua tessera”...intanto tiene saldo l'interim...Sebbene in ritardo la voce di D'Alema comincia a venir fuori criticando la gestione del Pd descrivendola arrogante. L'ex primo ministro la definisce anche fin troppo personale.. aggiungendo che non si può più ritardare un serio dibattito all'interno del partito.

Al di là di ogni visione dettata da proprie idee in proposito ..non vi è dubbio che il caso Lupi abbia portato un certo scompiglio all'interno della direzione governativa. Posizioni anomale e controproducenti vengono adesso messe più in risalto ed in evidente contrapposizione con la tesi di un premier che pare, al contrario, muoversi senza pesi e misure...

Renzi, appoggiato in questo pensiero dal capogruppo Speranza, sostiene che nessuno possa definirsi colpevole finche rimane indagato e che ogni dimissione non deve essere legata a criteri giudiziari, ma solo a quelli di “opportunità politica”...Ma l'opportunità politica in seno ad un governo..non dovrebbe spettare proprio al premier? Non dovrebbe essere il Capo di un governo a valutare la circostanza politica di chi opera all'interno di un governo che si è sempre proposto di operare attraverso un sano ed retto rinnovamento?
vincenzo cacopardo



Un ministro nuovo... 
non un nuovo ministro è quello che ci aspettiamo tutti. Un ministro nuovo per il sistema dei lavori pubblici, troppo a lungo in mano a persone più o meno coinvolte con il sistema delle imprese, con le lobbies dei professionisti, insomma con coloro che, all’atto pratico, sono i fruitori delle decisioni del titolare del dicastero. I beneficiari dovrebbero essere gli italiani, ma, a dire il vero, la sensazione è che il beneficio reale sia normalmente scremato da forti drenaggi illeciti che riducono l’effettiva spesa pubblica e/o la qualità delle opere realizzate. Non a caso, in pochi giorni sono crollati due viadotti nuovi, uno in Sicilia, l’altro nell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Dobbiamo dare atto a Matteo Renzi di avere gestito il dossier Lupi con intelligenza, senza frettolose esternazioni, lasciando che gli eventi maturassero in maniera tale da rendere necessarie le dimissioni dell’incauto ministro.
C’è anche da dire che, ogni inchiesta rivela in modo plateale la stupida insipienza di politici e burocrati, tutti pronti e felici di parlare al telefono con il più interpretabile dei linguaggi convenzionali («Ti mando mio figlio, vorrei che lo conoscessi». Ma a che scopo? Sociale, mondano, sportivo? O per quello vero trovargli un posto, umiliando un uomo giovane come fanno migliaia di genitori italiani nei confronti di figli che, comunque, hanno raggiunto un titolo di studio. A dimostrazione di come le famiglie siano le prime nemiche della libera e autonoma crescita dei loro rampolli). Anche Lupi, quindi, quando telefona a Incalza, per carità, mai condannato ma tante volte inquisito, alla fine abbandona ogni prudenza, e non immagina che a sua volta Incalza, Perotti e & parlino tra loro in tutta libertà non sapendo (o forse ben immaginando) di possibili intercettazioni.
Ora, si volta pagina.
Renzi è di fronte a una scelta di grande importanza. Non può e non deve umiliare il Nuovo Centro Destra, l’unico sostegno esterno organico del suo governo, galleggiante intorno al 3% dei consensi, e tuttavia necessario per non finire nella spirale dei distinguo e dei non voglio aperta dalle minoranze del Pd. Ma deve imporre anche un nuovo ministro, una persona che dia il senso di una vera e irreversibile svolta nel mondo degli appalti pubblici, trasformandolo da buco nero a fattore di avanzamento, di ammodernamento e di sviluppo.
Il nome di Raffaele Cantone, persona cui non abbiamo risparmiato critiche, oggi è il più idoneo a essere indicato per la successione di Lupi. Non perché è un magistrato, ma perché, da commissario anticorruzione ha affrontato il tema cercando di introdurre quei semi di trasparenza e moralizzazione che dovranno germogliare. Se fosse ministro delle infrastrutture potrebbe trasformare lo sforzo per raddrizzare le cose, in un radicale risanamento sin dall’origine, dall’inizio: una nuova legge sugli appalti pubblici che impedisca deviazioni rispetto al principio della libera concorrenza; una gestione «day by day» libera da ogni compromesso, all’insegna del motto che «tra legalità e illegalità non ci sono vie di mezzo» (e questo non è un concetto radicale, ma attiene alla fisiologia della vita sociale); che occorre cambiare i manici, cioè i manager che da decenni gestiscono programmi, progetti, concorsi e affidamenti. E vanno allontanati coloro che direttamente o indirettamente hanno intermediato dall’esterno i rapporti tra le strutture pubbliche e quelle private, giovandosi di permanenti rendite di posizione. Un rinnovamento che deve comprendere una valutazione spietata dello stato dell’arte, a cominciare dal Mose, per il quale si potrà (forse) finalmente vedere una «due diligence» che spieghi agli italiani l’entità delle ruberie e di quanto si può e si deve pretendere in restituzione da coloro che hanno ricevuto tanti quattrini in eccesso rispetto ai costi e ai prezzi di mercato.
Ma non solo il Mose, ovviamente: ci sono gli aumenti delle tariffe autostradali, le questioni della Salerno-Reggio Calabria, sempre l’Expò e tutte le altre iniziative in corso o in programma.
Resterà sul tappeto la questione NCD. Se è saggio Renzi l’aiuterà a sopravvivere alla tempesta e a rafforzarsi, magari con un’intesa politica con Tosi e gli altri moderati che sono rimasti senza padre né madre al Centro e al Nord della penisola. Nel Sud e nelle isole, no: è troppo pericoloso dialogare con i moderati, come dimostra il caso dell’exsegretario del Pd siciliano Francantonio Genovese, in questo momento ospitato nelle patrie galere.
Sulla strada delle riforme non ci si può fermare, ma si deve proseguire con la forza delle idee.
domenico cacopardo




























20 mar 2015

Lupi... ma non solitari..

.....in una foresta ancora selvaggia....
.di vincenzo cacopardo

Si sapeva che sarebbe finita con le proprie dimissioni: Maurizio Lupi ha scelto il salotto di Porta a Porta per difendersi asserendo la sua estraneità sulla richiesta di lavoro per il proprio figlio.
In questo modo la mozione di sfiducia verso il ministro, presentata da M5s e Sel, non sarà più discussa discussa martedì prossimo nell’aula di Montecitorio Come tutti ormai sanno la faccenda ha visto coinvolto l’ex dirigente del ministero dei Trasporti Ercole Incalza e l'ingegnere Stefano Perotti (figlio dell'allora presidente della Cassa del mezzogiorno). Nell'inchiesta della procura di Firenze....Lupi viene citato in correlazione con i loro nomi.

