28 nov 2014

Alla faccia della rottamazione!.

Alla faccia della rottamazione!..Se la politica del segretario PD.. primo ministro e sindaco d'Italia Matteo Renzi.. voleva presentarsi come quella innovativa della rottamazione..non vi è dubbio che ha sortito un risultato totalmente opposto.

L'esempio più vivido è quello del senatore Denis Verdini, venuto fuori alla ribalta della scena politica improvvisamente negli ultimi anni seguendo a braccetto il Cavaliere... Diverse volte a giudizio con capi di imputazione come concorso in corruzione, truffa e bancarotta..(i processi non si contano più sulle dita di una mano e restano ancora in sospeso per la lungaggine di una magistratura di per sè impantanata, ma anche alle prese con le decisioni dell'Aula parlamentare).

La domanda che i tanti cittadini dovrebbero porsi è quella di come Renzi abbia voluto rottamare personaggi dello stampo di D'Alema (sicuramente più politicamente profondi e preparati) lasciando il campo aperto ad altre figure come quella dell'ineffabile e fin troppo discusso Verdini. Se è vero che il personaggio non appartiene al suo Partito ..è anche vero che con esso il premier mantiene un considerevole dialogo.

L'esempio di Verdini viene spontaneo proprio perchè determina una evidente dicotomia che contrasta fortemente la deontologia politica di chi, come Renzi, ha sempre preteso di rottamare per rinnovare. Sappiamo bene che Renzi opera pragmaticamente e per fini politici determinati non ponendosi problemi nel dialogo con Berlusconi. Ma Berlusconi non è esattamente Verdini. Berlusconi nel bene o nel male è sempre stato un leader ed occupa una posizione forte ed ormai riconosciuta di grande manager...ma Verdini..da quel che si conosce..sembra essere venuto fuori improvvisandosi figura politica.

Questo il curriculum non proprio impeccabile..tratto dalle fonti della Rete.. di chi oggi discute le riforme col nostro Primo Ministro:

-Nel passato è titolare di macellerie, da laureato in scienze politiche, si specializza come dottore commercialista, esercitando a lungo la professione, prima di ricevere l'incarico di presidente del Credito Cooperativo Fiorentino.
-Il 14 marzo 2013, i PM di Firenze chiedono il rinvio a giudizio per Verdini nell'ambito del procedimento sulla gestione del suddetto Credito Cooperativo Fiorentino. La richiesta viene accolta dal gup di Firenze. Verdini dovrà rispondere per truffa ai danni dello Stato.
-Successivamente nell'ambito di una inchiestaper truffa per una presunta indebita percezione di fondi per l'editoria, la Procura della Repubblica di Firenze emette un'ordinanza attraverso la quale la Gurdia di finanza sequestra beni per 12 milioni di euro alla società Settemari di Verdini
-Poi ancora.. il 19 novembre 2014, Verdini, viene rinviato a giudizio dal gup Cinzia Parasporo per concorso in corruzione. Il 25 novembre 2014 viene indagato dalla procura di Firenze con l'accusa di bancarotta fraudolenta in riguardo al fallimento della Scietà Toscana Edizioni.
Non domentichiamo altri casi come quello della Maddalena, della P3 e P4..

Ma al di là di come si concluderanno detti processi.. e come verrà definita la posizione del senatore Verdini..della quale poco potrebbe interessarci, ma per la quale si deve rispetto, non può che apparire inquietante il dialogo che (all'ombra di un Nazareno) vede coinvolta una simile figura in un quadro riguardante le riforme del futuro del Paese... quando altre più nobili figure, sono state tolte di mezzo attraverso una manifesta volontà di non voler riciclare.Tutto ciò sembra non nuocere affatto alla figura ipocrita del nostro sindaco d'Italia.
Se questa è la rottamazione...
vincenzo cacopardo

Austerità e crisi ..quale futuro?


James K. Galbraith, famoso economista americano.. radical, pacifista, grande studioso delle diseguaglianze, ci induce a dimenticare la normalità di un benessere passato ..affermando che esso non potrà più tornare in un contesto evidente dell'economia mondiale. Da oggi in avanti..secondo l'economista vivremo di continua instabilità ed è quindi preferibile adattarsi ad un ritmo di vita diverso.
James K.. Galbraith, sostiene che le scelte economiche dell'Europa suggerite dalla Merkel non potranno mai portare benefici economici alla società . Nel suo ultimo libro la “fine della normalità” spiega come e perchè, nonostante questi tetri aspetti, ce la possiamo ancora fare.

Secondo il parere dell'economista, il sentimento nutrito da molti è quello dell'attesa di una crescita: -in tanti pensano che quanto prima si ritorni a quel benessere economico che abbiamo conosciuto nel secolo scorso e che... passata la crisi, si torni a quella normalità.
Nel suo nuovo saggio.. Galbraith ci espone i motivi secondo i quali non sarà possibile ritornare agli splendori degli anni dorati della crescita: 1)-i costi crescenti e volatili dell’energia- 2)il caos geopolitico con le crisi della governabilità- 3)una prepotente innovazione tecnologica che ruba lavoro -4)una finanza più che amorale.
Quattro motivi per i quali ogni sforzo potrebbe essere inefficace.

Nel contempo l'economista si pone l'altra domanda ..una domanda diretta verso la realtà di dover vivere con poca crescita...si chiede perchè e come attaccarsi alla poca crescita. La risposta gli viene suggerita dal fatto che una crescita resta impossibile da ricreare attraverso il gravoso impegno in direzione delle molte cose da dover sviluppare insieme: Non è più possibile forzare una crescita, ma adeguarsi con intuito ad uno sviluppo differente..più mite.. che deve prevedere il rafforzamento di tutte le istituzioni...Insomma ..con una crescita inferiore..le stesse istituzioni e le politiche sociali diventeranno più solide..al contrario più si cresce ..più vi è bisogno di affrontare spese sociali maggiori per proteggere la popolazione....ed alzandosi i bisogni sociali...chi li pagherà?.. Il pensiero dell'economista sembra dividersi anche nella visione keynesiana, per la quale la politica sociale e l’intervento pubblico, servono per ottenere più benessere e anche più occupazione

