L'articolo
di Domenico chiarisce in modo opportuno la posizione di Putin nello
scacchiere geopolitico medio- orientale.. mettendo in evidenza
l'opera dell’élite
burocratica
sovranazionale e l'establishment
politico
”occidentale” da Washington a Bruxelles... compresa quella
macchina da guerra della propaganda che, in modo alquanto sfacciato, continua ad esclamare l'inganno ed il tradimento di una Russia che si è sempre preparata ad attaccare..e per la quale
una guerra fredda non è mai terminata.
Infiniti
espedienti che definiscono il modo in cui l’élite
di
governo degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei.. si sono
comportati nei confronti della Russia dopo la fine della guerra
fredda, promettendo alla Russia che, sciolto il Patto di Varsavia, la
NATO non si sarebbe espansa verso Est. Così, mentre il Patto di
Varsavia andava sciogliendosi, la NATO, al contrario di quanto
promesso, ha continuato ad espandersi verso Est, assorbendo i Paesi
che dapprima avevano fatto parte del Patto di Varsavia. Una egemonia
evidente da parte degli Stati Uniti che si sono avvicinati verso i
confini della Russia.
Dagli
anni novanta, i russi si sono energicamente opposti all’espansione
della NATO; inoltre, negli ultimi anni, hanno messo in chiaro che non
sarebbero rimasti a guardare quello che per loro è un Paese
confinante strategicamente importante come l’”Ucraina”
divenire un baluardo statunitense contro di loro.
Dopo
i fatti dell'Ucraina che hanno messo in chiaro l’illegittimo
rovesciamento del Presidente democraticamente eletto, Putin ha
risposto accettando la volontà collettiva del popolo di Crimea, che
...con un enorme plebiscito.. ha deciso per il ritorno sotto la
Russia. In tal modo..evitando che gli USA organizzassero una base
navale NATO sulla penisola. Il
presidente Putin ha sempre dimostrato di non cedere alla pressione
imperialista degli Stati Uniti suggerita da Obama, solo proteggendo i
propri confini, malgrado la politica statunitense abbia continuato a
denunciare come illegittime le sue mosse. Una visione particolare e
distorta che sembra aver avuto Washington verso la Russia. Una
visione errata della politica internazionale.....che Obama e gli
stessi alleati europei non hanno saputo mai affrontare col giusto
equilibrio.
L’atteggiamento
occidentale appare come l’antologia dell’ipocrisia.
contrariamente ad una certa stancante retorica ufficiale.Pertanto,
sorprende e rimane altamente falso che Washington non riconosca che
l’”Ucraina” ha, da tempo, una importanza economica e strategica
per Mosca e che nessun governo russo poteva accettare il tentativo di
sottrarla per portarla, con determinati espedienti, nell’orbita
geopolitica dell’Occidente.
Vincenzo
cacopardo
L’assemblea
generale dell’Onu ha certificato l’inconsistenza politica di
Barak Obama e il ruolo centrale di Vladimir Putin sulla critica scena
medio-orientale e, in definitiva, mondiale.
Già, lo
zar ha reagito alle sanzioni americane ed europee per la questione
ucraina, definendo un trattato di cooperazione politica, economica e
militare, il più grande accordo mai stipulato nella storia per
dimensioni finanziarie e industriali, con la Repubblica popolare
cinese. S’è costituito così un forte asse Mosca-Pechino che rende
eccentrica e periferica Washington e, con lei, Berlino.
A
dimostrazione della sostanza del patto, a dar man forte ai russi, è
giunta nelle acque siriane una forza navale cinese, forte di una
portaerei, di una squadra aerea e di 1000 marines.
Se, come
sembra in questo momento, il Medio-Oriente è il cuore della crisi,
sia per la presenza dell’Isis che per le forze in campo, è chiaro
che gli Stati Uniti e l’Europa non sono nel cuore del gioco, ma ai
margini.
La medesima
spedizione di una squadriglia di Rafal (gli strikers
di produzione Dassault), enfatizzata da Hollande (un altro gnomo
politico), appare più un mostrare
la bandiera (come si usava
fare nel Seicento e nel Settecento, inviando navi in prossimità di
aree strategiche con l’ordine, appunto, di mostrare
la bandiera, nel senso di
badate, esistiamo anche noi)
che un’operazione significativa.
E il senso
vero della presenza russa (e di qualunque altro Paese che vuole
essere protagonista nella crisi e per la sua soluzione) sono i suoi
boots on the ground (stivali
sul terreno), che significano una presenza reale e concreta nell’area
dei combattimenti.