Il ministro dimissionario parla di un'operazione irragionevole per la quale gli viene addebitato il fatto che Incalza sia stato in stretta comunicazione con Stefano Perotti. La storia si arricchisce di altre curiose particolarità tra cui l’ormai “famoso” Rolex, regalo ricevuto dal figlio di Lupi da Perotti per la laurea.

Non è tanto ciò che continua ad accadere in simili vicende che coinvolgono uomini politici di potere che deve sorprendere, né l'imbarazzo di chi si trova a dovere gestire un dicastero di tale importanza..che, avendo un figlio ingegnere, potrebbe persino avere seri problemi nella ricerca di un qualsiasi lavoro per lo stesso, ma l'impostazione mentale rimasta sepolta nella conduzione dell' amministrazione di un grande ministero che per decenni persevera in un sistema che mette in evidenza continue anomalie. Ciò, oggi, dopo la rottamazione voluta da un premier come Renzi, non poteva più essere sostenuta. Proprio in un ministero di tale portata ci si sarebbe dovuto muoversi con più tempestività ed efficacia...

L'errore politico di Lupi (lasciando ai giudici ogni altra valutazione di tipo giudiziario) è stato quindi quello di essersi.. in un certo senzo... lasciato trasportare da vecchie logiche gestionali non coerenti col cambiamento volute dallo stesso premier Renzi. Tra queste anche quelle che un tempo forse potevano passare per semplici azioni di gratitudine e riconoscenza nemmeno operate con malizia o per scopo di interessi particolari: Scambi di cortesie e doni che oggi vengono naturalmente esaltati e considerati sgradevoli proprio per il difficile periodo che vede fior di giovani laureati dell'età del figlio del ministro.. battersi in una lotta feroce per un misero posto di lavoro..Ma, attenzione.. è un errore che coinvolge di riflesso lo stesso Premier.

Non poteva quindi ..che finire così! Renzi non ha dovuto insistere più di tanto e Lupi, con altrettanto senso di responsabilità, ha dovuto comprendere!
Le domande spontanee da dirigere al premier sindaco d'Italia restano due: Perchè aver atteso tutto questo tempo? Perchè non operare scelte simili per altri evidenti casi che coinvolgono ancora ministri e sottosegretari?

18 mar 2015

Un messaggio straordinario del nuovo Pastore di una Chiesa che cambia.

di vincenzo cacopardo
"Le nuove rivelazioni di Papa Francesco sono ben al di sopra di un qualsiasi buon commento..Sono l'espressione di un pastore della Chiesa che sa leggere nell'animo degli esseri umani."

Il suo accenno è diretto verso alcune convinzioni che non possono più vivere all'interno di una Chiesa. Una Chiesa che, secondo il Pontefice, deve poter comunicare con maggior senso umano... ridimensionando alcune credenze. Francesco è un Papa che parla anche da uomo accennando con profonda umiltà ad alcuni dogmi: “La Chiesa non crede più all’inferno, dove la gente soffre. Questa dottrina è incompatibile con l’amore infinito di Dio. Dio non è un giudice, ma un amico e un amante dell’umanità. Dio non cerca di condannare, ma solo ad abbracciare.Come la storia di Adamo ed Eva, vediamo l’inferno come un espediente letterario. L’inferno è solo una metafora per l’animo isolato, che, come tutte le anime alla fine sarà unita in amore con Dio”

Sono senza dubbio parole che sbalordiscono l'usuale ascoltatore, ma suonano come una vera innovazione in favore di una Chiesa che propone di aprirsi ad un dialogo più aperto e progressista verso il mondo intero. Un messaggio tendente anche a far avanzare il futuro di una Chiesa cattolica già fortemente contrastata dall'odierna dirompente fede Islamica.

A tal proposito, dimostrando di porsi al di sopra di ogni giudizio e con innato senso umano, Papa Francesco esordisce:Tutte le religioni sono vere, perché sono vere nei cuori di tutti coloro che credono in loro. Quale altro tipo di verità c’è lì? In passato, la chiesa è stata dura su quellioche ritiene moralmente sbagliato o peccaminoso. Oggi, non siamo giudici. Come un padre amorevole, noi non condanniamo i nostri figli. La nostra chiesa è abbastanza grande per gli eterosessuali e omosessuali, per i pro-life e pro-choice! Per i conservatori e liberali, i comunisti sono benvenuti e addirittura sono uniti a noi. Noi tutti amiamo e adoriamo lo stesso Dio”

Ed è proprio in questo che il messaggio del Pontefice si può definire di vero rinnovamento per la Chiesa! Nessuno aveva mai saputo pronunziare simili parole che sono in realtà assai compatibili con la visione evangelica di Cristo nel suo percorso di vita insieme agli uomini. Un messaggio che si esprime in una casa comune dove si raccolgono le anime di tutti.. poiché una verità assoluta non esiste e ciò che più conta, per l'essere umano, è l'amore e la misericordia verso il prossimo.

Il Pontefice ci parla di una Chiesa ormai moderna e più ragionevole che si è evoluta. Pone una certa intolleranza come l'origine dell'abbandono di tanti fedeli che fuggono quasi per insofferenza e paura. Per Francesco..insomma.. l'atto d'amore è il vero forte valore ..è l'impulso per il cambiamento stesso della Chiesa cristiana e rimane il vero percorso da seguire: “La verità non è assoluta o scolpita nella pietra!” “Dio vive in noi e nei nostri cuori. Quando diffondiamo amore e bontà nel mondo, tocchiamo la nostra divinità e riconoscerlo”

Altro messaggio straordinario per chi, come il sottoscritto, in una particolare visione agnostica (di chi crede..ma dubita su una configurazione precisa dell'entita superiore)..sottolinea con vivo interesse il messaggio d'amore esposto nelle parole di Cristo.

La figura del Papa odierno è sicuramente il risultato di un cambiamento voluto dalla stessa Chiesa che sembra aver percepito l’importanza di una guida simile alla figura di Cristo, giusto per il difficile momento storico che attraversa il mondo intero. E perchè mai questa figura così umile e caritatevole tocca i cuori e la sensibilità di tanti uomini... se non perché si volge alla gente esprimendo l’importante sentimento dell’amore? Papa Francesco tocca l’animo umano e lo fa parlando anche di speranza, esponendosi meno ad una funzione di venerazione nei confronti del Creatore….Ed ecco che il mondo, raggiunto da una prevalente sensibilità umana, si risveglia in una speranza…e nel desiderio di costruire un futuro attraverso l’amore verso il prossimo.