Galbraith ritiene che fino a pochi anni orsono una certa scuola di pensiero dell'austerity sosteneva che tagliando la spesa sociale si sarebbe creata più crescita... Ormai sembra scontato asserire che se tagli la spesa sociale avrai più povertà, disagio, disoccupazione, senza alcuna rilevanza sul debito pubblico; questa scuola non ha più credibilità. Un’altra scuola(giusto quella di matrice Kejnesiana) asserisce che bisogna invertire l’austerità, spendendo più soldi e così avremo la crescita”. Ma oggi..come sostiene l'economista, “sono cambiate molte cose rispetto alla impennata della crescita avvenuta nel dopoguerra...e nei suoi quattro punti sopra esposti quello che più la impedisce è “una certa speculazione che ha rubato il posto dei finanziamenti alle imprese”. In questo quadro, sottolinea, “la reazione migliore è proteggere la gente. ed in più, mettere fine alla particolare situazione che si è creata in Europa, con i paesi del Sud sotto enorme pressione per i programmi di austerity"
Per Galbraith..la situazione in Europa pare essere quella di una stagnazione più che di una crescita ed è molto più pericolosa che nel resto del mondo. Una crisi che minaccia l'esistenza stessa delle sue istituzioni e che porterà al fallimento dell'Europa prima ancora che di quella dell'euro..Saranno proprio gli effetti divergenti dell'austerity a provocarne la fine.

La visione di Galbraith.. che, riguardo al nostro paese, Renzi valuterebbe da gufo, altro non è che lderivata da una analisi approfondita di chi studia da tempo tali fenomeni dell'economia. La vera problematica esistente sulla quale sicuramente si sovrappongono i quattro punti che l'economista americano pone come freno alla crescita, rimane, però, lo stato evidente dell'eccessiva sovrappopolazione. Un punto sul quale è difficile poter trovare soluzioni facili e comode. 

L'eterogenesi dei fini di conseguenze non intenzionali provocata dalle azioni di una prepotente speculazione finanziaria, hanno ridotto il mondo al servizio di una economia malsana, assai corrotta e per niente funzionale all'essere umano. La politica ne è la maggiore responsabile.

Tutto nasce dopo una morte e tutto muore dopo una nascita.  Lo splendore della rinascita che abbiamo toccato con mano nel dopoguerra sembra già da tempo essere arrivato al culmine ed un mondo sempre più sovrappopolato..pare combattere la sua lotta verso la crescita attraverso il cinico pragmatismo di una finanza a dispetto delle fondamentali risorse delle idee e dell'equilibrio...
Saranno proprio queste a salvarci?
vincenzo cacopardo




27 nov 2014

Pragmatismo ed interpretazione democratica

di vincenzo cacopardo

Srive Domenico Cacopardo sulla Gazzetta di Parma

“Finalmente, il «Jobs act» entra in dirittura d’arrivo: dopo l’approvazione con modifiche minori alla Camera, il Senato, nei prossimi giorni ne sancirà la definitiva approvazione. Da gennaio, le norme, mano a mano che i decreti delegati saranno diramati, entreranno a regime.

Rimangono sul terreno, accentuandosi, le divisioni del Pd: una quarantina dei suoi deputati non hanno votato la legge.

Curiosa questa posizione. Non c’è chi non veda come la situazione globale spinga verso la flessibilità del mercato del lavoro, secondo il collaudato paradigma «la facilità d’uscita facilita l’entrata».

Basterebbero due conti a spanne. La terra è popolata da circa 6 miliardi di persone. Almeno quattro miliardi e mezzo sono in età lavorativa. Un miliardo vivono nei paesi sviluppati. Un paio di miliardi tra Cina, India, Brasile e Messico. Essi, sino a ieri –e in parte ancora oggi- erano sulla soglia della povertà, come al di sotto ci sono gli altri.

Nel mondo, quindi, ci sono almeno due miliardi e mezzo di persone che, per la recente uscita dall’indigenza, o per la persistenza di essa, sono disposti a tutto pur di lavorare, guadagnarsi l’alimentazione, il vestire e gli studi per i figli.

Questo è il terreno di confronto tra l’Italia, ancora attestata, anche se un po’ meno, sulla difesa di un sistema di tutele e privilegi e il resto del mondo.

E pensare che siamo entrati nel 14° trimestre di Pil calante, un evento mai verificatosi nella storia di una nazione. 

A Terni, la Thyssen-Krupp che gestisce l’Ast, azienda produttrice di acciai inox, dichiara 536 esuberi su 2600 dipendenti. Che fa il sindacato? Blocca l’azienda, la città e l’autostrada del Sole, immaginando che ricattando gli italiani sarà trovata una soluzione. E, purtroppo, la giovane ministra dello sviluppo, impaurita dalla violenza della lotta sindacale si inerpica in promesse non mantenibili.

I dati del problema sono semplici. La Thyssen-Krupp opera nel contesto mondiale e il suo palcoscenico è globale. Se il suo stabilimento viene bloccato per difendere 536 posti di lavoro che non ci sono più (esuberi) potrà facilmente spostarsi altrove, dove ci sono migliaia di uomini disponibili a lavorare di più e a percepire una retribuzione inferiore senza disporre delle previdenze del sistema italiano. E, se cercasse di vendere, nessun «competitor» accetterebbe un sistema così paralizzato.

Perché quindi il sindacato e un pezzo di Pd danno battaglia sul terreno del lavoro?

C’è, di fondo, un’ipocrisia che non fa dire agli italiani e agli operai, la verità: il loro potere contrattuale oggi è pari a zero e, quindi, si dovrebbe operare per una gestione «accompagnata» delle crisi. 

Né Camusso né Landini hanno il coraggio che serve. Quindi, alimentano il conflitto, una strada d’irresponsabilità che aggrava la situazione, quando ci vorrebbero collaborazione e realismo.

Diversa la storia delle minoranze Pd. Legate mani e piedi all’ultima organizzazione in vita (la Cgil), sanno di essere giunte al capolinea, com’è accaduto nell’exEst europeo agli excomunisti. Se la prendono, invano, con il leader del rinnovamento.

Non hanno speranze. L’Emilia Romagna lo dimostra. Il circuito che alimentava il voto totalitario è scomparso: tutti (gli excomunisti) a casa.”
domenico Cacopardo



I tecnicismi burocratici a cui fa riferimento Papa Francesco altro non sono che il frutto di una interpretazione fin troppo pragmatica che non lascia vedere oltre....