Lasciamo
perdere che la Duma (il
Parlamento di Mosca), mercoledì 30, nell’autorizzare le operazioni
aeree in territorio siriano (richiesta dal presidente Assad), non ha
autorizzato operazioni terrestri: infatti, la Russia (ora anche con
l’aiuto cinese) ha creato almeno tre campi trincerati, forti di
migliaia di uomini e mezzi corazzati, un presidio insuperabile per i
terroristi dell’Isis e affini, un supporto decisivo per le stanche
e demoralizzate forze governative siriane.
Ci sono tre
ragioni che presiedono alla politica di Putin. La prima è
strettamente domestica: in Russia e nazioni limitrofe, vive una
imponente comunità islamica (10/15%), molto sensibile alle sirene
terroristiche e capace di mettere a ferro e fuoco vaste aree
dell’impero, come s’è visto in Cecenia. Quindi, battersi in
Siria (e in Iraq) per distruggere i combattenti dell’Isis,
significa battere quei cittadini russi che sono accorsi in quelle
aree per infoltire le schiere degli islamisti e contribuire al loro
successo, con ferocia e determinazione. Distruggerli ha effetti
positivi nella madre patria.
La seconda
ragione è diventare protagonisti imprescindibili della crisi e dei
futuri assetti, quelli che saranno costruiti a un tavolo di pace,
quando ci sarà. In questo momento, con Assad, si battono russi (con
i cinesi), iraniani, hezbollah e varie forze sciite e non c’è
dubbio che Putin abbia una primazia sul terreno e la consolidi giorno
dopo giorno.
La terza
ragione è quella di mostrare al mondo l’ininfluenza di Obama e la
sua sostanziale inesistenza in questo scacchiere e negli altri più
vicini, Iraq, Yemen e Libia. E sulla base di questa constatazione
spingere i regimi traballanti della sponda Sud del Mediterraneo ad
aprire le porte alla flotta russa e all’influenza di quel Paese.
Barak Obama
ha perso la partita. E non solo per un inefficace abbandono dell’Iraq
(nel senso che la sistemazione politica è risultata fallimentare),
ma anche per tutte le altre mosse compiute durante la sua presidenza
che ha tentato di lasciare sul terreno l’Egitto (con il tentativo
in insediarvi un regime democratico) ed è riuscita a eleminare la
Libia come soggetto statuale, regalandola al regno del terrore e dei
piccoli ras tribali.
Per di più,
Obama ha concluso un deficitario accordo con l’Iran che lucrerà da
subito la cessazione dell’embargo
(che pare valga oltre quaranta
miliardi di dollari) in cambio della promessa di non attivare l’arma
nucleare per dieci anni che, in soldoni, significa la promessa che
tra 10 anni l’Iran avrà la sua arma nucleare. Non s’è definita
una piattaforma d’intesa proprio per la Siria: e quanto sarebbe
stato il momento di inserire il dossier
tra i topic
del negoziato. E, paradosso
inaccettabile, ha scatenato la rivolta antiAssad, puntando su scarsi
e concorrenti gruppi di rivoltosi che hanno fatto da buttafuori
ai solidi terroristi
islamisti, cui hanno passato anche le armi date loro dagli americani.
E la
dichiarazione di Obama no boots
on the ground ha sortito
l’effetto di incentivare l’allargamento e il consolidamento delle
forze dell’Isis, mai come in questi anni indisturbate, anche perché
c’è stata la certezza di poter operare tranquillamente sul
terreno, salvo la resistenza eroica dei curdi, peraltro abbandonati
dal medesimo Obama alle vendette di Erdogan e alle sue velleità di
primazia.
Oggi, non
resta che prendere atto della situazione. Il non farlo significa
continuare nell’attuale e pregressa schizofrenia che impedisce di
cogliere i dati reali del problema, spinge a immaginare una realtà
desiderata ben diversa da quella reale, suggerisce operazioni e atti
che o sono insignificanti o sono autolesionistici.
Male ha fatto Renzi a
non investire l'Assemblea Onu della questione pena di morte e di
quella, sempre più significativa, del diritto alla conoscenza. Bene
a dissociarsi dal napoleoncino socialista di Parigi e a rivendicare
una leadership nello
schieramento che prima o dopo si occuperà di stabilizzare la Libia e
di espellerne il terrorismo, a salvaguardia dell’unico baluardo
democratico esistente in Nord-Africa, la Tunisia.
Situazione,
quindi, fluida con possibili positive evoluzioni, di cui dobbiamo
ringraziare la Russia.
L’America
ha perso la partita qui e, quindi, in Ucraina. Per rendersene conto
dovrà aspettare che le fanfare suonino l’uscita di Obama dalla
Casa Bianca.
Domenico
Cacopardo