Naturalmente alcuni alti prelati della Chiesa cattolica si sono già schierati contro queste dichiarazioni di Francesco. Probabilmente perchè è una verità più semplice e vicina al mondo umano di tutti i giorni, mentre.. tra di loro.. sono in tanti a promuovere le vecchie credenze basate soprattutto su un'etica religiosa spaventevole... che incutendo paura, possa in qualche modo... essere il pretesto per dominare sulla mente e sullo stesso animo umano.    

nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul caso Incalza

di domenico Cacopardo
Il problema non è di Lupi, di Nencini o del ministero, è di Matteo Renzi. Il modo in cui lo affronterà avrà un peso determinante per i prossimi appuntamenti elettorali, per la gestione dei presenti e futuri passaggi parlamentari, per le elezioni politiche quando ci saranno, per la sua medesima carriera politica.
La vicenda Incalza, l’ennesima che lo riguarda, si inquadra in un metodo consolidato che ha fatto comodo a tanti ministri delle infrastrutture: la competenza che tutti gli riconoscono unita alla conoscenza delle esigenze della politica e dei politici e alla consumata e cinica esperienza delle debolezze umane ne ha fatto il pivot (quasi) indispensabile per la gestione dell’immenso ministero.
Chi non è giovane, ricorda la celebre domanda rivolta da Francesco Bellavista Caltagirone al sottosegretario Francesco Evangelisti, braccio destro di Andreotti: «A Fra’, che te serve?» Ebbene, Incalza non domandava. Sapeva.
Certo, ora dobbiamo aspettare che i tempi del procedimento giudiziario maturino e si definisca un quadro probatorio o indiziario idoneo a determinare un processo. E non si può non considerare segno di grave inciviltà giuridica e mediatica la diffusione di informazioni che, allo stato, l’autorità giudiziaria non considera tali da suggerire indagini (con relative comunicazioni di garanzia) nei confronti del ministro Lupi. I maligni sostengono che, attraverso questo metodo, si ottengono risultati addirittura più efficaci di quelli della comunicazione di garanzia. Ma ciò significherebbe che c’è un’idea persecutoria, di rimozione senza processo del ministro in discussione, un’idea che è da escludere «a priori».
E poi, c’è un non detto, una cortina di genericità che dovrebbe essere dissipata: infatti, sembra che qui non si tratti di «lavori» ma di progettazioni, anche se chi non conosce la materia ha parlato del caso confondendo le due specie di attività. Ed è possibile che, se si tratta di progettazioni, la natura del reato debba essere ridefinita.
Ma rimane come un macigno l’indifferenza dello stesso Lupi in circostanze addirittura più preoccupanti e scandalose di quest’ultima: il Mose, per il quale non ha mosso un dito, né disponendo la necessaria «due diligence» sui costi dei lavori (che avrebbe permesso di definire l’entità reale delle ruberie e di quanto andrebbe richiesto alle ditte incaricate dell’opera), né commissariando il Magistrato alle acque, né chiedendo il commissariamento delle imprese partecipi del consorzio Venezia Nuova. Nonché la medesima vicenda del misterioso (perché ingiustificato) aumento delle tariffe autostradali.
Vicende che testimoniavano l’insensibilità personale e politica del ministro rispetto a questioni delicate con pesanti riflessi giudiziari e la mediocrità della dirigenza del ministero, incapace di reagire in positivo, riscattando un andazzo così deteriorato da compromettere la medesima immagine del governo e del sistema democratico.
Tutto questo non è solo acqua passata, ma è ancora presente nella lista dei casi che debbono essere affrontati e risolti.
Il Mose, per esempio, non può chiudersi così: «Chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato.» Deve trovare la risposta di qualcuno (Commissario anticorruzione, autorità giudiziaria, governo, Corte dei conti) capace di avviare un procedimento che stabilisca l’entità di quanto sottratto alle casse dello Stato e alle tasche dei cittadini italiani e ne avvii il recupero.
Però il problema politico di Lupi e del suo ministero rimane presente «hic et nunc» e a esso deve dare risposta il presidente del consiglio che, lunedì, ha mandato allo sbaraglio il sottosegretario Delrio, incapace di andare oltre le solite banalità.
Sarà difficile che l’onda mediatica non imponga le dimissioni di Lupi. Passerà qualche giorno, ma, alla fine, sarà questa l’unica soluzione capace di salvare Matteo Renzi. E se questa soluzione non ci sarà, vorrà dire che sarà il governo intero a pagare le conseguenze delle distrazioni, degli errori e delle sventatezze (anche un vestito su misura, roba da straccioni) del suo ministro ciellino.
Non può essere questa la fine di un sogno (quello di modernizzare il Paese e di cambiare verso) nel quale tanti italiani hanno creduto.
Con l’energia che gli viene riconosciuta, Renzi prenda in mano la situazione e le dia una svolta inequivoca e inequivocabile.



16 mar 2015

Interessante analisi di C.Alessandro Mauceri sui fondi europei per la Sicilia


Con questo interessante articolo, Alessandro Mauceri, pone una sensata critica alle procedure che non aiutano la Sicilia a beneficiare dei fondi strutturali europei, unita ad una chiara incapacità di politici ed amministratori di non saperli gestire . E' vero! “Fondi inutili, e spesso addirittura dannosi perché alimentano burocrazia, clientelismo e, a volte, finiscono addirittura nelle mani della criminalità”...come è senz'altro vero che Il premier Renzi non ha avuto niente da dire dopo il taglio dei fondi destinati alla valorizzazione del patrimonio culturale siciliano. E' di tutta evidenza la mancanza di idee in proposito da parte di un sindaco d'Italia che.. fino ad oggi.. ha solo stigmatizzato e messo in risalto il patrimonio artistico della sua città.
Tuttavia ritengo che non si possa aiutare il patrimonio culturale di una regione come la Sicilia.. senza occuparsi nel col tempo di una problematica propedeutica più vasta che..se non risolta.. ne impedire ogni altra valorizzazione: Sono le infrastrutture mancanti ...(strade-autostrade-ferrovie-reti idriche-porti-ponti-dighe-difese per rischi idreogeologici etc) non certamente promossi al fine di dare opportunità di arricchimento a partiti o di sviluppo a singole comunità, ma studiati in funzione di una logica appropriata al fine di rendere più fruibile e ben visibile lo stesso immenso patrimonio in tutto il suo insieme nel territorio. Occorre soprattutto metodo unito ad una sensiibilità culturale che molti politici dimostrano di non avere.
vincenzo cacopardo


dalla Voce di newyork riportiamo

Secondo alcuni economisti, i fondi europei non vengono spesi perché si tratta di fondi inutili, e spesso addirittura dannosi perché alimentano burocrazia, clientelismo e, a volte, finiscono addirittura nelle mani della criminalità”