E' veramente impossibile per il sottoscritto leggere le parole di Domenico Cacopardo senza poter commentarle ed esprimere le mie diverse posizioni. La maggiore ipocrisia..non è certamente quella dei lavoratori e di chi si appresta a difenderne i diritti...ma è quella condotta dal primo ministro che pretende di imporre ogni sua riforma col solito determinismo..chiudendo ogni dialogo e persino offendendo alcune associazioni storiche a difesa della classe lavoratrice. Al contrario di quanto asserisce il cugino Domenico..mi sembra proprio che sia il Premier ..nella fattispecie.. a mancare di partecipazione e collaborazione!

Le analisi sul terreno della competizione affrontate da Domenico sono più che valide (l'esempio della Thyssen-Krupp che opera nel contesto globale..è noto), tuttavia le sue valutazioni sembrano sempre suggerite da un pragmatismo che non pare scorgere alcun interesse verso la situazione economica sociale di una gran parte della popolazione. Un modo di guardare la realtà solo da un lato e da una posizione di chiusura che non pare lasciare alternative e che occlude visioni diverse altrettanto realistiche.

Quello che oggi si intravede è una chiara mancanza di crescita e non può bastare un «Jobs act» che guarda alla regolamentazione del lavoro ..non affrontando nel merito le vere idee per lo sviluppo. Vi è poi una leggerezza nell'affrontare nel metodo una riforma (tra l'altro delegata in modo alquanto singolare ad un governo che potrebbe da un giorno all'altro cambiare..stravolgendone l'indirizzo) ..Come realmente saranno affrontate le tutele crescenti?..Come il metodo del dimansionamento?..Metodi che saranno affrontati prossimamente direttamente dal governo, avendo potuto ottenere una delega alquanto ambigua..

Sono anch'io tra quelli convinti che l'articolo 18 sia un falso problema, ma quello che veramente lascia perplessi .. anche per via di un contesto globale tendente a complicare la concorrenza..(eliminando sempre più posti di lavoro)..è proprio il fatto che il governo si sia impegnato in modo assai poco equilibrato verso una riforma riguardante gli aspetti di un regolamento... distraendosi dalla più importante ricerca di idee per portare nuovo lavoro.

La visione di tanti come Domenico Cacopardo (affermato alto magistrato del consiglio di Stato..ormai in pensione) non può che essere pragmatica e sistemica..non può che guardare ad una posizione che confidi in una resistenza del sistema con le logiche di un sindaco d'Italia che persegue un obiettivo ancora più pragmatico, determinato ed anche assoluto. Sono posizioni logiche conservatrici. In questa loro visione .. si dimenticano dei tanti che, perdendo il lavoro e non avendo alcuna certezza sullo sviluppo stesso del Paese.. ponendoli in uno stato di notevole insicurezza, dovrebbero quanto meno avere tutta la comprensione sulle incertezze del momento.

Bisognerebbe all'uopo riprendere le parole del Santo Padre che.. con suo discorso di stampo politico filosofico e di chiara matrice antropologica.. fatto a Bruxelles, pare aver impartito una vera "lectio magistralis" a tutto il parlamento europeo:

- “Persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l'utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi".
Parole, le sue, che legano l'essere umano ad una precisa dignità..poichè il lavoro lo unisce ad essa.

- "I grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni", Alle istituzioni, il Pontefice ha ricordato l'importanza dello "sviluppo culturale dell'umanità", ricordando di promuovere i diritti umani, a cui "si lega lo sviluppo della democrazia e dello stato di diritto".

I tecnicismi burocratici a cui fa riferimento Papa Francesco altro non sono che il frutto di una interpretazione fin troppo pragmatica che non lascia vedere oltre e che pone argine a qualunque esegesi più equilibrata.
vincenzo cacopardo












26 nov 2014

Una nota alla nuova analisi di Domenico Cacopardo



di domenico cacopardo
Fiumi di lacrime inondano i volti delle vedove di Lenin, i personaggi politici e dei media che, in tutti questi anni dalla caduta del Muro di Berlino in poi, hanno ritenuto d’essere gli interpreti di un mondo inesorabilmente crollato.

L’Italia continuava a essere un Paese anomalo, la più sovietica delle nazioni occidentali prima, la meno desovietizzata dopo. 

Un sistema in cui lo Stato era centrale nell’economia e nella società e nel quale la legge dello Stato serviva a delimitare gli spazi di libertà dei cittadini. Con un fisco che li metteva e li mette sotto controllo quotidiano, una specie di grande, squallido fratello che uccide ogni libertà di intrapresa. Con leggi urbanistiche che favorivano le cosiddette “operazioni”, vessando i cittadini comuni che, magari, dovevano allargare un tinello. Con normative e movimenti ecologisti che permettevano ai comuni di ricattare chiunque intendesse assumere una iniziativa importante di carattere produttivo o infrastrutturale. 

L’errore fondamentale che ha portato, oggi, al rifiuto della politica, l’ha commesso la classe dirigente del Pci, a partire da Berlinguer, e poi da Occhetto. Il rifiuto d’essere interpreti del socialismo democratico europeo e la volontà di percorrere la vecchia, fallimentare strada del compromesso storico (il passaporto per governare concesso dagli exdemocristiani) è all’origine di questi vent’anni di degrado. Berlusconi ha dato un buon contributo, contando sull’antinomia liberali-comunisti, ma esercitando una pratica di governo che si giovava di tutti gli strumenti posti in essere da uno Stato assistenziale e rapinatore.

Il tentativo di D’Alema (la “Cosa 2”) di rinnovare la pelle del Pds innestandola di socialismo fallì per la viscerale opposizione del corpo grosso comunista.

Non poteva che finire così com’è finita: con la vittoria della componente exdemocristiana e con l’emergere di un giovane che ha pensionato la vecchia nomenklatura, ma soprattutto miti, stili, legami e ricatti che tenevano insieme il vecchio patto sociale esistente tra l’exPci e parte del Paese.

Non è cambiato solo il modo di fare politica. Senza accorgercene, anche l’Italia è cambiata, sull’onda di una crisi così grave come nella storia s’era vista. 14 trimestri consecutivi di caduta del Pil non sono un numero, sono una tragedia. 

Del resto, se l’umanità è oggi intorno ai 6 miliardi, se il processo di sviluppo ne ha investito la maggior parte, se ovunque il lavoro è il valore morale e sociale di riferimento, dato che tutti vogliono guadagnare quanto necessario per mangiare, per vestire e per mandare i figli a studiare, senza se e senza ma, può un Paese seduto come l’Italia, in cui si parla prima di garanzie, mai di produttività, prima di privilegi, mai di doveri, rimanere ai vertici dell’economia mondiale?

