Si
discetta del nuovo governo e si spiega che il catalizzatore della maggioranza
(d’emergenza, provvisoria, istituzionale) sarebbe un programma in pochi punti
vitali: nuova legge elettorale, conflitto di interessi, taglio dei costi della politica, compreso il dimezzamento del
numero dei parlamentari. Quest’ultima riforma è in palese contraddizione con
l’idea di un’operazione governativa di breve respiro, visto che per realizzarla
occorre una legge costituzionale con doppia lettura: insomma due anni di tempo.
Quanto al
resto, non si può non concordare: la nuova legge elettorale (in quale
direzione, però? Doppio turno alla francese? Maggioritario con voti di
preferenza?), il conflitto di interessi, il taglio dei costi della politica,
sono in fondo elementi banali di un’antica rimasticatura, la cui via
d’uscita appare ancora lunga, visto che, a parte la dichiarazione dei
titoli delle riforme, non c’è consenso su nessuno dei passi successivi. Del
resto, se tali questioni non comportassero seri problemi giuridici e politici,
non avremmo atteso sino a ora per non vederle risolte. Là dove la schizofrenia
emerge in tutta la sua virulenza è nella evidente cancellazione dall’agenda politica
nazionale del tema Europa-emergenza economico-finanziaria.
Siamo
ancora in mezzo a un guado. Non sappiamo se e quando chiedere l’intervento del
Fondo salvastati, né se ci sarà una nuova manovra di bilancio. Non sappiamo in
che direzione orientare la nuova legge finanziaria, quella del rilancio dell’economia. Non sappiamo se aziende
come Ilva, Eni e Finmeccanica (queste ultime accusate di corruzione
internazionale) avranno un futuro di mercato e quali conseguenze ci saranno per
le loro migliaia di lavoratori.
Conosciamo
solo le ricette elettorali: a parte quelle delle liste Monti (le uniche con una
seria consapevolezza europea), tutti gli altri si sono esibiti in proposizioni
demagogiche senza alcuna possibilità reale di attuazione.
Non
parliamo di Berlusconi e della sua restituzione dell’Imu. Parliamo di Bersani e
del programma del Pd, fondato su una rinegoziazione europea che, allo stato,
non ha alcuna possibilità di farsi strada. Parliamo di Grillo che, a parte le giuste rivendicazioni di
pulizia morale, propone autentiche follie, dal disconoscimento del debito
pubblico alle controriforme delle pensioni e del mercato del lavoro, entrambe
in senso regressivo.
La natura
fondamentale del quadro economico-finanziario e della compatibilità europea
sfugge alle dichiarazioni del politici e dei commentatori, per non parlare
degli showman televisivi, il cui obiettivo è mettere in luce il nostro ombelico piuttosto che i vincoli
internazionali e quelli di mercato.
In fondo,
questo disinteresse, in modo inconsapevole, conduce sulla strada che a Berlino,
a Francoforte e a Bruxelles è in corso di definizione. E questa non è
un’opinione, ma un’informazione. Parliamo dell’Europa a due velocità, quella dei virtuosi paesi del Nord, Francia
compresa (alla fine Hollande non solleverà un dito per Bersani e la sua
compagnia di giro) e quella dei viziosi paesi del Sud, Italia, Spagna,
Portogallo e Grecia abbandonati al proprio destino di paesi di serie B, accompagnati nello
sprofondare della crisi e del declino irreversibile da acconce parole di
circostanza, su un futuro rientro a impossibile risanamento avvenuto.
La
conseguenza la percepiremo sulla nostra pelle col peggioramento di tutte le
condizioni sociali (il lavoro mancherà sempre di più) attualmente in bilico o
disperate.
Forse
impareremo a nostre spese che è meglio votare con la testa che con la pancia.
domenico Cacopardo