Nei giorni scorsi l'eurodeputato del Movimento 5 Stelle eletto in Sicilia, Ignazio Corrao, analizzando i dati relativi ai fondi destinati dall'Europa alla nostra Isola dal Programma Operativo FESR 2014-2020, ha denunciato il taglio di oltre 200 milioni di euro per il patrimonio culturale siciliano. Eppure, stando a recenti studi, in Sicilia si troverebbe un quarto di tutto il patrimonio storico monumentale dell’Italia che, a sua volta vede allocato, sul proprio territorio, una parte rilevante di tutto il patrimonio culturale europeo e globale. Ciò nonostante, l’Unione europea non ha tenuto conto né di questo, né del fatto che il comparto del turismo culturale è fondamentale per l’economia dell’Isola.
Abbiamo notato come in regioni come la Sicilia, a fronte di 300 milioni di euro che potevano essere investiti per cultura e turismo, ne sono stati programmati solamente 100 milioni” ha detto Corrao. Il motivo che avrebbe portato l’Unione europea a prendere questa decisione sarebbe da ricercare nell’incapacità dimostrata dai governanti siciliani (e nazionali) che, negli anni scorsi, non sono stati in grado di utilizzare i fondi a loro disposizione.
Un problema, quello dell’incapacità di politici e amministratori di gestire i fondi strutturali, che non riguarda solo la Sicilia: solo lo scorso anno (ma chissà come mai, nella sua lettera dell’anniversario, Renzi non ne ha parlato), l'Italia è riuscita a “non spendere” il 66 per cento dei fondi Ue a disposizione, (4,135 miliardi di euro su 6,223 miliardi). Una performance negativa che piazza il Belpaese fra i peggiori dell'Unione europea (la percentuale di fondi non utilizzati è quasi il doppio della media comunitaria, che è intorno al 34 per cento).
Un’incapacità che è ormai diventata un’abitudine. Già nel periodo precedente, la Programmazione dei fondi europei 2007-2013, l’Italia è riuscita ad utilizzare solo il 58,28 per cento dei fondi a disposizione (poco più di 16 miliardi di euro su quasi 28 miliardi a disposizione, secondo uno studio di Repubblica). Il resto, grazie a questo modo di “governare senza fare”, è tornato a Bruxelles.
“La questione dei fondi strutturali europei è lo specchio dei vizi italiani", ha detto l'economista Giulio Sapelli. Che ha continuato: “A Bruxelles spesso inviamo personale scelto non per competenze specifiche, ma per stretta osservanza politica". Un problema che ha radici anche in Italia: “Per accedere ai fondi europei - precisa sempre Sapelli - occorrono nelle Regioni professionisti preparati sul fronte del diritto comunitario e poliglotti, mentre spesso queste funzioni vengono affidate a fedelissimi del governante di turno”.
L’Unione europea ha deciso di tagliare le somme destinate ad una delle voci più importanti per l’economia siciliana, probabilmente perché ritiene che i nostri politici e amministratori non saprebbero utilizzarli. Eppure non più tardi di qualche giorno fa il premier Renzi, nel vantarsi del suo primo anno di governo, ha detto: “Sappiamo di avere una questione Mezzogiorno ancora aperta. Al Sud la ripresa non è ancora arrivata e non sarà qualche decimale di punto a farci cambiare idea. Ho molta fiducia nella capacità di alcuni progetti simbolo di trainare la ripresa”. Una ‘ripresa’ che è difficile attuare dopo che, a Novembre, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), presieduto proprio da lui, ha tagliato tutti i fondi destinati a Sicilia e Calabria per la realizzazione delle grandi opere. E la situazione non è certo migliorata dopo l’annuncio che sono stati tagliati anche i fondi strutturali destinati alla cultura in una delle più belle regioni del Mezzogiorno, la  Sicilia.
Né Renzi, né Crocetta hanno commentato la decisione di Bruxelles. Eppure è palese che la critica era rivolta a loro, al loro modo di gestire i fondi comunitari in Sicilia e nel Belpaese. Spiega Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all'Università di Bari (e autore di diversi libri sull’argomento): “Le cause sono diverse: lentezza nelle opere pubbliche, complessità delle norme, mancata disponibilità del cofinanziamento nazionale, pessima congiuntura economica. Anche le misure dei ministeri, specie quelle infrastrutturali, sono in forte ritardo. La lentezza delle Regioni (e dei Ministeri) nell'emanare i bandi è dovuta in parte alla carenza di competenze e forse anche alla volontà dei politici ad accentrare attività di gestione e attuazione delle misure che andrebbero invece affidate a soggetti specializzati”.
Soldi, quelli che tornano a Bruxelles, che erano stati strappati dalle tasche degli italiani. “L'Italia contribuisce al bilancio Europeo - dice Roberto Perotti, professore di Economia politica alla Bocconi - in misura maggiore rispetto alle risorse che complessivamente riceve. La cosa migliore sarebbe rinunciare ai fondi strutturali o a una buona parte di essi. Risparmieremmo così la nostra quota di finanziamento dei fondi strutturali, e la quota di cofinanziamento, che potremmo utilizzare per ridurre le tasse”. Secondo Perotti e Filippo Teoldi, i fondi non sono stati spesi perché “si tratta di fondi inutili, e spesso addirittura dannosi perché alimentano burocrazia, clientelismo e, a volte, finiscono addirittura nelle mani della criminalità”.
Renzi, che come ha stabilito la magistratura recentemente, non è un esperto in materia, tiene in alta considerazione il parere dei “veri esperti” (come, del resto, tutti i suoi predecessori). Forse per questo non ha avuto niente da dire dopo il taglio dei fondi destinati alla valorizzazione del patrimonio culturale siciliano. In compenso, non soddisfatto dei soldi tolti agli italiani che finiscono a Bruxelles, ha deciso di contribuire con altri 8 miliardi di euro al Piano Junker (quello che doveva portare 300 miliardi in Europa, dopo averli prelevati, però, dalle tasche degli europei). Altri soldi che dovranno provenire dai risparmi degli italiani. Forse per questo il premier si è guardato bene dallo spiegare nel dettaglio dove avrebbe trovato tutti questi soldi: gli 8 miliardi che Renzi ha promesso a Junker saranno prelevati dai forzieri della Cassa Depositi e Presiti, la stessa che, casualmente (ma, in questo mondo di politici, niente è casuale) proprio nei giorni scorsi ha lanciato un’offerta pubblica di obbligazioni…
Alessandro Mauceri