Può un Paese che non ha ordine pubblico, devastato dal racket delle occupazioni abusive di case private, dopo quelle delle case popolari, investito dalle gang di zingari che infestano le piazze, che consente a chiunque di occupare strade e ferrovie interrompendo i traffici, che ospita Mafia, Ndrangheta e Camorra può un Paese così pretendere di continuare sulla stessa strada?

Può un Paese in cui gli studenti si oppongono ai rapporti stretti tra sistema economico e scuola avere una speranza?

Può un Paese in cui le università sono i parcheggi degli sfaticati prima che la palestra dei volenterosi avere un futuro?

Negli Stati Uniti, è impressionante il numero di studenti cinesi (della Cina comunista) che studiano nei college e di quelli che vi insegnano: sono come i pugili italiani di un tempo. Venivano dalla fame e menavano pugni per conquistarsi uno status.

Noi lo status l’avevamo ottenuto. L’abbiamo perduto.

Solo il rinnovamento senza ideologie, solo la libertà d’intrapresa possono restituircelo. Né Civati, né Cuperlo, né Camusso o Landini.

Dobbiamo, infatti, riconquistare il nostro Far West.


"La battaglia più difficile è proprio quella di superare queste concezioni..di abbattere queste barriere che limitano la possibilità di ampliare il pensiero verso il futuro e l' innovazione."

L'analisi di Domenico è profonda oltre che acuta..La sua visione negativa del futuro del Paese si lega ad un senso di rassegnazione dal quale sembra difficile venir fuori. Nella sua prima parte, il consigliere fa riferimento al tentativo fallito da parte di D'Alema di rinnovare la pelle del Pds innestandola di socialismo e di seguito con la vittoria della componente exdemocristiana di cui persino Renzi..oggi ne rappresenta la perpetuità, appare cambiato il modo di fare politica. Ma ormai è anche cambiato lo stato sociale della Nazione nella morsa di una crisi economica smisurata.

Se è vero che avevamo un nostro "status" e lo abbiamo perso ..è anche vero che non si è mai provveduto ad affrontare i temi della politica attraverso una sana ricerca. Hanno sbagliato tutti : i Partiti soprattutto..che non hanno saputo leggere in lungimiranza. I principi della stessa democrazia si sarebbero dovuti sostenere attraverso risorse politiche qualitative e culturali...Ed oggi..quando tutto sembra volersi risolvere attraverso la forza di una spinta fin troppo autoritaria, sembra non esserci più tempo.

Domenico parla di un futuro rinnovamento senza ideologie.. intendendolo come unica possibilità di riuscita del cambiamento.. ed in questo non potrei che essere d'accordo, poiché oggi le idee ed il metodo sono l'unico motore per la ricerca di un vero funzionamento, ma il principio più difficile da poter far comprendere a chi come tanti continuano a ragionare in termini obsoleti e superati...è proprio quello di far loro comprendere l'importanza di una immedesimazione diversa..di un approccio innovativo.. che solo attraverso una diversa "forma mentis" può sostenersi. La battaglia più difficile è proprio quella di superare queste concezioni..di abbattere queste barriere che limitano la possibilità di ampliare il pensiero verso il futuro e l' innovazione.

Al di là di Civati, Cuperlo, Camusso o Landini...continuo a pensare che la politica troppo determinata e semplificativa del governo Renzi.. non potrà mai offrire frutti positivi ed i risvolti di questo processo (più simile ad una restaurazione che ad un rinnovamento) potrebbero divenire ancora più catastrofici fornendo le adeguate risposte alle stesse domande che il cugino Domenico, nel suo articolo, si pone. 
Vincenzo cacopardo


25 nov 2014

Astensionismo diffuso e crisi dei valori istituzionali

di vincenzo cacopardo

Mentre nel PD si riflette sull’astensione e qualcuno gode per il risultato del 40 per cento, nella Lega si esulta per il secondo posto ottenuto. Intanto il M5 Stelle fa i conti con la perdita secca dei suoi voti e Forza Italia si guarda intorno meditando seriamente sull'enorme vuoto lasciato.
Sembra che abbiano perso tutti tranne Matteo Salvini che conta seriamente di far crescere il suo Partito in tutto il Paese. La questione non è di poco conto.. poiché oggi Salvini, al Sud, può far forza su quella enorme massa di voti dispersi da Forza Italia..rappresentando però una destra più decisa e non sicuramente moderata.

Fanno drammaticamente ridere le dichiarazioni fatte da alcuni leaders prima fra tutte quelle dello stesso Premier che accenna ad una vittoria netta del suo PD. Da un altro fronte.. Raffaele Fitto dichiara che il risultato drammatico di Forza Italia, deve ormai considerare il serio problema di dover azzerare tutte le nomine in seno al Partito, per offrire un vero rinnovamento. Ma al di là di ogni mancanza di idee ..la pretesa di Fitto risulta ridicola poiché lui stesso, rappresentando il vecchio, avrebbe il sacrosanto dovere di mettersi da parte: Sono anni che si sente parlare di rinnovamento in seno a questo Partito che in realtà continua a mantenere nei posti di comando le stesse figure, alcune davvero ambigue. Il risultato negativo.. era quindi scontato..anche per via del fatto che Berlusconi, occupandosi più del patto del Nazareno.. assieme al suo (vero favorito) Matteo, pare essersi stancato delle tante figure che gli girano attorno.

Il voto di questi giorni è il risultato ovvio di scelte sbagliate che vedono da un lato la mancanza totale dello studio e della ricerca del funzionamento della politica ( una strada che non premia alcun dialogo) e dall'altro... quella di una politica non allarmata dal costante astensionismo... per lo più interessata alla costruzione di percorsi distinti ed ingannevoli.

Le Regionali in Emilia Romagna e in Calabria.. segnano, però, un punto sul quale sarebbe opportuno riflettere attentamente per via del fortissimo astensionismo...che chiaramente agevola le elezioni dei presidenti regionali attraverso consensi bassissimi rispetto agli aventi diritto al voto. Il Pd dovrebbe riflettere più degli altri sul voto dell'Emilia..regione che è sempre stata storicamente un feudo assoluto della sinistra. Un astensione attesa.. viste le incomprensioni sempre più evidenti tra i cittadini e la politica odierna: Se da un lato abbiamo una figura determinata e supponente che pare aver preso in mano le sorti della politica dell'intero Paese con l'ambizione tipica del superman...dall'altro lato non si intravede alcuna buona proposta di rinnovamento studiata attraverso una attenta ricerca che possa vedere al di là di ogni regola e parametro tale da poter offrire maggiore innovazione e funzionalità alle istituzioni.
La “forma mentis” rimane ancora fissata su alcuni punti che non potranno mai offrire innovazione..e l'unica strada che si affronta è quella che vede solo scelte semplificative! E' inutile..quindi.. fingere parlando di risultato netto! Un boccone amaro per tutti, ma soprattutto per l'avvenire incerto di una politica che tarda ad innovarsi.

Sarebbe il caso di mettere in discussione la formazione dei Partiti ed i perenni conflitti esistenti in seno alle figure odierne..in modo da offrire una nuova visione della politica più vicina alle esigenze della società, accantonando principi ideologici di destra-sinistra in favore delle esigenze e del metodo. Il dato dell’astensione è troppo alto da mettere in seria discussione lo stesso valore delle istituzioni.


23 nov 2014

Una nota al recente articolo di Domenico Cacopardo



IL CINICO USO DELLA CRISI
Il cinico uso della crisi, nel quale si sono specializzati Susanna Camusso e Maurizio Landini, con l’aggiunta in extremis di Carmelo Barbagallo dell’Uil, finirà per ritorcersi contro di loro e contro coloro che, illusi, li stanno seguendo.

La guerra al governo, di cui sono i promotori non potrà avere successo, né strappare concessioni secondarie che susciterebbe dure reazioni dell’area marciante degli iscritti (non tutti, visto che la maggioranza sono pensionati). Si concluderà malinconicamente come si sono conclusi gli scontri più duri degli ultimi trent’anni, salvo quelli in cui il governo, calandosi i pantaloni, ha concesso, con la concertazione quello che i sindacati volevano. In questi casi, il prezzo l’hanno pagato il Paese e lo Stato e gli effetti di queste vittorie di Pirro si possono scorgere nell’immenso debito pubblico e nella totale inefficienza delle amministrazioni. 

La concertazione, tanto amata oltre che dal sindacato da Ciampi e da Prodi non può più essere messa in campo, vista la necessità di scelte nette e definitive.

Comunque, le lotte attuali susciteranno un spostamento a destra. Ma la maturazione del Paese non offre spiragli a un sindacato d’assalto. 

E bene fa il premier Renzi a presidiare con decisione il centro dello schieramento, per impedire i tragici scivolamenti del passato. E fa bene a rifiutare i tentativi di aprire tavoli di negoziato. E bene farebbe, il presidente di Confindustria Squinzi a sostenerlo. Purtroppo, l’elefantiaco apparato di viale dell’Astronomia vive e si alimenta del rapporto (nazionale) con la Cgil e tende a ostacolare il trasferimento delle contrattazioni ai livelli aziendali. Gli stessi Montezemolo e Marcegaglia si adoperarono perché il rapporto Cgil-Confindustria fosse il luogo della gestione del contrasto imprenditori-sindacati. 

L’esistenza di un forte sindacato nazionale centralizzato, giustificava la presenza (parassitaria) di qualche migliaio di impiegati confindustriali con relativi, lobbistici consulenti (che tanti danni alla legislazione hanno prodotto) e il ruolo dei presidenti.

Ormai, però, con la perdita di peso e di potere della Cgil, anche Squinzi, senza l’unica azienda privata italiana di livello globale, l’exFiat, si trova ad affrontare un netto calo di influenza personale e della sua organizzazione.

Nella nuova politica, quindi, queste associazioni intermedie, che, in sostanza, speculano sul conflitto e sulla sua soluzione, giustificando così la propria esistenza, non hanno più significato e sono destinate a completare nel giro di pochi anni l’irreversibile declino accelerato dalla recessione.

Bene ha fatto Renzi ad affrontare i nodi della crisi rifiutando qualsiasi discussione sul merito delle leggi che ha proposto e che intende proporre. La riunione di qualche settimana fa, nella quale nessun ministro dette una risposta ai sindacati, è il suggello della nuova situazione e dell’ininfluenza del sindacato sui problemi di interesse nazionale.

L’Uil di Giorgio Benvenuto, sindacato dei cittadini, sarebbe stata, oggi, in prima fila nella gestione concordata del riformismo. L’Uil di Carmelo Barbagallo sarà strumento delle piccole faide interne al Pd, anch’esse in esaurimento e si pentirà dell’abbraccio che uccide scambiato con la Cgil.

E fa tenerezza il presidente della Commissione bilancio della Camera, Francesco Boccia per il velleitario tentativo di costituirsi argine alle iniziative del governo. La macchina in cui si trova deve andare avanti e condurre in porto il lavoro legislativo che, con tante pecche, è stato iniziato.

Giacché se Camusso e compagnia cantante, Boccia e minoranza del Pd avessero un qualche successo, il disastro che occhieggia spesso nei listini dei titoli italiani si manifesterebbe con tutta la sua latente virulenza portandoci in un batter d’occhio alla troika di commissari europei ben più decisi e ben più severi dei nostri attuali ministri.
domenico cacopardo



I gufi sembrano essersi trasformati in avvoltoi?
La sensazione pare essere quella di non poter mettere in dubbio l'operato del Premier.. senza essere considerato un insopportabile volatile...Insomma, al di là del giudizio ( in parte anche condivisibile) sui sindacati..la difesa di Domenico sull'operato del sindaco d'Italia resta difficile da comprendere se messa in relazione alle tante scelte poco democratiche e per niente funzionali da lui operate.

Non è del tutto appropriato guardare solo da un lato senza comprendere a fondo le ciscostanze storiche che hanno generato la natura dei sindacati: Se è vero che certe associazioni, oggi, speculano sulle soluzioni, è anche impossibile pensare di poterle cancellare di colpo. Ma quello che veramente riesce poco comprensibile è il fatto di dover accettare ad ogni costo la politica determinata del giovane Premier per il solo fatto che semplificando la qualunque, si possa uscire da un tunnel...Ma anche qualora si uscisse..con quali risultati? Con il sacrificio di chi? Quando si vuole eliminare il vecchio..bisogna prima avere la chiarezza che il nuovo funzioni.