la posta di Paolo Speciale

IL NUOVO GIUBILEO REGALO DI PAPA FRANCESCO

Un nuovo Giubileo straordinario in ogni senso, che rappresenta veramente il miglior regalo che il Vescovo di Roma potesse fare alla sua Chiesa nel contesto storico-confessionale che stiamo vivendo.
Molti si affrettano già a disquisire -per lo più tautologicamente - sui fattori strategico-ideologici di questa indizione, che pure possono legittimamente essere presenti in una scelta che di certo è anche una notificazione al mondo dell'identità – e non meramente dottrinale - della Chiesa Cattolica Apostolica, pur nel suo rinnovato impegno dialogico con altre confessioni, che certo non verrà meno.
In anni di orrida intensificazione fondamentalista in cui si attenta quotidianamente alla sacralità della vita umana negando in essa la libertà spirituale che Dio ci ha donato nella meravigliosa dialettica fede-ragione, continua il perpetrarsi di un olocausto infinito.
I governi del mondo faranno la loro parte per arginare o, meglio, porre fine ad ogni anacronistica quanto tragica guerra santa.
Ed anche Papa Francesco ha scelto la via da percorrere adesso: quella della misericordia.
Cioè quella della com-passione, intesa non solo come diplomatica ed esteriore solidarietà verso chi ha bisogno di aiuto per i motivi più disparati, ma anche e soprattutto come condivisione gratuita e disinteressata di ogni status astratto o fisico di chi non vuole bere un calice amaro.
Quel sentimento insomma, considerato anche una preziosa virtù morale, che qualcuno considera addirittura più prezioso della carità così come la intendeva San Paolo: la Misericordia quale perfetto connubio di carità e giustizia, presente già nella filosofia aristotelica in una accezione di tipo catartico, interpretabile anche oggi in maniera non difforme da allora.
La Misericordia è il principio ispiratore del Nuovo Testamento, in cui Essa stessa si sublima nel dono gratuito di Cristo al Mondo, attraverso cui il Creatore si fa Creatura, per condividerne ogni sofferenza.
E' anche l'arma più forte, invincibile, pur essendo la più modesta e la più semplice.
Ritrovare la Misericordia che c'è già in ognuno di noi: è questo il messaggio del nuovo Giubileo che inizierà non a caso in coincidenza con il 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II e con la ricorrenza della Immacolata Concezione: nel discorso inaugurale del Concilio pronunciato da Papa Roncalli si definisce Misericordia la medicina più efficace per curare gli effetti devastanti di certi errori umani e  chi, se non la Madre Immacolata di Cristo e della Chiesa può essere più degna ed eterna Sede della Misericordia oltre che della Sapienza?
Paolo Speciale

14 mar 2015

Un commento alla nuova recensione di Domenico Cacopardo

Non tutte le colpe appartengono alla Grecia...
Non credo che si tratti solo di demagogia!... .Landini, ad esempio, spiega anche con motivi validi alcune ragioni che non funzionano in seno al sistema. Sistema nel quale.. persone come Domenico Cacopardo.. vi sono immersi anche con interessi remunerativi chiaramente comodi. Domenico sa bene che io non parlo come uno di quegli estremisti invidiosi o come tante di quelle figure populiste, poiché non amo la demagogia..tanto quanto odio quella forma assolutista...disponendomi sempre verso la ricerca di un equilibrio.
Non, dunque, per togliere i meriti a Domenico come a tanti altri che si son fatti valere (ogni merito deve essere dovutamente riconosciuto), ma la questione andrebbe affrontata con maggiore profondità e senza dirigerla con tanta freddezza nei confronti di un popolo come la Grecia che, sbagliando o non sbagliando, deve oggi affrontare problematiche che riguardano la sussistenza e, persino la vita, di tanti loro cittadini...Che si dovrebbe fare?..farli morire di fame per colpa di quei principi economici dei quali..poi..in tanti hanno abusato?
In riferimento poi al nostro Paese..come non accorgersi che per la crescita cui fa riferimento Domenico in chiusura del suo articolo, occorra ciò che Renzi ha meno individuato e proposto..e cioè le idee e non.. l'usuale semplificazione.
Viviamo oggi in un sistema che penalizza la ricerca delle idee in favore di un pragmatico criterio di economia viziata e di una finanza speculativa incontrollata da parte di un'Europa alquanto squilibrata nella sua opera di costruzione. Ciò rappresenta oggi un freno alla innovazione ed un difetto imperdonabile per l'equilibrio necessario di una convivenza democratica...
Nel passato Platone criticava i Sofisti poiché il loro difetto fondamentale consisteva nel fatto che si rifiutavano di procedere al di là delle apparenze e perciò ne rimanevano prigionieri...Ma attenzione..l'aspetto più interessante secondo la sua dottrina era quello secondo cui la nostra anima, prima di calarsi nel corpo, è sempre vissuta nel mondo delle idee, dove tra una vita e l’altra ha accresciuto la sua conoscenza. Per lui "conoscere era come ricordare" in quanto noi abbiamo conoscenze innate. Per non di meno, egli, dava alle idee l’ulteriore significato di “valore”. Una caratteristica particolare che nel senso odierno sarebbe simile ad “ideale” o “principio morale”.
Al di là di questi richiami filosofici che sanciscono comunque una certa verità..il vero difetto è che, oggi lo spazio alle idee, appare sempre più chiuso dall’inconscia paura di non determinare alcun riscontro positivo rispetto ad un mondo che tende a muoversi prevalentemente in direzione di severi principi razionali eliminando, in via preventiva, qualunque incognita ideativa o presupposto teorico. Proprio la politica, in questi ultimi anni, ha determinato in prevalenza scelte radicali dettate da posizioni pragmatiche tese alla costruzione di sistemi ristretti che a loro volta comprimono le stesse idee.
L'analisi di Domenico Cacopardo, malgrado la chiarezza e la capacità espositiva, rimane quasi sempre bloccata da questa visione: Una interpretazione meno profonda in termini di equità sociale.... viziata inoltre da un “modus pensandi” troppo compreso in una percezione temporale di un sistema che alla base rimane malato e scorretto proprio in termini di equilibrio...Ciò ha contribuito a determinare in tanti come lui.. un comodo adattamento..ed una “forma mentis” dalla quale pare difficile sganciarsi.
vincenzo cacopardo