Invero ciò che conta in un momento come questo, dovrebbe essere la ricerca di idee più appropriate per far funzionare e per non dividere..Si intuisce invece che Matteo Renzi prendendo il volo dal trampolino della sinistra..si batte a favore di ideologie tipiche della destra favorendone un ritorno in tono pacato simile a quello di una vecchia DC. In questo suo cammino ambizioso e parecchio avventato ..lui separa anziché unire ...divide invece di aggragare...Gioca con la democrazia ponendo continue fiducie e sfidando chi non la pensa come lui. 

Quando Domenico scrive: “ha fatto bene Renzi ad affrontare i nodi della crisi rifiutando qualsiasi discussione sul merito delle leggi che intende proporre.” non fa altro che affermare che l'unico metodo oggi possibile è quello delle regole forti simili a quelle di un regime..regole da far digerire a tutti i costi... e questo, al di là di ogni sfida da parte dei sindacati, risulta poco convincente per il comune cittadino e per ogni principio democratico.

Renzi oggi trova in tutto ciò terreno facile..perchè... tra i dissesti dell'economia e quelli di un mancato rinnovamento istituzionale, ancor più enfatizzati dalla cattiva gestione politica portata dalle figure del recente passato e dall'ectoplasma in cui è ridotto il PD, il suo percorso risulta assai facilitato, ma nessuno oggi è in grado di poter affermare quale sarà il vero fine che si raggiungerà..nessuno il destino di un Paese che sembra percorrere il cambiamento affidando le sorti nelle parole di un vero monarca. Non credo dunque si tratti di cinismo..quanto di una paura che di sicuro tocca i tanti che vedono in un certo determinismo..il destino poco chiaro per l'intero Paese. 
vincenzo cacopard

20 nov 2014

CSM.. Politica e potere..

Costanti anomalie
di vincenzo cacopardo
Qualcuno ha reagito male alle proposte avanzate da alcuni ministri..di intervenire con maggior forza sulla responsabilità dei giudici...La censura da parte dell'Organo è stata sempre netta anche in un momento storico, come quello odierno, in cui lo stesso operato del Consiglio Superiore è continamente messo in discussione.

Il tema della responsabilità dei giudici è rimasto da tempo fermo al palo ..non avendo avuto mai un percorso deciso. La magistratura, attraverso il CSM rappresenta un organo di autogoverno..una prerogativa non di poco conto. La sua posizione di indipendenza.. potrebbe però essere messa in dubbio..giacchè la regolarità della sua composizione, compromessa da una lottizzazione partitica, pone con urgenza non solo il problema della riforma della responsabilità civile, ma della stessa validità dell' Organo.

Nel passato..i padri costituenti italiani, abituati a vedere i giudici sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera, progressione, incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che il miglior modo per assicurare la indipendenza della magistratura, fosse quello di togliere questo governo al Potere esecutivo per affidarlo agli stessi giudici. A tal fine crearono il Consiglio Superiore della Magistratura. Un Organo composto in maggioranza da membri giudici eletti dagli stessi, con una minoranza di membri politici. Non considerarono, però, la particolare struttura del Potere giudiziario, né ebbero presente che questa struttura sarebbe stata essenziale per il vero bene che si voleva difendere, che è e sarà sempre l’indipendenza del giudizio.

L’equivoco sembra proprio essere quello che, il giudice, a causa della delicatezza del suo compito e per poterlo svolgere in modo realmente indipendente, ciò che rifiuta è proprio un governo senz’altro, tanto che sia in mano all’esecutivo o in mano a qualsiasi altro organo. Pertanto forse la strada da seguire sarebbe dovuta essere, non quella di togliere il governo della Magistratura al Potere esecutivo, ma quella di ridurre al minimo la necessità di governo dei giudici... facendo il possibile per regolare a mezzo della legge la loro carriera.

Potremmo affermare che nelle mani del Potere esecutivo si mette una forza materiale, mentre al giudice si pone soltanto forza ed autorità morale. La forza di chi sa quanto sia essenziale la sua funzione in democrazia. Quanto più profondo è detto convincimento generale, tanto maggiore sarà la forza morale del giudice in quanto egli non ha una forza propria, ma una forza che gli viene attribuita. Proprio per tali motivi il giudice non potrà mai illudersi di potersi confrontare con gli altri poteri dello Stato o di potere risolvere da solo il problema della sua indipendenza, poiché detta indipendenza rappresenta un bene prezioso per il cittadino, più che per il giudice stesso.

Detto questo... è poco immaginabile poter risolvere questa problematica sul piano di una certa deontologia politico democratica.. senza prima analizzare a fondo i motivi che ne provocano l'ostacolo: Una logica motivazione che la magistratura replica (in modo quasi naturale) alla classe politica che contesta in modo significativo i conflitti e gli interessi che potrebbero sorgere in seno ad un ordine giudiziario “politicizzato” dal CSM.

Rimane costantemente indecisa la posizione assai compromessa del politico, il quale non risovendo il proprio conflitto.. non potrà mai essere in grado di porre limitazioni ad un Organo indipendente voluto dalla Carta Costituzionale, se non accentuando principi assoluti che si discostano dai veri valori di una democrazia: Se deve essere chiara e definita l'indipendenza del giudizio..dovrebbe essere chiaro anche il posizionamento del politico che opera per fare le leggi. Se il valore che si vuole proteggere è quello dell'indipendenza ..anche il politico non potrà mai rendersi indipendente e libero.. se costretto ad operare contemporaneamente per costruire le normative e metterle in atto condizionato da un potere governativo. Non è difficile immaginare che un altro politico, in ruolo esecutivo, potrebbe esercitare un particolare potere agendo in modo dubbio sull’obbiettivo pensiero del singolo parlamentare, nella identica maniera con cui il magistrato requirente potrebbe influenzare il pensiero del giudice.