Il futuro della Grecia
Il futuro della Grecia è importante ma non determinante per l’Unione europea e per l’Italia. Certo, se il Paese che è erede di coloro che hanno fondato la civiltà occidentale, dalla filosofia, alla letteratura, alla matematica, uscirà dall’Europa, si tratterà di uno smacco generale, i cui costi, però sono serenamente sopportabili da Bruxelles e dalle altre capitali.
In fondo, se la situazione precipiterà come molti indizi lasciano immaginare, i benefici saranno maggiori dei costi.
Si dimostrerà, infatti, che la finanza allegra e creativa, gli slogan di una vecchia sinistra incapace d’essere al passo con i tempi, le invenzioni senza sostanza di Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis non hanno alcuna possibilità di successo. La demagogia non risolve i problemi.
Senza scendere nel merito delle volgarità del ministro della difesa di Atene Panos Kammenos, leader dei Greci Indipendenti, un partito di destra nato dalla scissione di Nea Democratia, che ha minacciato la consegna di documenti comunitari a esponenti dell’Isis e ad altri terroristi in modo che possano raggiungere legalmente e facilmente Berlino, occorre porsi un problema generale che riguarda anche noi italiani.
È possibile una via diversa da quella costruitasi nel Continente dalla fondazione, il 23 luglio 1952, della Ceca, la Comunità Carbone e Acciaio? Una via, cioè, che permetta alle cicale di sperperare lasciando i conti da pagare ai cittadini dei paesi virtuosi, con l’economia in ordine?
La risposta è, con tutta evidenza, che non è possibile, ma occorre aggiungere altro: che l’Unione europea nasce e si sviluppa per libera adesione degli stati secondo un progetto politico-economico di tipo liberista, nel quale la competitività di sistema è il primo e imprescindibile presupposto dell’esistenza dell’Unione medesima. E i conti in ordine sono l’altro fondamento del binomio, quello sul quale si costruisce un soggetto vivo e vitale, capace di una forza economico-finanziaria mai vista prima.
In questi giorni, in queste ore, si arriverà a una decisione: constatato che le ricette del governo greco non esistono e, se esistono, sono annunciate per sviare l’attenzione dell’Unione e della Bce dalle questioni che lasciano irrisolte, vista la sospensione degli aiuti finanziari previsti per marzo, non resta che riaffermare i termini del risanamento e delle riforme che spettano ad Atene, sapendo che, in mancanza, da domani le casse dello Stato non saranno più in grado di pagare stipendi, pensioni, tutto ciò che, insomma, allo Stato compete.
Probabilmente, il fallimento della Grecia (del resto, con grande senso di irresponsabilità, proprio il ministro dell’economia Varoufakis continua ad affermare che, tecnicamente lo Stato ellenico è già in «default»), se e quando sarà annunciato (col ritorno alla dracma: sarà da vedere chi accetterà la nuova moneta), avrà un grande effetto didattico, nel senso che dimostrerà a tutti gli europei quali sciagure può produrre l’adozione di una via divergente da quella dell’Unione, e quali benefici, nonostante tutto ciò che si dice in giro, produce esserci dentro.
Una situazione, quella greca, che dovrebbe essere seguita con spasmodica attenzione dall’Italia. Non tanto dagli sbandati di Sel, incoscienti seguaci di Tsipras, e da qualche rimanenza radicale alla Landini, quanto da tutti gli altri, quelli che seguono la campagna agitatoria di Grillo e Salvini, accomunati dal verbo antieuropeo e da un evidente razzismo.
E dal governo, a partire da Matteo Renzi: per ora le parole prevalgono sui fatti, che, tuttavia, sono molti di più di quanto non fossimo abituati a vedere. Ciò che non appare è che, accanto ad alcune riforme, sostanzialmente giuste, debbono essere ancora affrontati alcuni nodi cruciali: prima di tutto quello delle posizioni parassitarie delle burocrazie statali, regionali e comunali, che, dalla politica di «austerity» all’italiana non hanno subito l’imposizione di alcun concreto sacrificio. Le società pubbliche sono sempre le stesse in numero e in sprechi. La «spending review» è lì dove l’ha lasciata Carlo Cottarelli, bloccata dal realismo di Renzi che non se l’è sentita di mettere le dita negli occhi del corpaccione burocratico che ha trovato riferimento politico nel Pd. Se c’è una spiegazione razionale e accettabile di questa inerzia è solo quella dell’attesa della semplificazione del ruolo del Parlamento con l’ormai prossima introduzione del monocameralismo.
Ma non basta una spiegazione. Occorre l’azione continua e forte perché il Paese si scrolli dalle spalle l’enorme peso che ancora ne impedisce la ripresa. In esso conta molto il pianeta giustizia, quel pianeta che ci mette 7 anni per stabilire la riscossione di un credito che altrove trova soddisfazione giudiziaria in meno di sei mesi.
La Grecia fuori, l’Italia dentro ma con tante cose cruciali da fare.

Domenico Cacopardo

12 mar 2015

Il rispetto per la democrazia..

TROPPA FRETTA E POCA RIFLESSIONE

In un recente editoriale Domenico Cacopardo scrive:
"Non si deve avere paura di Renzi e delle sue riforme. La semplificazione del sistema che nel 1948 o nel 1950 avrebbe fatto rabbrividire il Paese, oggi è utile alla sua ripresa e non presenta il pericolo per la democrazia che alcuni agitano.
E poi continua ....Dimenticano, costoro, che siamo componenti dell’Unione europea e dell’eurozona e che i vincoli internazionali nei quali ci dobbiamo muovere rendono impossibile l’imporsi di una deriva autoritaria. Quello che può accadere e accadrà se Renzi non scivolerà su una delle innumerevoli bucce di banana di cui ha cosparso il proprio tragitto, è l’instaurarsi di una presidenza forte e governante, responsabile di fronte all’elettorato italiano di ciò che ha fatto, di come l’ha fatto e di ciò che non ha fatto."




Nel profondo del suo pragmatismo, Domenico, sottovaluta i risvolti di quello che io invece sottolineo come l'assolutismo di una deriva autoritaria per la definizione frettolosa e semplificativa di un falso cambiamento.
- Ma chi ha stabilito che il bicameralismo perfetto (sebbene oggi meno perfetto) studiato nel passato da politici costituzionalisti di alto valore e conoscenze, possa essere così frettolosamente messo da parte da un governo nemmeno votato dal popolo?
- Chi crede oggi di poter modificare con estrema presunzione, (affidando ad una figura da "assistente" come la Boschi.. seguita da una spavalda ed ambiziosa figura come Renzi) i principi che stabiliscono quei fondamentali pesi e contrappesi che nella storia passata hanno contribuito alla difficile costruzione della democrazia del nostro Paese?
- Chi può scommettere che il bicameralismo non sarebbe potuto essere mantenuto e modificato solo nelle sue storture poco efficienti, rendendo maggiore bilanciamento alla politica?
- ..Ed infine..chi mai può pensare che attraverso una governarnabilità dall'alto si possano stabilire le regole per costruire un vero principio di democrazia inteso come governo di un popolo?
Ma è proprio il simulato ed ipocrita cambiamento, proposto dal sindaco d'Italia Renzi, in termini di semplificazione.. che si identificherà ben presto come una vera stortura di un processo che non sposa i valori stessi che dovrebbe esprimere una democrazia.
Si! sicuramente nell'immediato vi potranno essere dati positivi che si potranno riscontrare nella semplificazione delle normative e delle leggi, voluta, come sottolinea Domenico, da una “presidenza forte e governante”, ma è sempre il principio della democrazia che viene sovvertito ed io credo.. che una reazione non potrà tardare a venire.
Non esistono eccessi di democrazia, come qualcuno vorrebbe oggi rimarcare.. come non esistono democrazie superficiali. La democrazia non può mai essere definita eccessiva o leggera. La democrazia è la democrazia! O la si rispetta o la si abbandona!
Questa è la ragione per la quale si può avere paura di figure come Renzi!
vincenzo cacopardo









Una nota al nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul processo Ruby


L'analisi di Domenico Cacopardo sembra perfetta...
Se non fosse per personaggi irragionevoli come la ultrafedele Santanchè e quei pochi che ancora vorrebbero dimostrargli riconoscenza, il nome di Berlusconi si sarebbe quasi del tutto oscurato in politica. Da questo punto di vista il Cavaliere si è sicuramente dimostrato fin troppo un estremo benefattore in seno al suo partito. 

Ma il punto fondamentale rimane uno, sul quale focalizzare l'attenzione...
Abbiamo già affrontato nel passato questo argomento sottolineando che il problema va inquadrato soprattutto sull'atteggiamento che ha avuto nel passato il Berlusconi premier ..una condotta che non avrebbe mai potuto assumere proprio per il delicato ruolo che gli avrebbe dovuto imporre una vita più sobria e contenuta.

Molti finiscono col definire la libertà degli uomini come il principio base sul quale si fonda la società civile democratica...quindi..se qualcuno vuole vivere le sue emozioni nel suo privato, è libero di farlo..Ponendo, in tal modo, il pensiero nell'ottica della vita del comune cittadino e facendo, così, di tutta l'erba un fascio...

Ma Berlusconi non era per nulla inquadrabile in questa ottica.. 

Con assoluto rispetto verso la figura del Cavaliere, non possiamo omettere di ricordare che tale libertà,...alla quale in tanti fanno spesso riferimento.. mettendola in relazione con la democrazia, non potrebbe mai essere concessa a chi assume un ruolo di alta responsabilità politica come quella di un primo ministro.

Nella fattispecie, quella libertà da voler esprimere senza controlli o senza vincoli è sicuramente demagogica quando la si volesse collegare a certe figure istituzionali che non dovrebbero mai rendersi ricattabili e poco garanti per la responsabilità ed il rispetto verso la stessa Nazione che guidano. 
Si può mai rischiare la sicurezza di un Paese per dare sfogo a qualsiasi forma di libertà? 
Domenico Cacopardo..definisce meglio i dettagli sul processo...
vincenzo cacopardo


I lettori sanno come la pensiamo sul processo Ruby 1, sul quale ieri la corte di Cassazione ha posto una pietra tombale, non trovando le ragioni giuridiche necessarie per mettere in discussione la sentenza della corte di Appello di Milano.
Al di là del linguaggio tecnico, in sostanza, in Appello s’era ritenuta non dimostrata, mediante l’acquisizione di prove, l’accusa di prostituzione minorile e insussistente quella di concussione.
Se torniamo a soffermarci sui due punti, dobbiamo rilevare che è stato presa in esame (sempre in Appello) la conoscenza, da parte di Berlusconi, della minore età di Karima ed è stato affermato che la prova di questa conoscenza non è stata raggiunta. Quanto alla concussione s’è ritenuto che «il fatto non sussiste».
In realtà la corte d’Appello non poteva decidere diversamente da come ha deciso. È vero, ha ritenuto insussistente la concussione che, invece, godeva di un ampio sostegno probatorio. 
Non c’è, infatti, alcun dubbio che un uomo della scorta abbia chiamato al telefono il capo di gabinetto della Questura di Milano Piero Ostuni e che gli abbia passato quello che allora era il «premier». E che ciò che ascoltò Ostuni, compresa la panzana «nipote di Mubarak», aveva i caratteri della concussione tipica, cioè ministeriale: la catena gerarchica di cui Ostuni era il terminale, saliva sino al capo della Polizia, al ministro dell’interno (Maroni) e al primo ministro. 
Ma questa configurazione dell’accusa aveva, sin dall’inizio, il difetto di chiamare un causa l’incarico governativo dell’accusato e, quindi, la competenza del tribunale dei ministri, molto meno attento alle tesi della procura di Milano. Perciò la pubblico ministero Bocassini elaborò una interessante teoria sulla natura non ministeriale della specifica concussione messa in atto dall’accusato. 
Posta nell’ambito della concussione, come dire, volontaria, senza alcuna costrizione derivante da un vincolo, anche mediato, gerarchico, l’ipotesi di reato non poteva sussistere e degradava al livello di una chiacchierata da bar tra amici.
Sul secondo punto, occorre dare atto all’avvocato Coppi e al suo collega Dinacci di avere colto nel segno quando hanno spostato il «focus» dalla prostituzione minorile alla «conoscenza della minore età», e sovvertito le strategie precedenti: il progetto accusatorio è stato affondato nel suo preciso punto debole.
La medesima requisitoria del procuratore generale della Cassazione, che affrontava questioni di merito cui la corte era ed è estranea, dimostrava la debolezza dell’impianto del ricorso contro l’Appello presentato dalla procura della Repubblica di Milano.
Le successive dichiarazioni trionfalistiche di Berlusconi e il progetto di ritornare in campo sono fuori luogo per una serie di motivi, tutti pesanti. Il primo è che nessuno mette in dubbio che Berlusconi abbia ricevuto in casa propria a Roma, Milano e in Sardegna, molte ragazze disponibili e, tra esse, la medesima Karima. Certo, questo non è reato, ma getta una pesante nube sull’immagine dell’uomo. Che, sul caso Ruby non sia stato condannato, non cancella le cose che sono trapelate su di lui e sui comportamenti privati che non potevano né possono rimanere estranei alla sua immagine pubblica.
In secondo luogo, ci sono ancora in movimento altri procedimenti penali, il più pericoloso dei quali, per l’interessato, è quello che riguarda la retribuzione mensile e le saltuarie donazioni di denaro a un gruppo di fanciulle, dette «Olgettine» dal condominio in cui erano ospitate a sue spese, e di altre, tra le quali la stessa Ruby.
La tesi dell’accusa, molto plausibile, è che questo imponente flusso di denaro sia il prezzo del silenzio e della testimonianza ben indirizzata. E che ne sia ancora in corso il pagamento.
Se la procura dimostrerà questa tesi, altre brutte notizie aspettano il «leader» di Forza Italia. 
Perbacco: l’uomo, ormai anziano, dovrebbe avere imparato dalla vita a essere prudente, soprattutto quando la controparte è costituita dal più agguerrito ufficio accusatorio d’Italia.
In terzo e ultimo luogo, la politica, in quest’ultimo anno, è andata avanti con passi da gigante. E lui, il cav. Berlusconi, se ne è spontaneamente allontanato, perdendo «appeal» anche tra i propri seguaci. Ricominciare è difficile, se non impossibile: chieda consiglio a Gianni Letta e a Fedele Confalonieri. Ascolterà parole ben diverse da quelle che gli sussurrano gli intimi rimasti, l’«ultima» malinconica «raffica».
Domenico Cacopardo
































11 mar 2015

L'addio deciso a pesi e contrappesi...