Tale motivo è di per se sufficiente ad individuare una ulteriore anomalia anche rispetto ad una Costituzione che, da un lato vorrebbe identificare due poteri con ruoli ben diversi (esecutivo e parlamentare) e dal l'altro, non pone sufficienti e chiare limitazioni a questa separazione di compiti, destinando, in modo troppo sintetico, la guida e l’indirizzo della politica dello Stato all’esecutivo.
nemo potest duobus dominis servire” ..dove “dominis” è oggi  inteso come “potere”


19 nov 2014

Matteo Salvini e la nuova strategia

LA NUOVA DESTRA CHE AVANZA...di vincenzo cacopardo
Ha capito bene l'attento Salvini!..Ha capito che il Paese vuole principalmente una sicurezza..desidera che l'immigrazione sia contenuta e che prima l'Italia pensi a se stessa..Un passo indispensabile senza il quale ogni aiuto verso il prossimo ed ogni possibile integrazione non potrà mai avvenire. Adesso un nuovo Matteo, oggi a capo della Lega, sta per esporre un altro simbolo che presenterà presumibilmente dopo il suo sperato trionfo alle regionali in Emilia Romagna e per i quali presuppone un risultato sicuro da terzo partito d'Italia.
La strategia di Salvini sembra quella di rompere con la vecchia demagogica posizione della Lega che lo relegava ad una visibilità limitata concentrata al Nord... per diffondersi in tutto il territorio del Paese. La sua nuova “carta dei valori” aperta a tutti quei partiti che vorranno farne parte, è una mossa inaspettata che dovrebbe apparire come la prova evidente di un'apertura a tutto tondo nello scenario territoriale del nostro Paese. Il disegno astuto dell'altro Matteo che avanza.. non potrà che rendergli ulteriori consensi, sia in mancanza di una destra che pare perdere giorno per giorno ogni consistenza politica, sia per il fatto stesso di una simile apertura, non potrà che staccarlo radicalmente da una visione nordista ristretta fin troppo ostentata della vecchia Lega nord.
La sua “carta dei valori” che lui definisce un “contenitore”... si descrive col titolo “noi con Salvini” esprimendosi in un concetto sicuramente anti Renziano. Naturalmente l'azione promossa non appare facile poiché la mentalità del Meridione non è quella del Nord. Una cosa sembra comunque chiara: il nome di Matteo Salvini sembra richiamare molto di più di quello stesso della Lega da lui fin oggi rappresentata.
Per l'astuto leader pare esservi un problema di metodo secondo il quale sarebbe inutile continuare una battaglia per l'indipendenza del Nord se prima non si risolvono i problemi nel meridione che contrastano la crescita dell'intero Paese..e su questo non si può che restare solidali con l'intuito politico di Salvini. Ma i problemi da risolvere sono anche più diffusi e riguardano soprattutto quelli dell'immigrazione per i quali il giovane esponente della Lega combatte una lotta...per lui primaria e difficile..che lo ha messo in luce negli ultimi tempi, ma che..nel contempo.. lo responsabilizza nell'impresa per le stesse soluzioni.
In sostanza Matteo Salvini, con estrema audacia, scavalca il vecchio partito della Lega Nord, resta segretario federale, smantella via Bellerio, chiude il giornale la Padania, per un progetto differente che pare richiamarsi al Front National francese...e sembra fare ciò, seppur accompagnato dai molti consensi e da un particolare coraggio, con l'animo di chi si prepara ad affrontare un nuovo percorso irto di ostacoli e serie difficoltà...I risultati e le eventuali conseguenze li vedremo nel prossimo futuro!

18 nov 2014

Fra nomine e disagi..una partita da giocare



Scrive il cugino Domenico Cacopardo su "Italia oggi"

“Dopo la fine dell’estate, emerge con chiarezza che Berlusconi si è stancato –un po’ di suo e un po’ per l’anarchia di quello che una volta fu il suo partito- di Renzi e delle sue furbizie. L’ex-cavaliere sembra disimpegnarsi dal Patto del Nazareno, sperando in un recupero di autorevolezza nella destra, nella quale crescono Lega, Movimento 5Stelle e Fratelli d’Italia. Pensa così di isolare Renzi, lasciandolo in mezzo al guado, con una minoranza agguerrita scesa in campo, con la Cgil sempre più scatenata, con mille vertenze in corso, il «jobs act» alla Camera, la legge di stabilità all’esame delle commissioni, la legge elettorale al Senato.

E, in effetti, Renzi, cala leggermente nel gradimento del Paese, e si trova a dovere fare i conti con una situazione politica in costante peggioramento, sia per le minacce di Bruxelles e della Commissione presieduta da quell’equivoco personaggio che è Junker, sia per i continui tira e molla interni. Celebra la Leopolda, ma nonostante un discorso appassionato (sta crescendo Renzi nelle pubbliche apparizioni), si scaldano solo gli animi dei suoi supporters.

Di fondo, Repubblica comincia ad assumere il volto di un suo avversario, soprattutto per la penna di Eugenio Scalfari e del suo direttore Ezio Mauro. Dell’indipendenza dei due non si discute, ma è lecito ritenere che il proprietario del giornale, Carlo De Benedetti, non sia contrario.

D’improvviso, Stefano Folli lascia Ilsole24ore e passa a Repubblica. Dopo due o tre giorni, ecco lo scoop: Napolitano a fine anno si dimetterà dalla presidenza della Repubblica. È, se non sbagliamo, venerdì 7. Domenica 9, Scalfari, nel solito editoriale definisce Napolitano il miglior presidente della storia repubblicana e rampogna il «premier» per l’inconcludenza del suo governo.

Poco dopo, martedì 11, sempre Repubblica annuncia che la cancelliera Merkel e Obama stanno lavorando perché Mario Draghi sia il successore di Napolitano. A conferma, se ce ne fosse bisogno, di una concezione limitativa della nostra sovranità nazionale non per legali cessioni di poteri a organi sovranazionali, ma per pressioni illecite, sottolineo illecite, di capi di governo, teoricamente nostri alleati.

L’operazione è delineata. E Napolitano non ne è estraneo, vista la frequentazione, anche telefonica con Mario Draghi. 

L’attuale presidente della Bce, di cui si narra, anche in autorevoli pubblicazioni, un legame particolare con la finanza Usa (è stato vicepresidente di Goldman Sachs, ch’era stata il suo advisor quando da direttore generale del Tesoro procedette alle privatizzazioni) non è amico di Renzi. E la sua elezione al Quirinale, se mai avvenisse, sarebbe all’insegna di un “protettorato” steso su Palazzo Chigi, a tutela di interessi non chiari e non facilmente definibili. Insomma, quale parte avrebbero le esigenze internazionali e quali nostri problemi reali.

Probabilmente, qualcuno ha spiegato a Berlusconi che l’operazione da lui immaginata per indebolire Renzi stava fallendo, conducendolo a un isolamento finale e definitivo.

Un ragionamento del genere deve averlo fatto anche Renzi cui non bastano i voti del suo partito, depurati del numero di nemici e oppositori, e della congerie di particelle elementari che lo appoggiano.