Riforme e democrazia ..tra le incertezze dei partiti e gli assolutismi governativi 

di vincenzo cacopardo

Il ddl Boschi marcia spedito come nulla fosse, mentre il Pd tentenna...
Malgrado il Patto del Nazareno non ci sia più, l'ala dissidente più dura del PD.. compresa quella dei bersaniani, non riesce a digerire questa riforma... minacciando come ultimo il voto in favore delle riforme renziane e chiedendo di modificare in modo sensato l’Italicum poiché il combinato disposto genera una situazione insostenibile per la democrazia.

Il voto è avvenuto all’insegna della divisione del Partito democratico e mentre Forza Italia conferma il proprio "no",  l'ala vicina a Denis Verdini, forte di 17 deputati pare esprimere dissenso rispetto alla decisione di votare contro le riforme istituzionali all’esame della Camera ( un particolare che risulta strano da parte di un senatore come Verdini sempre legato a Berlusconi.. che lo vedrà impegnato in una prova di forza quando il ddl passerà al Senato).

Abbiamo già discusso abbondantemente sul lavoro di questo assurdo parlamento disposto a qualunque frattura e qualsiasi compromesso pur di tenere la comoda poltrona e quindi non può che apparire risibile ogni atteggiamento da parte di una sinistra dissidente fin dall'inizio dell'entrata di Matteo Renzi al comando del partito. Una parte della sinistra che continua a protestare ma che rientra, subito dopo nei ranghi, accodandosi..per la evidente paura di perdere un seggio.

Scrive Domenico Cacopardo in un suo articolo:

“si dovrebbe constatare che la minoranza del Pd condivide le contestazioni di Forza Italia sulla mancata negoziazione del nome del futuro presidente e che, di conseguenza, avrebbe gradito che Renzi, prima di proporre Mattarella all’assemblea di deputati, senatori e grandi elettori del Pd, avesse definito un accordo con il cavaliere. Ma sul quel nome nessun accordo era possibile. Solo Amato sarebbe stato gradito alla controparte del Nazareno. 
L’aspetto subliminale e freudiano di quanto dichiarato da Cuperlo è che se Renzi avesse convenuto con Berlusconi una candidatura Amato avrebbe fatto meglio di come ha fatto.
Poiché il ragionamento non regge, risulta chiaro che l’appello di Cuperlo a una riforma approvata con la partecipazione delle minoranze –che non ha alcuna possibilità di essere accolto a questo punto dell’«iter» parlamentare-, è solo strumentale all’esigenza di creare il massimo fastidio-difficiltà possibile al «premier» nel corso dell’ultimo passaggio del nuovo «statuto» del Senato.
La risposta di Renzi è stata quella di promettere un referendum, senza aspettare la solita raccolta di firme da parte delle opposizioni.
Anche se non è prevista dalla Costituzione, questa consultazione preventiva ha il pregio di sminare tante delle perplessità in circolazione, anche perché, nel merito, questa nuova legge è molto pasticciata.
Ma la questione è politica ed è «in progress». Una volta abolito il bicameralismo perfetto, sarà più facile praticare gli aggiustamenti legislativo-organizzativi che si presenteranno come necessari o utili. Se il nuovo Senato non funzionerà, sarà agevole aggiustarlo.
In realtà, quello che serve all’Italia è che il processo di riforme vada avanti in coerenza con le indicazioni, oggi indulgenti, dell’Unione europea, e con l’imperativo assoluto di cogliere la ripresa, trasformandola da timido arresto della caduta, in reale crescita e, presto, in vero e proprio galoppo.
Sarebbe criminale trasformare, per piccole esigenze correntizie o di partito, il treno veloce del rilancio nel solito, traballante accelerato.”


Ora..se tutto ciò potrà avere un senso in una visione strettamente pragmatica dei fatti..mette sicuramente in dubbio l'efficacia profonda nel merito di tali riforme. Quello che Domenico Cacopardo pare non  voler mai mettere in evidenza.. è il fatto di come tutto ciò si stia facendo in barba a qualunque principio democratico..operando con fretta, con una gran dose d'ipocrisia e nella mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini ( anche perchè si è consapevoli dell'ignoranza di gran parte di loro) 

Anche qui viene messo in prima fila un concetto astratto di bisogno di riforme che incanta in qualche modo la società civile.. senza curarsi a fondo del merito delle stesse... Portando avanti esclusivamente un più comodo concetto machiavellico del fine che giustifica i mezzi e dimenticandosi che spesso questo fine può generare altre reazioni che potrebbero esplodere in senso inverso. Al contrario la politica dovrebbe invece prevedere i propri risvolti in lungimiranza, usando di certo il pragmatismo, ma compensandolo attraverso le idee funzionali..e non dimenticando mai i mezzi da usare.

Se vi era un'occasione per promuovere una nuova riforma di cambiamento.. bisognava guardare molto più avanti , occorreva scorgere un futuro innovativo più consono alla nostra cultura politica, più funzionale e meno compromesso..arginando una lunga serie di evidenti anomalie.
La ricerca di un vero cambiamento sarebbe.. dovuta partire da una equilibrata distribuzione e divisione dei ruoli delle Camere che ne rappresentano il consenso, ed era la ragione indubbia di dover lasciare il bicameralismo correggendone solo gli evidenti difetti..
Certo.. questa.. non sarebbe stata la soluzione conclusiva.. se non la si accompagnava con un adeguato studio di fattibilità attraverso un dialogo comune che potesse arginare definitivamente il perenne conflitto in seno alle istituzioni politiche, dando maggior forza agli indispensabili pesi e contrappesi di cui tanto si parla, ma che sicuramente, avrebbe difeso meglio i valori di una democrazia popolare.

Oggi la fretta sembra comandare su tutto e l'approssimazione... unita alla semplificazione promuove una governabilità... tanto faziosa, quanto poco edificata nei suoi principi..