Ecco quindi l’incontro di mercoledì 12 che sembra avere posto riparo alle più importanti fratture del Patto del Nazareno e, forse, avere riaperto la strada a una rapida approvazione della legge elettorale riformata come si sa.

Non è detto che, nella sostanza, si andata tutto così. Ma questi sono gli indizi e li abbiamo messi insieme.

La partita è tutta da giocare.

E si gioca in corridoi e anfratti esterni al Parlamento e alle altre sedi istituzionali. A questo fine, chi avesse voglia di leggere le imponenti memorie di Tonino Maccanico, capirebbe di più delle mene che si svolgevano in passato e, presumibilmente, si svolgono ora intorno ai presidenti della Repubblica e ai governi italiani. E a quel tempo c’erano i partiti e un Parlamento di eletti.

Come è accaduto a Bruxelles con il valoroso giornalista italiano Lorenzo Consoli, alla cui domanda il ducetto Grillo non ha risposto, nessuno apre bocca. Anzi, lo sport preferito è osservare i giocatori per cogliere i segni del cedimento.
domenico cacopardo


C'E' UN'ALTRA DESTRA CHE AVANZA.....
L'idea che la Merkel possa imporre una presidenza della Repubblica nel nostro Paese.. è sicuramente da avversare e se la nostra Nazione dovesse subire anche simili disposizioni da parte del Paese economicamente più forte dell'Europa..si renderebbe ancora più ridicola..Suppongo, quindi, che sia da scartare.. anche perchè la nomina dovrà essere suffragata dal voto di un parlamento oggi per niente convinto dell'influenza della stessa Germania sulla comunità Europea. 

Non è comunque da escludere del tutto questa ipotesi in un quadro di strategie politiche imposte attraverso il cinico pragmatismo di una Comunità predominante nello scacchiere internazionale dove è sempre l'economia a dare gli ordini.

Nel passato abbiamo già avuto un inquilino del Quirinale tecnico..ma con i cambiamenti profondi avvenuti in questi ultimi anni (provocati sicuramente da una politica fallimentare di un bipolarismo anticostruttivo e dai personaggi improvvisati venuti fuori) si è fornito alla presidenza della Repubblica un potere forse al di sopra dei normali compiti contenuti nell'ambito costituzionale. Una delle tante anomalie non certamente volute dall'attuale inquilino, ma che hanno contribuito a metterlo in cattiva luce.

Nel gioco delle parti del teatrino della politica del nostro Paese, tra un Berlusconi semi perdente ed un Renzi forse un po' meno vincente di quanto si possa immaginare, ne ricavano i frutti quei partiti che si battono oggi contro l'immigrazione sfrenata non più controllabile. 

C'è un'altra destra che avanza e che sta catturando i consensi che appartenevano al partito del Cavaliere. Salvini e la Meloni sono sempre più visibili nel talk televisivi ed il loro dialogo è spesso equilibrato e convincente .. questa è la ragione per la quale il loro consenso cresce, ma come Grillo, rimangono sempre appesi alle soluzioni: anche loro messi alla prova non credo siano in grado di risolvere con convinzione tali problematiche, se non con quella determinazione.. tanto estremista.. quanto dura e repressiva.

L'avvenire della politica sembra spingerci verso la rigidità di un regime ed il peso del capitalismo..pare obbligare il Paese.. in una posizione che guarda più a destra. Quando invece oggi le posizioni non dovrebbero guardare né a destra..nè a sinistra, ma interessarsi di più e seriamente alla gestione del metodo per condurre la società a rendersi più equa e la politica più funzionale. 
In tutto ciò il patto del Nazareno, sebbene evidenzi un degradamento della democrazia, appare come un atto di una commedia delle meno importanti.
vincenzo cacopardo

la posta di Paolo Speciale

il popolare difficile
Un centro destra in caduta libera tenuto in vita artificialmente dalla interlocuzione sulla nuova legge elettorale, un centro sinistra dalle innumerevoli anime tutte in gran pena, una maggioranza di governo anomala per una disomogenea struttura ideologica e tuttavia durevolmente legittimata di diritto –come deve essere – dal parlamento, e di fatto da un capo dello stato nel ruolo di missionario intento a portare avanti un'impresa nel tentativo di lasciare un -improbabile- indelebile ricordo di un ruolo che possa essere considerato “prezioso” nel suo complesso.
Poi l'epilogo – prevedibile, dannoso ed evitabile – di una storia di azione sindacale che oggi mostra il suo aspetto peggiore, quello esasperato della sua impropria rappresentazione attraverso individui che nascondono il volto mentre lanciano bottiglie incendiarie, generando reazioni che fungono da efficace strumento politico per l'attacco, in termini di ossessiva personalizzazione e di facile e populistica condanna, al capo del Viminale di turno.
Certo, fa specie vedere all'opera un governo a guida PD attaccato da una non indifferente, numerosa piazza. Ma fino a quanto la protesta della “agorà” è veramente diretta verso l'esecutivo – nel classico gioco delle parti – e fino a quanto è invece effetto contingente di una crisi economica senza precedenti che oggi vede l'Italia con il PIL più basso persino di quello della Grecia?
Invocando una propria e non unanime prioritaria ragion di stato Renzi, forte di una ritrovata consistenza del nostro paese nel consesso europeo, si intesta l'audace e diplomatico – ma inefficace – rispetto delle ragioni “popolari”,associandolo nel contempo al suo stesso sostanziale disdegno che, in nome di un presunto ed inesorabile mutamento epocale del rapporto tra politica e cittadini, delude ogni espressione cosiddetta radicale ed identificabile con la rappresentanza di un anacronistico“proletariato”.
Ma se il nuovo preponderante corso della sinistra italiana si identifica sempre di più con la componente cosiddetta “moderata” dello scenario politico del nostro Paese, occorre prima di tutto, con onestà intellettuale,negarne la originalità, in considerazione dei già numerosi teorizzatori-precursori già attivi dagli anni sessanta, quando si concretizzò definitivamente l'identità della componente“socialista” ed il successivo sviluppo di una naturale compatibilità con l'anima popolare più centrista, culminata nell'area temporale dell'asse Craxi-De Mita.
E neanche socialista, ma “popolare”sembra che, non senza difficoltà, sia la strategia di matrice renziana, nella disperata ricerca di un popolarismo centrista che confina ogni ideologia di stampo “metalmeccanico” ai margini, ma che non può evolversi in un trionfo scontato perché, economicamente argomentando, oggi viviamo tutt'altro che gli anni sessanta.
Paolo Speciale